di Dario Zanuso e Aldo Zoppo
Prima della pensione è un testo scritto da Bernhard nel 1979, all’epoca dello scandalo che travolse Claus Peyman – il regista di molte delle sue opere teatrali e che portò in scena per la prima volta questo stesso testo – spingendolo alle dimissioni dalla direzione del teatro di Stoccarda. Per avere chiesto un trattamento carcerario meno rigido per uno dei membri del gruppo Baader-Meinhof, venne infatti accusato di essere un simpatizzante del terrorismo. Nelle vesti di accusatore si distinse in particolare un potente politico tedesco, di cui, in quello stesso periodo, si venne a sapere che era stato un fedele servitore di Hitler, svolgendo fino all’ultimo le sue funzioni di giudice militare.
Un giudice è il protagonista del testo. Rudolf Holler amministra la giustizia nel tribunale cittadino, di cui è uno degli esponenti di maggiore rilievo. È un vecchio, ormai prossimo alla pensione. In gioventù era stato un membro delle SS ed un convinto sostenitore del nazismo. Dopo la guerra furono sufficienti alcuni anni ai margini, in un paese desideroso di dimenticare il passato, per essere riabilitato e tornare al centro della vita sociale. Ma l’adesione di facciata ai valori della nuova democrazia e il servizio prestato nelle sue istituzioni, nasconde una assoluta continuità con gli ideali politici giovanili.
Con la sua prosa feroce e vorticosa Bernhard intende evidenziare alcune oscure costanti dell’anima tedesca. Nella sua prospettiva il nazismo non è che una particolare manifestazione di tratti che continuano ad essere ben presenti nel popolo tedesco e che hanno la loro origine nella ristrettezza e meschinità dei valori piccolo borghesi (il nazionalismo, il conformismo, lo spirito di sottomissione, l’ipocrisia propria del cattolicesimo più retrivo; quell’insieme di valori che il giovanissimo Bernhard imparò ad odiare ferocemente negli anni che fu costretto a passare in un collegio di Salisburgo, che era stato un convitto nazionalsocialista; anni raccontati negli straordinari volumi della autobiografia).
La “commedia” si svolge tutta nel salotto della casa in cui il giudice Holler vive con le due sorelle. Una sorta di casa mausoleo, tenebrosa e dalle pareti nere, rimasta immutata nei decenni e decorata con cimeli che rievocano un lontano passato. Nella rappresentazione andata in scena al Bonci, in questa inquietante casa gli spettatori hanno l’impressione di esserci finiti dentro. La scena è infatti allestista nel proscenio, in senso opposto rispetto alla platea e il pubblico è sistemato su una piccola gradinata, montata direttamente sul palcoscenico. Siamo seduti nella prima fila è più che semplici spettatori abbiamo l’impressione di essere i testimoni del dramma grottesco che si svolge a pochi passi da noi. L’abbattimento della quarta parete diventa così totale e pienamente efficace rispetto all’obiettivo della rappresentazione.
È una giornata particolare quella che sta per iniziare, ricorre l’anniversario della nascita di Himmler. Come un rito che si ripete immutabile negli anni, questa ricorrenza sarà ricordata dai tre fratelli con una piccola festa, una cena che si concluderà con un brindisi. Nel primo atto vediamo Vera intenta ai preparativi, svolti come nella celebrazioni di un rituale. Clara, l’altra sorella, è seduta in una carrozzina, ed ascolta attonita il lunghissimo monologo di Vera, un flusso inarrestabile di parole, attraverso il quale si disvela la natura dei rapporti all’interno della famiglia. Vera asseconda con una fedeltà cieca ed ottusa l’ideologia delirante del fratello, al quale è unito da un rapporto incestuoso. Sara, vittima dei bombardamenti americani, è la ribelle della famiglia; coltiva idee di sinistra ma è costretta a subire, con un rabbioso mutismo, le ossessioni dei fratelli. La sedia a rotelle su cui è costretta è la rappresentazione plastica del legame forzato alla famiglia.
Nel secondo atto assistiamo all’arrivo di Rudolf, è la volta di un suo lungo monologo. Arriva il momento in cui può indossare la sua divisa di SS, accuratamente preparata e stirata da Vera; la festa può iniziare.
Nelle note di regia così sono efficacemente descritti i personaggi della commedia, ad evidenziare una loro ambivalenza, la distanza tra ciò che appare dalla loro messa in scena e la realtà della loro esistenza. Rudolf, il bell’uomo del tribunale, un vero soldato, immagine ideale del tedesco, intransigente, acuto, inflessibile, spietato, volgare, capace di tutto, esausto, malato.
Vera, brava sorella, prode fanciulla, cara, buona, amata, falsa e bugiarda, perversa, abietta, paziente, ammirevole, coraggiosa, la più forte di tutti noi; Clara, paraplegica orribile, cupa guastafeste, ingrata, spudorata e infame, muta e implacabile, pazza fanatica, la più intelligente, l’assassina di famiglia.
Cosa sono Rudolf e Vera? Essi si descrivono come dei cospiratori. Rimpiangono l’ordine totalitario che il nazismo aveva instaurato ed i valori che esso aveva realizzato. Odiano in modo viscerale tutto quello che la democrazia liberale rappresenta. Esprimono questi pensieri in modo ossessivo e ripetitivo, con una rabbia non trattenuta ed aggressiva. Si sentono come i depositari di una verità che prima o poi tornerà a trionfare. In questa fase di attesa sono costretti a tenere nascosto il loro vero volto, noto solo a pochi amici fidati, e a celebrare nell’ombra i loro riti. Ma sono certi che arriverà presto l’occasione per tornare allo scoperto. Sono quindi parte integrante dell’ordine sociale esistente, ma al tempo stesso cospirano nell’ombra anelando la sua distruzione.
Come ci appaiono in realtà? Come dei personaggi ingabbiati in un passato che non è possibile superare e che viene costantemente rievocato. In questa rievocazione ossessiva ed immutabile si manifesta, come in altri personaggi di Bernhard, il tentativo di esorcizzare il vuoto della loro esistenza. Questa coazione a ripetere potrà essere interrotta solo dalla morte. Ed è con la morte che si chiude anche il cerchio della rappresentazione. Una delle battute di Vera: “Abbiamo imparato a memoria il copione, i ruoli sono assegnati da trent’anni / Quando dovrà calare il sipario lo decideremo solo noi tre assieme”. La morte improvvisa di Rudolf, al culmine dei festeggiamenti, libera all’istante Vera dal ruolo che ha recitato per tanti anni. Il grottesco raggiunge il suo culmine.
Di grandissimo spessore le prove degli attori, capaci di alternare diversi registri, da quelli più drammatici e lividi a quelli grotteschi e caricaturali, che in diverse occasioni portano il pubblico alla risata. Da segnalare in particolare la prova di Elena Bucci che, nel monologo iniziale e poi nei dialoghi con i due fratelli, esprime un magnetismo capace di catturare l’attenzione del pubblico fino a renderlo, complice la scena, pienamente partecipe dell’azione che si svolge sul palco.
Il dramma di Bernhard ci sembra oggi più attuale che mai, anche quarant’anni dopo la sua scrittura. Questa descrizione, quasi arcaica e tribale, della famiglia (o della nazione) come ordine chiuso, unito dall’odio e dal disprezzo verso il mondo esterno, e verso ogni forma di diversità, da cui occorre proteggersi erigendo confini e barriere, sembra descrivere alcuni degli attuali processi involutivi delle nostre democrazie, minate dalla crisi economica e dalla perdita delle sicurezze del passato.
Recensione dello spettacolo tratto da Thomas Bernhard, regia di Elena Bucci e Marco Sgrosso. Visto al Teatro Bonci di Cesena il 30 marzo 2017