Massimo Abbatangelo: vitalizio al camerata che teneva il tritolo

10 Luglio 2017 /

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di Riccardo Lenzi
Come è noto il portale web della Camera dei deputati contiene una scheda per ciascuno degli eletti in quel ramo del Parlamento a partire dalla prima legislatura della Repubblica italiana. Tra queste, dopo aver letto una sua intervista rilasciata a un quotidiano nazionale all’indomani del pasticcio sui vitalizi, sono andato a leggere la scheda di Massimo Abbatangelo, napoletano, classe 1942, deputato del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale dal 1979 al 1994.
Nel 1987, nonostante una richiesta di rinvio a giudizio per la strage di Natale sul treno Napoli-Milano, il Rapido 904 sul quale venne collocata una bomba il 23 dicembre 1984, il suo partito decise di ricandidarlo. L’iter giudiziario dell’onorevole Abbatangelo – la cui posizione fu stralciata fin da subito dal processo principale in cui erano imputati, tra gli altri, due boss mafiosi: il siciliano Pippo Calò (poi condannato quale mandante) e il napoletano Giuseppe Misso (Missi all’anagrafe, assolto per l’imputazione più grave) – si concluse nel 1994 con un’assoluzione piena per il reato di strage (“per non aver commesso il fatto”; in primo grado era stato condannato all’ergastolo) e una condanna a 6 anni per detenzione di armi ed esplosivo.
Non proprio un fiore all’occhiello per chi siede in Parlamento. Detto questo, secondo una sentenza definitiva pronunciata in nome del popolo italiano, il manesco Abbatangelo non è tra i responsabili della strage che fece 16 vittime e 267 feriti, nello stesso luogo in cui dieci anni prima “ignoti” neofascisti toscani, supportati dalla loggia P2 (cfr. Atti Commissione d’inchiesta P2), avevano messo una bomba sul treno Italicus.

Naturalmente il giudizio dei cittadini sul comportamento dei loro rappresentanti non può e non deve basarsi unicamente sulla fedina penale. Non mantenere una promessa elettorale, per esempio, è un comportamento penalmente irrilevante, ma politicamente e civilmente censurabile. A maggior ragione detenere del tritolo non è esattamente quello che gli elettori vorrebbero leggere sul curriculum di un candidato. O almeno si spera.
Nell’intervista pubblicata il 7 luglio scopriamo invece che, non pago di aver beneficiato della “restituzione per intervenuta riabilitazione e la decorrenza retroattiva degli importi da restituire”, l’ex onorevole Abbatangelo non ha perso l’ambizione di dare il proprio contributo disinteressato al compimento del destino della Nazione: «Sono convinto che Giorgio Almirante mi chiederebbe di tornare in veste di padre nobile (sic!) per riunire la nostra comunità troppo parcellizzata da vicende personali. A tal proposito inviterò tutti i miei amici ad una convention della destra a Roma a settembre».
A parte l’inglesismo, che Mussolini e Almirante forse non avrebbero gradito, sembrerebbe un modo per dire ai Salvini e alle Meloni: ragazzini, fatevi da parte che queste son cose da uomini. Questo per quanto riguarda l’intervistato. Nel riepilogare il cursus honorum di Abbatangelo, condannato anche per aver incendiato una sede del Pci nel 1970, l’intervistatore – per necessità di sintesi? – non ha ricordato ai lettori il contesto in cui maturò la condanna per detenzione di esplosivo.
Sfogliando gli atti del processo per la strage del 904 si può leggere che, pur non essendoci prove che l’esplosivo utilizzato nella strage fosse quello, i magistrati accertarono però che Abbatangelo consegnò effettivamente dell’esplosivo al suo amico Misso, allora boss del quartiere Sanità e titolare di due soprannomi: Peppe ‘o nasone e, specie dopo la plastica al naso, ‘O fascista.
Nonostante la consapevolezza dell’assoluzione di Abbatangelo per quella strage, leggendo l’intervista mi è venuto spontaneo pensare ai familiari delle vittime del Rapido 904. Riguardo la vicenda della riabilitazione remunerata (5.600 euro al mese), non credo ci sia nulla da aggiungere al commento di Rosaria Manzo, presidente dell’associazione che li riunisce: «Come familiari delle vittime siamo sconcertati da questo modus operandi. Com’è possibile che un superstite o un familiare di una vittima del terrorismo o della criminalità organizzata per ottenere i benefici di legge debba affrontare visite mediche e indagini familiari fino al terzo grado di parentela, mentre un ex parlamentare che ha avuto una condanna personale passata in giudicato ha diritto al vitalizio con il recupero di tutti gli anni arretrati? Questo è uno dei casi in cui la legge non è uguale per tutti».
La nascita della cosiddetta seconda Repubblica aveva illuso molti italiani che questo genere di personaggi fossero destinati, quanto meno, ad un oblio permanente. Poi, come fecero notare i pluriergastolani in una mitica intervista di Gian Antonio Stella (Corriere della Sera, 12 giugno 1994), scoprimmo che Berlusconi era riuscito a portare al governo una serie di camerati che, da giovani, non disdegnavano la compagnia:
«”Ma guarda Teodoro… E Gianfranco… E Francesco…”. Ogni volta che comincia un telegiornale, in un paio di celle di Rebibbia due bocche si spalancano con divertito stupore. Perché a loro, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, marito e moglie, condannati a diversi ergastoli per diversi omicidi politici commessi durante la loro forsennata avventura contro tutto e tutti tra le file dei Nuclei armati rivoluzionari, la novità fa ancora un certo effetto. Quelli che adesso sono là, al governo, a trattare di presidenze bicamerali e consigli d’amministrazione, sono proprio i ragazzi con cui sono cresciuti, tra volantini, sprangate, manifestazioni, lutti, passioni, alla federazione romana del Fronte della Gioventù di via Sommacampagna. “Vedere Storace andare a discutere alla Rai è fantastico – sorride Fioravanti. Capirà, lo conosciamo da una vita”».
Altri tempi?

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