di Isaia Sales
Tutti i giornali del Nord (a partire dal Corriere della Sera) ci invitano a non infieriresugli errori che la Lombardia ha messo in evidenza nella gestione di questa crisi. Lombardia intesa come territorio, apparato produttivo e istituzioni. Secondo alcuni editorialisti, nell’evidenziare gli errori ci sarebbe una specie di rivalsa verso i primi della classe, l’occasione che si aspettava da una vita per godere dei guai degli italiani vincenti, il compiacimento non velato per le insufficienze evidenti della sua classe dirigente.
A me non pare di riscontrare questo sentimento tra i meridionali, piuttosto prevale lo stupore nel constatare la “fragilità dei forti”, che non è un sentimento suscitato da invidia, né da rivalsa, né tantomeno da spirito di rivincita sulle offese razziste del recentissimo passato, ma incredulità insieme a preoccupazione. In fondo a Milano e in Lombardia tanti di noi hanno dei propri cari, parenti, amici o conoscono persone che ci hanno studiato, lavorato, insegnato, vissuto o che continuano a farlo. La Lombardia è diventata nel tempo una parte di Sud collocato al Nord e Milano la più affollata città meridionale. No, nessuna soddisfazione nel constatare come il sistema sanitario lombardo si sia mostrato meno efficace di quello che sembrava (e di come veniva descritto) nessuna compiacenza per una catena di comando in più punti spezzata, ma semplice e normale voglia di capire per evitare gli errori lì commessi. Ecco, per dirla tutta, la Lombardia ci ha delusi, quasi ci sentiamo ingannati per quell’efficienza e capacità che davamo per scontate e che invece alla terribile prova dei fatti non si sono mostrate all’altezza della situazione. Pensavamo che i nostri emigrati, lontani dai luoghi cari, fossero almeno in buone mani. E la figura di Attilio Fontana rappresenterà nel futuro un monito all’autocompiacimento: lui somiglia a qualche personaggio manzoniano che nega caparbiamente l’evidenza o è sicuro che per ragioni di privilegio l’epidemia si comporterà secondo le sue aspettative! Errori ce ne sono stati e ce ne sono anche nelle regioni meridionali, che per fortuna non hanno dovuto fronteggiare un impatto così devastante dell’epidemia. Per i governatori del Sud valga il biasimo di Cioran per quelli che quando compiono un errore si consolano pensando agli errori degli altri. Vero è che la fragilità dei forti colpisce di più e crea più attenzione mediatica, così come crea sconcerto e fa discutere di più un qualcosa che non ti aspetti. Qualche volta la debolezza dei forti fa addirittura più tenerezza quando viene ammessa, ma crea sconcerto e rabbia quando la si vuole nascondere.
La Lega non fa un buon servizio alla Lombardia e a se stessa se la butta in rissa, provando a coprire quello che non è andato bene al posto di ammettere i limiti umani e di sistema della regione più importante d’Italia. Anzi, la Lega rifletta bene su quanto è avvenuto: si tratta del primo clamoroso caso di impressionante insufficienza mostrata da amministratori leghisti, e per di più da parte di persone scelte direttamente da Salvini. Ma se nella fase 1 dell’epidemia la fragilità si è mostrata laddove non ce l’aspettavamo, nella fase 2 la fragilità tornerà ad essere appannaggio della struttura economica e sociale del Sud. E’ già scritto. A meno che non si verifichi qualcosa di eccezionale, che solitamente avviene dopo le grandi tragedie, cioè un ripensamento sulle fragilità strutturali della nostra nazione. E visto che la metafora più usata è stata quella della guerra, non dimentichiamo mai che l’Italia nel secondo dopoguerra ha conosciuto un trentennio d’oro grazie ad un semplice fatto: dopo quasi un secolo dalla sua unione il Sud partecipò da protagonista al salto storico dell’economia italiana, come fornitore di manodopera, come apparato produttivo, come comunità di consumatori. La ripresa che ci attendiamo potrà essere tanto più solida quanto sarà più piena se ad essa parteciperanno tutti i territori e tutte le potenzialità inespresse di questa nazione. Le tragedie sono ancora più tragedie quando da esse non si acquista saggezza e quando non diventano un’occasione di ripensare nel complesso ai fattori di fragilità, quelli che sono venuti prepotentemente in superficie e quelli che scavano da tempo sotto la scorza del Paese. E’ l’Italia delle fragilità quella che deve essere messa al centro delle cure economiche e sociali, allargando gli orizzonti ristretti e facendo in modo di non ripetere gli errori del passato. Vediamo cosa possono condividere di questa crisi il Nord e il Sud.
1 L’Italia nel futuro prossimo non potrà più avere 20 diversi sistemi sanitari. Il regionalismo in sanità è stato un punto fragile e non un punto di forza.
2 Non potrà più permettersi una dipendenza della sanità dalla politica, una sottomissione che nel Sud si paga con disfunzioni e carenze diffuse, e nel Nord con un’ esposizione permanente alla corruzione e all’affarismo. E non si potrà più rinunciare a delle produzioni strategiche relative alla nostra sicurezza sanitaria.
3 Non si dovranno più isolare i vecchi in strutture sanitarie lager, che anche quando sono dorati sempre “lager di affetti “restano. Ripensare (soprattutto nelle aree ricche) come affrontare questo problema in maniera di non vergognarci, resta un imperativo morale e civile.
4 Si dovrà sempre più puntare su strumenti di tutela generale dai bisogni elementari di vita (mangiare, pagare un affitto, vestire i propri figli e farli andare a scuola). Se non ci fosse stato il reddito di cittadinanza alcune realtà sarebbero esplose socialmente. Soprattutto al Sud.
5 Non potremo più permetterci di avere mafie così potenti e un livello di corruzione così elevato. Un ruolo non esagerato, purtroppo, non inventato: sempre in Italia, dopo ogni grande tragedia, le mafie e la corruzione sono state protagoniste. La storia si può ripetere, e non esorcizziamo il problema aggredendo quelli che ce lo ricordano.
6 Non ci si può permettere più il lusso di rinunciare allo sviluppo produttivo di un terzo del nostro territorio. L’essere una nazione ancora oggi sostanzialmente divisa in due tronconi diversamente sviluppati rappresenta il nostro più grande handicap. O la più grande chance. Sarebbe bello vedere gli otto presidenti delle regioni del Sud affrontare il tema assieme al ministro Provenzano al posto di gareggiare a chi la spara più grossa. Insomma il coronavirus è l’occasione di ripensare all’Italia con una visione del tutto diversa dal passato, investendo sui suoi limiti, quelli storici e quelli recenti. Ripensiamo all’Unità d’Italia a partire dalla sanità e dall’economia. Perché abbiamo capito che le fragilità territoriali sono sempre fragilità collettive, anche se si manifestano a Milano o a Napoli, in Calabria o in Lombardia.
Questo articolo è stato pubblicato su Il Mattino il 19 aprile 2020