di Tommaso Cerusici
Nel 2017 prende avvio la ricerca su Fca e Cnh promossa dalla Fiom nazionale insieme alla Fondazione Claudio Sabattini, con la collaborazione della Cgil nazionale e della Fondazione Di Vittorio. Su ragioni e obiettivi di questa ricerca, alla situazione attuale nel gruppo Fca e Cnh abbiamo intervistato Michele De Palma, Responsabile settore automotive della Fiom nazionale.
Perché come Fiom avete deciso di dare il via ad una ricerca su Fca e Cnh?
Perché per guardare al futuro bisogna aver chiara la situazione attraverso un bilancio. L’inchiesta sul mondo Fca e Cnh è fondamentale se si vuole davvero decidere con i lavoratori. Dal 2011 – cioè dall’entrata in vigore del contratto collettivo specifico di lavoro con la conseguente esclusione della Fiom dagli stabilimenti, alla presentazione del piano industriale e finanziario da parte dell’amministratore delegato Marchionne – tante cose sono cambiate e vogliamo fare il punto della situazione per capire come le lavoratrici e i lavoratori hanno vissuto questi anni e quali sono gli elementi sui quali investire la nostra iniziativa di carattere sindacale e contrattuale per il futuro.
Perché il 2018 è un anno cruciale: c’è una precisa coincidenza che è data dalla scadenza del piano industriale e occupazionale, dalla scadenza del contratto collettivo specifico di lavoro e dalla scadenza, in alcuni degli stabilimenti più importanti, degli ammortizzatori sociali. Infine, anche gli assetti proprietari e finanziari sembrano essere in evoluzione, detta in modo semplice: sarà ancora Marchionne l’amministratore delegato? Fca venderà degli asset o finirà in un processo di fusione? Con quali effetti industriali e occupazionali? L’incrocio di tutti questi fattori e delle incognite determina per noi un’evidente evoluzione nel conflitto di questi anni, per continuare ad avere uno sviluppo industriale ed occupazionale e uno spazio di contrattazione democratico per i lavoratori.
Quali sono i principali aspetti che volete focalizzare con questa ricerca?
Il primo è un fattore di carattere proprietario/finanziario da un lato e industriale/occupazionale dall’altro: vogliamo capire le prospettive di Fca e Cnh nel prossimo futuro in un settore attraversato da grandi cambiamenti, a partire dai mercati, passando per l’affermarsi di nuove politiche protezionistiche, fino al prodotto che non è più semplicemente l’auto ma l’ecosistema complessivo della mobilità.
Il secondo riguarda la condizione di lavoro dentro agli stabilimenti, sia dal punto di vista contrattuale – cioè orari e salario – che dal punto di vista della salute e della sicurezza, e lo spazio della contrattazione. La domanda è: alla luce dell’introduzione del Wcm e dell’Ego Uas quali sono le condizioni che vivono oggi i lavoratori? Cosa è cambiato nella organizzazione del lavoro? Non vogliamo però fermarci ad una fotografia della condizione ma abbiamo la necessità di trarne degli spunti per provare a migliorare la loro situazione.
Il terzo punto è di indagare il mondo della filiera e degli appalti. L’indotto e la componentistica di primo livello sono un fattore essenziale della produttività e della creazione di valore del prodotto.
La nostra è un’inchiesta senza “paracadute”. Il tema non è dimostrare quello che noi già pensiamo ma capire come le azioni dell’azienda hanno cambiato le cose e se e quanto tutto quello che abbiamo cercato di fare come Fiom in questi anni, grazie allo straordinario lavoro dei delegati, è vivo tra i lavoratori. Bisogni e desideri in stabilimenti cambiati dalla crisi, dal contratto e dalla nuova organizzazione del lavoro. È ovvio che questo prevede la nostra disponibilità ad accettare tutti i risultati che emergeranno e, in base a questi, riorientare le scelte di carattere sindacale. In coerenza col nostro passato, vogliamo mettere al centro le lavoratrici e i lavoratori, i nostri iscritti, i delegati e – insieme a loro – provare a riaprire un confronto con gli altri sindacati e la direzione aziendale di Fca e Cnh. Sapendo bene che, fino a oggi, l’azienda ha però sempre negato alla Fiom il riconoscimento di soggetto negoziale e ai lavoratori la possibilità di poter decidere.
Un anno fa anche la Fim-Cisl ha presentato una ricerca su Fca e, in particolare, sull’adozione del Wcm negli stabilimenti. In cosa differirà la vostra a livello d’impostazione?
Beh, non è certamente il tipo di ricerca che abbiamo in testa noi. Innanzi tutto perché – come dicevo – la vogliamo far vivere davvero dai lavoratori e dai delegati. Non voglio fare polemica con la Fim ma posso dire tranquillamente che, pur girando tutti gli stabilimenti, non ho mai incontrato un solo lavoratore che alla mia domanda se avesse partecipato a quella ricerca abbia alzato la mano.
Il punto fondamentale della ricerca fatta dalla Fim era dimostrare che l’introduzione del Wcm e dell’Ergo Uas modificassero positivamente la prestazione e la condizione della manodopera. Ma, nonostante questa “buona” intenzione, il risultato che emerge è che i lavoratori segnalano un aumento dello stress da lavoro, causato da una riduzione delle pause, un’assoluta flessibilità di gestione dell’orario di lavoro imposto in maniera unilaterale dall’azienda, un’intensificazione della produzione e l’introduzione di una partecipazione molto più cognitiva (cioè la famosa qualità just in time).
Del resto questi elementi erano già emersi nell’inchiesta fatta alcuni anni fa da Industry All Europe con degli ergonomi (chiaramente quello indicato dalla Fiom non fu fatto entrare nello stabilimento italiano preso in esame). Da quella ricerca risultò evidente che, nonostante le condizioni di lavoro fossero in alcuni casi migliorate – penso all’introduzione del sistema “butterfly” a Pomigliano, dove è l’auto a rigirarsi sulla catena e questo permette di non lavorare sempre con le braccia alzate – tutti gli intervistati sottolineavano problemi dal punto di vista della saturazione, delle pause, della gestione del rapporto tra vita e lavoro. A Pomigliano la produzione per turno è passata in pochi anni da 360 vetture per turno a 420.
Nella vostra ricerca, oltre a concentrarvi sulle condizioni di lavoro e sugli aspetti produttivi, volete analizzare anche gli aspetti societari?
Esattamente. Quando abbiamo immaginato l’avvio di questa ricerca non avremmo mai potuto prevedere almeno tre novità di questi giorni: la vittoria di un protezionista negli Usa, un’inchiesta dell’Epa con un rischio per Fca di una sanzione che girerebbe intorno ai 4,6mld e l’apertura di un conflitto nell’Unione Europea su iniziativa del governo tedesco sulle emissioni di alcuni modelli Jeep, 500X e Doblò. E ancora non potevamo prevedere che, nonostante il dieselgate, la Volkswagen diventasse il primo produttore mondiale scavalcando la Toyota. Per Fca, anche alla luce dei dati forniti nell’ultima conference call con analisti e azionisti dell’ad, vogliamo analizzare gli assetti proprietari, finanziari e industriali del gruppo e le loro prospettive anche in relazione alle altre case produttrici.
In Europa stiamo assistendo a cambiamenti di una certa importanza, sia dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro che dal punto di vista del prodotto che si dovrà realizzare. Audi ha scelto di sperimentare delle isole produttive che tentino di superare la catena di montaggio fordista. Senza voler esprimere un giudizio di merito però è evidente che in questo caso stiamo assistendo ad una sperimentazione. Volkswagen sta andando verso una fase di ristrutturazione, con la dichiarazione di 30mila esuberi gestiti però attraverso il prepensionamento e l’assunzione di 10mila unità – in base agli accordi sottoscritti con l’IG Metall – che saranno impiegate esclusivamente in Germania nella costruzione dell’auto elettrica. Sempre sull’auto elettrica anche in Francia ci si sta muovendo su questo terreno.
In Italia, invece, nulla di tutto ciò. Stiamo provando ad aprire un confronto pubblico e con il Governo perché senza politiche industriali che finanzino investimenti su auto ecologiche e di nuova generazione – visto il salto tecnologico su connessione e dispositivi di sicurezza – è difficile immaginare un futuro di crescita dell’occupazione nel nostro Paese. Oggi, abbiamo un evidente problema di prospettiva sul prodotto visto che in Europa è iniziata la corsa all’auto elettrica. Fca è cresciuta sia in termini di mercato in Ue che in Italia, ciò è dovuto al lancio di nuovi modelli (Giulia, Levante, Renegade) ma anche al risultato straordinario del Ducato. Il problema è che a questo non coincide un ritorno alla completa occupazione dei lavoratori e alla mancanza di redistribuzione della ricchezza prodotta. Inoltre, la crescita di Fca in Europa è dovuta anche a prodotti che sono assemblati in paesi come la Turchia, la Polonia o la Serbia. Per esempio la Tipo, che è venduta in Italia e che ha scalato le classifiche, è un auto che viene prodotta con un costo del lavoro bassissimo e la negazione dei diritti sindacali e con un’organizzazione del lavoro che ci piacerebbe veder superata.
Un elemento di notevole interesse mi pare l’introduzione del team leader. La ricerca analizzerà anche il ruolo di queste figure all’interno degli stabilimenti?
La riorganizzazione che è avvenuta negli ultimi anni in Fca – in corso in Cnh – ha visto l’introduzione di questa nuova figura, che è interessante inchiestare per varie ragioni. Sicuramente perché assume sempre più centralità dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, nel senso di organizzazione complessiva anche dal punto di vista delle questioni sindacali. Spesso l’azienda utilizza i team leader per spiegare gli accordi sindacali siglati con le organizzazioni firmatarie del Contratto specifico. Sono figure diffuse nello stabilimento, perché il loro rapporto è di 1 ogni 6 lavoratori, sono figure “di prossimità” dell’azienda con i lavoratori.
Questo sistema ha moltissimo a che fare col Wcm, perché entrambi utilizzano la partecipazione senza democrazia. E questo è un elemento di forte frizione con noi. Perché i team leader sono concepiti come la punta più avanzata della garanzia di partecipazione agli obiettivi aziendali che non sono negoziati e negoziabili, mentre noi pensiamo che partecipazione e democrazia non vadano disgiunte. I lavoratori, attraverso i propri delegati, devono poter avanzare le loro proposte e devono avere la possibilità di far sentire la propria voce. La figura del team leader, invece, più che essere una figura con una professionalità a trecentosessanta gradi rappresenta solo una leadership imposta dall’azienda. E bada che questo non avviene in tutti grandi gruppi dell’automotive ma rappresenta una precisa scelta aziendale. Ad esempio, in Volkswagen e in Audi i team leader vengono eletti tra i lavoratori e, quindi, rappresentano una leadership conquistata attraverso l’autorevolezza e non con l’autoritarismo imposto dalla catena di comando aziendale. Questo – a mio avviso – rappresenta bene l’interpretazione che Fca dà del Wcm.
Quali sono i partner che assieme alla Fiom collaboreranno alla costruzione e allo svolgimento di questa inchiesta?
Come Fiom abbiamo preso la decisione di svolgere la ricerca in un costante confronto con la struttura dei delegati e con la Fondazione Claudio Sabattini che, assieme alla Fondazione Di Vittorio e alla Cgil, hanno definito con noi il percorso da mettere in campo. Il primo momento è stato sicuramente il coordinamento nazionale dei delegati della Fiom in Fca che ha discusso l’impianto e l’ha sottoposto ai lavoratori. Inizialmente faremo una sperimentazione su tre stabilimenti, chiedendo fin da subito una partecipazione attiva da parte dei delegati, che non saranno solo i somministratori dei questionari ma i protagonisti, insieme ai lavoratori coinvolti, di questa esperienza che – come si sarebbe detto un tempo – voglio definire di conricerca.
Quindi un’inchiesta di fabbrica che vede il coinvolgimento non solo della Fiom ma della Cgil nel suo insieme?
Certo. Il ruolo della Cgil è molto importante da questo punto di vista, perché riteniamo che il più grande gruppo privato presente sul territorio italiano debba essere oggetto di un’inchiesta per capire i lavoratori che cosa pensano. Sono loro che devono essere messi al centro. Fca e Cnh sono le aziende più avanzate – nel bene o nel male – dal punto di vista della gestione degli stabilimenti ed è quindi significativo che la confederazione se ne interessi. I risultati di questo lavoro saranno utili a tutto il sindacato, non solo alla Fiom.
Come si inserisce l’inchiesta di cui mi stai parlando con il percorso sindacale che state intraprendendo in Fca e Cnh?
Questo non vuole essere un lavoro di carattere accademico bensì puramente sindacale, perché è del tutto evidente che ci sarà utile anche nel percorso di avvicinamento alla scadenza del contratto collettivo specifico di lavoro e per meglio comprendere le prospettive future del gruppo. Un obiettivo è di far tornare all’interesse dell’opinione pubblica i risultati di questa inchiesta e le valutazioni sindacali che da essa emergeranno. Siamo stati troppo abituati alla rappresentazione del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Perché dobbiamo dirci che la rappresentazione giornalistica – che è stata cucita addosso anche a noi – è sempre stata questa: c’era chi (molti) diceva che andava tutto bene e poi c’era la Fiom che diceva che andava tutto male. Ma il problema è che il bicchiere resta sempre a metà, nella migliore delle ipotesi. Una parte consistente dei lavoratori è ancora in contratto di solidarietà e, dal punto di vista contrattuale, la metà dei lavoratori è fuori dalla contrattazione, perché gli iscritti alla Fiom non sono messi nelle stesse condizioni degli altri. C’è stato però un elemento significativo negli scorsi mesi: nella votazione per il rinnovo dei rappresentanti per la salute e la sicurezza (Rls), la Fiom è stata riconosciuta come prima organizzazione sindacale. Quindi, i delegati della Fiom sono la maggioranza degli Rls eletti dentro agli stabilimenti Fca e Cnh. Con questa novità, sia gli altri sindacati, che l’azienda, che noi stessi dobbiamo fare i conti, perché si tratta di una volontà esplicita da parte dei lavoratori, che non hanno detto un no per conservare ma un no per cambiare.
Recentemente è stato rinnovato unitariamente il contratto nazionale dei metalmeccanici e sappiamo bene che Fca è fuori da Federmeccanica e, quindi, non riconosce quell’accordo. Pensi che si apriranno delle contraddizioni in tal senso? E quali sono oggi le differenze contrattuali tra i lavoratori del gruppo Fca Cnh e quelli di aziende aderenti a Federmeccanica?
Questo ragionamento è già oggetto di un confronto con tutti i delegati. La prima differenza è che sul contratto nazionale hanno deciso i metalmeccanici con un voto. In Fca e Cnh non abbiamo un riconoscimento contrattuale da parte dell’azienda, quindi il primo problema è che non c’è un tavolo unico di negoziazione. Nel corso del prossimo anno potrebbe rideterminarsi uno scenario che abbiamo già conosciuto nel corso dello scorso rinnovo del Contratto specifico: facciamo le assemblee, presentiamo un’ipotesi di carta rivendicativa, che viene votata dai lavoratori, ma questa poi finisce sul binario morto del primo incontro con l’azienda, che procede a costruire l’intesa solo con le altre organizzazioni sindacali. Il primo tema, allora, è di impedire che ci mettano su un binario morto, che tra l’altro alimenta un’idea pericolosissima: quella per cui continuiamo ad avere ragione, abbiamo un grande consenso di applausi nelle assemblee ma ciò, di per sé, non cambia la condizione dei lavoratori dentro agli stabilimenti. Il nostro obiettivo deve essere quello di non accontentarci degli applausi in assemblea ma fare più contrattazione, sentirci più corresponsabili e desiderosi di metterci in gioco.
La seconda questione è quella della chiave democratica. Il tema vero non è tanto l’esclusione della Fiom, ma l’esclusione dei lavoratori da qualsiasi decisione, sia nella fase di preparazione della piattaforma sia nella fase di conclusione del tavolo negoziale. In Federmeccanica siamo arrivati con due piattaforme diverse ma oggi i lavoratori hanno votato su un’ipotesi di accordo unitaria e riconosciuta sia dall’impresa che da tutte le organizzazioni sindacali. In Fca e Cnh non c’è nessun riconoscimento del testo unico sulla rappresentanza – comunque lo si giudichi – perché il sistema di relazioni sindacali è improntato su un altro meccanismo: non è prevista la partecipazione democratica dei lavoratori ed è, nei fatti, l’azienda che decide unilateralmente sui contratti.
In merito al salario c’è oggi una differenza sostanziale, perché in paga base i lavoratori Fca – dal 2013 – non ricevono aumenti contrattuali, a differenza dei loro colleghi metalmeccanici. Quindi c’è un tema che riguarda proprio l’istituto contrattuale della paga base. Nel concreto: un lavoratore Fiat se gli si applicasse ancora il contratto nazionale avrebbe mensilmente circa 70 euro lordi al mese in più. Questa distanza è destinata ad aumentare con il nuovo contratto. Questo perché in Fca e Cnh non esiste più la distinzione tra gli elementi della retribuzione complessiva, che sono invece ben distinti nel contratto nazionale dei meccanici. Con il Contratto Fiat abbiamo assistito alla trasformazione della paga base e degli elementi fissi, anche premiali, in elementi completamente variabili che, con la legge di stabilità, sono diventati detassabili e, quindi, si sono “magicamente” trasformati in buoni benzina o simili. Il nostro obiettivo deve essere invece quello di ricostruire gli istituti contrattuali separati tra loro, per poter finalmente tornare a negoziare nei confronti dell’azienda.
C’è poi la questione degli orari di lavoro. Nel nuovo contratto nazionale si ribadisce che le Rsu hanno una funzione fondamentale nella contrattazione degli orari di lavoro mentre in Fca non avviene nulla di simile. Le Rsa sono al massimo informate di quanto deciso dall’azienda, che può davvero fare tutto quello che vuole: dal cambiare la turistica, all’utilizzare i Par per coprire il 19esimo o 20esimo turno e così via. Abbiamo un utilizzo unilaterale della prestazione lavorativa e ciò impedisce qualsiasi possibilità di contrattare.
Altra differenza sostanziale riguarda il welfare. Mentre nel contratto nazionale dei metalmeccanici andiamo verso un’estensione della sanità integrativa anche a familiari e lavoratori a tempo determinato, in Fca e Cnh bisogna pagare 65 euro a testa all’anno per accedere al fondo sanitario, 50 euro i familiari. Per quanto riguarda Cometa c’è stato un aumento di contribuzione del 2% da parte dell’impresa e invece in Fca è rimasto tutto a livello precedente.
Mi pare di capire che i risultati raggiunti col rinnovo unitario del contratto nazionale e i contenuti di quell’accordo posso essere utili anche in Fca, possono far esplodere delle contraddizioni…
Certamente. Dobbiamo mettere in parallelo la situazione che c’è in Federmeccanica con quella in Fca e Cnh, per informare i lavoratori delle discrepanze e per aprire una campagna rivendicativa.
Noi in questi anni abbiamo maturato un consenso importante, abbiamo aumentato il numero dei voti e degli iscritti. Ovviamente la situazione non è omogenea, perché c’è stata una riduzione complessiva delle ore lavorabili e molti sono in contratto di solidarietà o cassa integrazione. Noi abbiamo contestato a Fca e Cnh di essere uscita dal contratto dei meccanici, perché ha diviso i lavoratori tra loro, cioè quelli del gruppo da tutti gli altri. È del tutto evidente che questa decisione di uscire da Federmeccanica è nelle mani dell’impresa, che ha deciso con la complicità delle altre organizzazioni sindacali. Ma oggi con la firma unitaria del contratto nazionale, col voto dei lavoratori che ne certifica la democrazia, bisogna che anche in Fca e Cnh si apra un percorso perché non ci siano più disparità di trattamento. Per la Fiom il primo tema è di ricostruire un elemento comune, di riunificare tutti i lavoratori metalmeccanici. A essere divisi l’unica che ci guadagna è la controparte: l’aver firmato un contratto nazionale di categoria con quelle caratteristiche può essere di grande aiuto anche a noi che operiamo in Fca e Cnh.
Questo articolo è stato pubblicato da Inchiesta online il 17 febbraio 2017. L’intervista è in uscita su CS.info n.3, newsletter della Fondazione Claudio Sabattini