"Da noi si può fare": intervista a Paolo Ermani

17 Marzo 2017 /

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di Claudio Nappi
Paolo Ermani è un consulente energetico, scrittore, facilitatore, formatore e presidente dell’associazione Paea. È tra i fondatori del giornale web “Il Cambiamento” e di “Ufficio di Scollocamento”. Da venticinque anni si occupa di economie alternative. Si è formato e ha lavorato nei maggiori centri europei per le energie alternative. Insieme ad Andrea Strozzi ha scritto il libro “Solo la crisi ci può fermare”. Un’analisi appassionata di come l’attuale declino economico, sociale e religioso rappresenta, di fatto, l’imperdibile occasione per riscoprire noi stessi, il rapporto con gli altri e l’armonia con il nostro habitat.
Nel libro “Solo la crisi ci può salvare” lei e Andrea Strozzi parlate di come la società consumista porti alla disintegrazione della stessa. Il fine di riempire le città di singoli individui disuniti gli uni dagli altri è anche quello di portare alla perdita dei diritti conquistati negli ultimi cinquant’anni, cosa che sta avvenendo. Mettendosi nei panni del singolo individuo, un impiegato, un operaio o una casalinga, cosa possono fare oggi per contrastare questa tendenza della società e conquistare ognuno il suo cambiamento?
Se si accetta la società dell’individualismo, della competizione, della impossibile realizzazione di se stessi attraverso l’acquisto di qualche cosa, i diritti vanno a farsi benedire. Del resto se costantemente ci dicono che dobbiamo farci gli affari nostri nel vero senso della parola e competere con tutti, dove gli altri sono dei concorrenti, perché occuparsi dei diritti? Una società basata sulla competizione si scava la fossa con le sue mani. E così quanto conquistato a prezzo di grandi lotte, è sacrificato sull’altare del consumismo e del pensare ognuno per sé.

Chiunque può fare tanto, in maniera pratica rifiutando il consumismo, ritrovando il senso di fare le cose con gli altri, nel ricostruire la comunità e tutti possono farlo, se lo vogliono, non si tratta affatto di questioni di estrazione sociale o censo. Attraverso i nostri corsi sullo Scollocamento ormai sono tante le persone di ogni tipo che decidono di cambiare e mettersi assieme ad altre persone per costruire una società dove il consumismo non sia lo scopo della vita. E di esempi pratici ormai ce ne sono molteplici in progetti collettivi e non, esempi di persone che percorrono strade alternative, basta guardare alle tante testimonianze in questa direzione che riportiamo sul giornale on line Il Cambiamento.
Nel libro si parla dell’estrema fragilità psicologica, frutto di una società impazzita che porta a rendere difficile anche gestire situazioni non esageratamente complicate. Da qui si arriva al disordine psicologico, alla depressione, al burn-out o semplicemente a un clima conflittuale con liti fra automobilisti, fra utenti in fila alle poste, per arrivare alle dolorose separazioni fra coniugi. Com’è possibile cambiare direzione di vita per chi vive quotidianamente queste fragilità?
È possibile cambiare direzione allontanandosi o trasformando i luoghi dove la fretta, lo stress, il cemento, il non senso, l’invivibilità, l’inquinamento la fa da padroni e avvicinandosi laddove i ritmi umani sono più vicini a quelli naturali visto che fino a prova contraria siamo ancora parte della natura. Ma questo non significa necessariamente ritornare allo stato selvaggio, ma ridare alla natura l’importanza fondamentale per la vita e la crescita materiale e spirituale delle persone.
Nel libro è citata una frase di Esiodo (poeta greco): “In comune è grandissimo il piacere e piccolissima la spesa”. Ci spiega meglio questo concetto? E ci spiega anche il valore e l’economia dei beni non monetari?
S’intende che facendo le cose assieme agli altri si riducono le spese e si può aumentare la qualità della vita. La cosiddetta povertà può essere conseguenza anche di scelte individualiste, dove non ci si dà altra possibilità che guadagnare sempre di più per comprare quello che suggerisce la pubblicità e se non riesci a stare dietro al ritmo, rischi di cadere in disgrazia. I progetti collettivi o la ricostruzione di legami sociali e comunitari dove comunque ognuno è libero di esprimersi, sono e saranno sempre di più anche per la costruzione di una società, dove le persone siano aiutate e supportate proprio nel momento del bisogno. La società arrivista, menefreghista dove, se non si hanno soldi si è abbandonato al proprio destino, determina le condizioni d’indigenza e di difficoltà.
Passare da una società di valori monetari a una società di valori è l’unica strada per l’inclusione vivendo comunque in maniera dignitosa. Non è, infatti, pensabile che l’obiettivo dell’esistenza sia guadagnare soldi e comprarsi cose, entrambi questi aspetti che hanno come conseguenza la distruzione dell’ambiente per il continuo e inarrestabile esaurimento delle risorse e la perdita di ogni senso umano e relazionale. Quindi è evidente che una società equilibrata e sana dovrà essere basata sempre più su beni non monetari, su beni relazionali e sul mutuo aiuto.
Nel capitolo intitolato “Da noi si può fare” criticate il disfattismo che avete riscontrato in giro per l’Italia, durante i vostri incontri. A chi pensa più a lamentarsi che a cercare e attuare soluzioni, portate l’esempio di come nel nostro paese le persone con la volontà di attuare un cambiamento sia la maggioranza; visti gli esiti dei referendum sull’acqua pubblica e sul tema del nucleare, nonostante il compattamento dei media in stile nord coreano, con le lobby e molti partiti politici schierati contro. È anche vero che purtroppo l’esito del referendum sull’acqua come bene pubblico è stato bellamente ignorato, è l’acqua continua a essere distribuita in base alla fredda logica di bene aziendale, che deve produrre un profitto al privato che la vende. Come reagire a questo fatto?
Con la pratica e cioè così come doveva avvenire per il referendum contro il nucleare, il primo passo è dire no, il secondo è agire in tutti i modi e in tutte le maniere per riappropriarsi della possibilità di incidere sulla realtà.
Se sei per l’acqua pubblica, immagino che faccia di tutto per risparmiarla, per utilizzare quella piovana laddove possibile, per utilizzare limitatori di flusso e tutti quei sistemi che ne riducono drasticamente il consumo. Stessa cosa per l’energia dove le possibilità d’intervento sono numerose.
Se tutto rimane solo una lotta referendaria, lascia il tempo che trova. Le multinazionali le batti se gli levi la terra e il guadagno da sotto i piedi, non se speri solo nella politica, nei referendum. La politica, le lotte possono fare qualcosa ma poi il resto, il lavoro principale lo fai tu, emancipandoti il più possibile da questi soggetti criminali e finché li combatti a parole e li foraggi nei fatti, avranno sempre la meglio.
Il P.E.R. (Parco per le Energie Rinnovabili sito a Terni) è un esempio di struttura realizzata da un privato senza fondi pubblici, volta anche a informare e formare le persone sulle potenzialità e sui benefici delle energie rinnovabili. Ci sono in Italia altri esempi di privati, associazioni o meglio ancora di Comuni che siano particolarmente illuminati e all’avanguardia su questi temi? Può portarci dei casi concreti di sua conoscenza?
In Italia dal punto di vista istituzionale ci sono esempi interessanti veicolati anche attraverso la rete dei Comuni virtuosi e da un punto di vista non istituzionale, oltre all’Associazione Paea che da molti anni fa opera d’informazione e formazione, ci sono esempi come gli ecovillaggi o le sempre più numerose esperienze di comunità intenzionali che possono dare spunti per realizzare progetti simili. Che poi a prescindere dai nomi e dalle etichette, si parla di ricostruire la comunità in varie forme, quella comunità che è stata disintegrata portandoci in regalo il consumismo e la devastazione ambientale.
Purtroppo per quello che riguarda l’esistenza di altre strutture come il PER siamo ancora molto indietro, eppure dovrebbero nascere come funghi nel cosiddetto paese del sole.
Proprio perché siamo drammaticamente indietro, invitiamo tutti a visitare il PER e toccare con mano un’alternativa reale realizzata in Italia da persone che invece di lamentarsi hanno fatto con le loro forze, senza aspettare contributi, sovvenzioni e aiuti. È tutto fattibile, riproducibile e basta volerlo fare, se si vuole fare. Se invece ci si vuole solo lamentare facendo l’elenco dei problemi e difficoltà, allora è chiaro che mai nulla cambierà.

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