Se Corbyn sancisce la (definitiva) morte del blairismo

12 Giugno 2017 /

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di Giacomo Russo Spena
Come dimenticarsi delle reazioni Pd dopo la vittoria di Jeremy Corbyn alle primarie del Labour Party. Una rassegna che lascia pochi dubbi: «Corbyn? La sua elezione a capo del Labour ha reso felici i conservatori», dichiarava Matteo Renzi. «Corbyn rappresenta la certezza che i laburisti non dovranno battersi per il governo almeno fino al 2020, è l’autolesionismo di ritorno di un grande partito che potrà dedicarsi a coltivare in solitudine le fantasiose ricette di Corbyn», rincarava la dose il deputato Andrea Romano. Ma anche molti illustri colleghi si fecero prendere dall’abbaglio politico: «Corbyn è stato eletto da chi si illude nel sogno di un Labour selvaggio e invece perderà a manetta» twittava ad esempio Gianni Riotta. Nel mondo liberal liberista era pensiero comune: Corbyn era un vecchio trombone socialista.
E invece le cose sono andate diversamente. Theresa May forse riuscirà a formare un governo, che più instabile non si può, con una maggioranza risicata e soprattutto dilapidando un vantaggio di 20 punti percentuali. Aveva anticipato il voto convinta del plebiscito popolare non considerando la variabile Jeremy Corbyn. È lui il vero protagonista di questa tornata elettorale in UK con quasi 13 milioni di voti ottenuti. “For the many, not the few”, con un programma radicale nei contenuti che puntava alla lotta alle diseguaglianze è riuscito a rivolgersi agli esclusi della società. Ha ottenuto alti consensi soprattutto tra i giovani e nei quartieri meno abbienti. Ha rappresentato un voto credibile e di rottura dallo status quo sfatando quel mantra che le elezioni si vincono guardando al centro. Anche la sua decennale biografia politica ha sicuramente contato: Corbyn conquista la fiducia della classe lavoratrice perché per trent’anni è stato coerentemente schierato dalla parte giusta.

«Con Corbyn i laburisti si avviano a 20 anni di sconfitte. Si vince al centro, non con la vecchia piattaforma di sinistra» aveva dichiarato Tony Blair. E proprio contro della discontinuità dal blairismo ha puntato, a ragione, Corbyn lavorando sul terreno dell’alternativa, sfatando il mito che le elezioni si vincono guardando al centro.
Ha ripuntato sulle ragioni della sinistra dopo che, con la terza via dei primi anni 2000, i socialdemocratici hanno subito una mutazione genetica. Dovuta sia a errori soggettivi (la riaffermazione del primato assoluto dell’economia e del mercato sulla politica; la subalternità culturale all’ideologia delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni rispetto alla pubblica programmazione e pianificazione) che alla insufficiente analisi e comprensione nel “mare in subbuglio di quel capitalismo in via di mutazione”, per parafrasare lo storico Eric Hobsbawm.
Le socialdemocrazie hanno in massima parte esaltato le magnifiche sorti della globalizzazione liberista, finendo per attuare le storiche politiche della destra a suon di deregulation, guerre umanitarie, tagli al welfare e precarizzazione delle nostre vite. Corbyn mette in soffitta tutto questo. Dimostra che in questa fase i populismi xenofobi si arginano guardando alle fasce deboli della società.
Comunque ora qualcosa all’interno del Pse sta cambiando, si iniziano a capire gli errori di questi ultimi anni. Dopo la dissoluzione in Grecia e in Francia, nel Psoe spagnolo le primarie sono state vinte a sorpresa dal socialdemocratico Pedro Sanchez contro i colonnelli del partito che invece sostenevano la svolta lib-lab al partito della Diaz, con tanto di appoggio esterno all’esecutivo (di destra) Rajoy. Così in Portogallo capeggia una coalizione delle sinistre (socialisti + Bloque de Izquierda) che sta governando all’insegna del contrasto all’austerity.
L’Italia, ancora una volta, fa anomalia. I renziani, come dimostrano i virgolettati citati sopra, guardano ancora altrove. Al gattopardo Macron. Dopo l’abbaglio su Corbyn, se non metteranno neanche questa volta il blairismo sotto processo, significa che avranno scelto definitivamente il campo. Quello dell’austerity, distante anni luce dalle ragioni della sinistra.
Questo articolo è stato pubblicato da Inchiesta online il 10 giugno 2017

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