E se al posto del "Punta Canna" di Chioggia ci fosse il "Punta Qan"?

9 Ottobre 2017 /

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di Elettra Santori
Agosto 2025. La bandiera nera dell’Isis sventola orgogliosa all’ingresso di Playa Punta Qan, lo stabilimento balneare di Chioggia messo recentemente sotto indagine con l’accusa di apologia dell’ex Stato islamico. Nerovestito da capo a piedi, il gestore dei bagni, Ibn Abd Abaoud, accoglie i clienti in posa minacciosa da Jihadi John: sfilano sotto il suo sguardo saettante uomini in T-shirt col logo Isis e costume rigorosamente lungo dall’ombelico alle ginocchia, seguiti da donne sigillate in lunghi niqab dalle falde ondeggianti. Abaoud li scruta uno ad uno da capo a piedi: «Questo costume non è halāl, fratello, non vedi che ti lascia scoperta l’awra? Vai a casa e cambiatelo». «E tu, sorella, sciacquati quel rimmel dagli occhi, dove credevi di essere, a Mediaset?».
Oggi Abaoud è felice: i magistrati di Venezia hanno chiesto l’archiviazione per il reato di propaganda jihadista: tutti i memorabilia dell’Isis esposti alla reception dello stabilimento – le foto dei miliziani sui pick-up in marcia nel deserto, il merchandising di vestiario “jihadi-cool” inneggiante allo Stato islamico, la statuetta in bronzo patinato di al-Baghdadi che dichiara il Califfato nella moschea di Mosul – sono state ritenute dai magistrati «un’articolazione del pensiero» di Abaoud, semplici «stravaganze», forse un po’ sopra le righe, ma non certo minacciose né sovversive nei confronti delle Istituzioni italiane. Così oggi Abaoud può tranquillamente riprendere ad arringare i suoi bagnanti dal megafono della torretta sopra il punto ristoro: «Al-Baghdadi è stato un grande statista!», «La democrazia occidentale mi fa schifo!», «Sterminate gli infedeli, perché essi sono nel male ed essi sono il male!».

Si spazientisce solo una volta, Abaoud, quando un giornalista venuto a intervistarlo gli domanda con quale finalità ha creato questa spiaggia jihadista. «Ma quale spiaggia jihadista!», ribatte lui seccato. «Non lo sa che qui è pieno di donne occidentali che vogliono provare l’ebbrezza del burqini? Di gente di sinistra che vuole fare un’esperienza interculturale?». Scuote la testa incredulo, possibile che ci siano ancora giornalisti così pedanti e ossessivi? «E poi non sa quanti fascisti abbiamo tra i nostri clienti. Vengono qui a gustare quel sapore di ventennio che in questa società non trovano più. La sottomissione della donna? La vogliamo anche noi! Il rifiuto dell’imperialismo culturale occidentale? Pure! La nostalgia di un passato mitico, il rifiuto della società inquinata e corrotta, l’ideale di purificazione? Sono anche i nostri obiettivi! Per non parlare della visione gerarchica dell’ordine sociale, dell’antisemitismo, dell’omofobia… Dopotutto, chi si somiglia si piglia, come dite voi infedeli».
Ora, a esprimersi sulla richiesta di archiviazione dovrà essere il giudice per le indagini preliminari, ma Abaoud è ottimista sulla conclusione della sua vicenda giudiziaria: «Il clima culturale è favorevole. Ho ricevuto tante manifestazioni di sostegno e persino una proposta di candidatura alle comunali da parte del PD. È bello vedere che c’è ancora libertà di espressione in questo vostro scassato Paese».
Dall’altoparlante, la musica di un nashīd tra i più in voga nel fu Stato islamico riempie la spiaggia con la sua sublime melodia di guerra. Donne in burqini nero si affollano in acqua come graziosi girini per cercare un po’ di ristoro dal cociore agostano, mentre i loro accompagnatori, gli occhi vigili sulle loro grazie, sorseggiano bibite ghiacciate al riparo degli ombrelloni. Faranno almeno 38 gradi, oggi. Sembra quasi di stare a Raqqa.
Questo articolo è stato pubblicato da Micromegaonline.info il 6 ottobre 2017

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