Douce France? Mappa per comprendere l'incertezza d'Oltralpe a dieci dal voto

19 Aprile 2017 /

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di Felice Besostri
A meno di dieci giorni dal primo turno delle presidenziali la situazione è altamente incerta. Soltanto il 66% degli elettori si dichiara sicuro della propria scelta. I quattro candidati in testa ai sondaggi stanno in un fazzoletto di 3 punti percentuali tra il 19 di Fillon e il 20 di Mélenchon e il 22% di Macron e Le Pen, tenendo conto che il margine di errore in questo tipo di sondaggi è del 2,7%.
I ballottaggi possibili sono dunque 6 e pertanto è possibile che il voto utile faccia aggio sul voto di convinzione fin dal primo turno. Per Macron e Fillon arrivare al ballottaggio contro Marine Le Pen è una quasi certezza di vittoria se prevale il riflesso della disciplina repubblicana, come nel 2002 e nelle più recenti elezioni regionali del 2015. Ma un ballottaggio Le Pen- Mélenchon sarebbe un inedito da non escludere e che, qual che sia l’esito, sarebbe la fine del sistema politico francese e della V Repubblica, fondato su un’alternativa tra i gollisti e la sinistra a guida socialista. Di questo scenario il Psf e soprattutto il Presidente François Hollande portano la maggiore, se non esclusiva, responsabilità: basta pensare all’entusiasmo con il quale la sua vittoria era stata festeggiata non soltanto in Francia, ma in generale in Europa coinvolgendo diverse sensibilità di sinistra.
Ha deluso come persona da cronaca rosa, ma quelle non avrebbero inciso più di tanto, se non fossero state accompagnate da scelte politiche sia in economia, che in politica estera del tutto contraddittorie con il suo programma. Di passaggio si può notare che i sistemi maggioritari possono dare un’illusione di forza quando danno una maggioranza assoluta nel Parlamento, che non corrisponda ad un reale insediamento politico-sociale, ma appunto è il frutto di un sistema elettorale.

Può apparire paradossale ma un maggioritarion regime presidenziale puro, dove la divisione dei poteri tra esecutivo e legislativo è netta e dove la disciplina di partito è un concetto estraneo a chi crede veramente alla francese è più distorsivo di un maggioritario all’inglese. In quest’ultimo il partito vincitore lo è per esclusivo merito dei suoi candidati ed elettori, perché conquistano la maggioranza assoluta dei seggi del Parlamento uno per uno, sia pure grazie ad una maggioranza relativa. Con il ballottaggio al secondo turno prevalgono considerazioni tattiche al limite del meno peggio ovvero del voto punizione, quindi la maggioranza assoluta non può essere rivendicata come propria.
Di questo il Psf non ha tenuto conto e ha preso decisioni, come se fosse il padrone del paese e non solo di una maggioranza parlamentare artificiale. Se si aggiunga che il sistema semi-presidenziale non ha un presidente dimezzato, ma un presidente con più potere di u nel divieto di mandato imperativo. Con la riduzione della durata del mandato presidenziale da 7 a 5 anni, decisa con il referendum del 24 settembre 2000, e con le legislative a rimorchio delle presidenziali il Presidente è diventato il padre padrone della sua maggioranza. Hollande e i suoi primi ministri hanno mortificato le voci critiche del Partito, minoritarie nel gruppo parlamentare, ma sicuramente in sintonia con il blocco sociale, cui si era dovuta la vittoria del 2012.
Nell’Assemblea Nazionale i deputati dell’alleanza socialista, ecologista e radicale di sinistra, che costituiscono il Groupe Socialiste, écologiste et républicain sono ( fra un mese erano) 289 su 577, cioè la maggioranza assoluta, corrispondente a quella di Hollande al secondo turno, che tuttavia al primo turno aveva raccolto il 28,63%. Al primo turno furono eletti appena 36 deputati ( nel 2007 erano stati 110), quindi 541 sono stati eletti al ballottaggio. Nel corso del quinquennio il Psf aveva perso consensi, con il primo segnale forte alle elezioni municipali del 2014, con la perdita di 155 città a profitto della destra, ma anche del Fronte Nazionale di Marine Le Pen.
I segnali sono proseguiti con le europee 2014 (FN primo partito e Psf terzo)e le regionali 2016 (FN primo partito e Unione della Sinistra al terzo posto e appena cinque presidenze socialiste su 13), dove la disfatta è stata attenuata dalla scelta di alleanze larghe a sinistra al secondo turno. Tuttavia di questa perdita socialista non profittavano le formazioni a sinistra del Psf, né lo stesso Mélenchon, che non riusciva a superare la percentuale dei consensi al primo turno del 2012, cioè un 11,7%. In queste elezioni presidenziali la sconfitta di Valls come candidato del Psf a profitto di Hamon non aveva beneficiato inizialmente Mélenchon, che navigava intorno al 9%.
Le intenzione di voto socialista già erano divise tra il candidato ufficiale e l’outsider Macron. All’inizio di febbraio grazie alla netta vittoria alle primarie dei cittadini del 29 gennaio 2017 con il 58,69% era Hamon intorno al 19% e Mélenchon sotto il 10%. Soltanto un dirigente socialista, Gérard Filoche, intuì la scelta politica, che andava fatta: una candidatura unica della sinistra. Hamon avrebbe dovuto dichiarare che se eletto avrebbe dato l’incarico a Mèlenchon di formare il governo. Ma una tale proposta per essere credibile avrebbe avuto bisogno di un Psf compatto nel sostegno ad Hamon.
La realtà è stata altra con dichiarazioni di dirigenti e ministri socialisti a favore di Macron, un personaggio politicamente inventato da Hollande, con la nomina prima come segretario generale aggiunto del suo gabinetto nel 2012 e successivamente come ministro dell’Economia e dell’Industria e del Digitale nel 2014, al posto del socialista di sinistra Montebourg. Macron, giovane, brillante diplomato ENA, telegenico e banchiere d’affari presso la compagnia Rothschild è l’ideale per un’operazione di riorientamento centrista. Nelle elezioni del 2007 aveva preconizzato un’alleanza tra Ségolène Royal e il centrista Bayrou.
Dispone di fiuto politico, perché, militante socialista soltanto tra il 2006 e il 2009, fiutata l’aria di perdita di consensi del Psf nel 2016 lascia il governo e costruisce la sua candidatura in modo trasversale con apporti centristi e di settori di destra scontenti di Fillon. Già con gli inizi di marzo con il progressivo abbandono di socialisti Hamon discende nei sondaggi e Mélenchon sale, fino al sorpasso il 23 marzo. Tra i due candidati della sinistra i rapporti sono corretti con Hamon, che dichiara che voterebbe al secondo turno per Mélenchon e Mélenchon che pubblicamente ( discorso del 8 aprile scorso) tratta da “ripugnanti” i socialisti che abbandonano Hamon per sostenere Macron, ma non si sogna di suggerire a parti invertite un accordo a sinistra con la proposta di Hamon come suo primo ministro.
Un presidente vuole essere il padrone del gioco e la autostima di Mélenchon, già elevata al limite del narcisismo, si accresce quando i sondaggi lo danno vincente ad un ballottaggio sia contro Marine Le Pen, che contro Fillon, a sua volta vincente contro la Le Pen. Tranne la Le Pen, vince chi va al ballottaggio, ma quale è il progetto? Vediamo gli effetti dei sistemi ad elezione diretta dei capi dell’esecutivo, conta solo il candidato e che vinca le elezioni. : l’intendence suivra. Jean-Pierre Chevènement, il primo capo politico di Macron propende a votare per Mélenchon, ma solo se si impegna in un progetto per la ricostruzione della sinistra e abbandona i toni tribunizi. Ecco il progetto che manca in Francia e nel resto d’Europa, Italia compresa.
Nessuna formazione di sinistra da sola, dopo l’eclisse delle socialdemocrazie scandinave, è in grado di conquistare la maggioranza in elezioni aperte e democratiche. Ci sono ancora divisioni con radici antiche, che prevalgono sulla necessità di un’unità per fronteggiare la drammaticità della situazione con la crisi della democrazia, derivante dall’impotenza della dimensione dello stato nazionale rispetto alla dimensione planetaria dei problemi (ambientali, finanziari, di sviluppo ineguale, terrorismo, guerre e migrazioni di massa), dall’egemonia dei governi sui parlamenti nazionali e sulle organizzazioni internazionali, dalla crescita delle diseguaglianze a danno della coesione sociale.
La crescente astensione elettorale dovrebbe indicare la direzione di conquista di consensi sulla base di un progetto alternativo credibile piuttosto che essere impegnati in una gara al sorpasso, che come la Spagna dimostra ha come vincitore la destra.

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