Il partito: perché si è persa la sua dimensione collettiva – Prima parte

9 Gennaio 2017 /

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di Sergio Caserta
Il Partito è un uragano denso di voci flebili e sottili e alle sue raffiche crollano i fortilizi del nemico. La sciagura è sull’uomo solitario, la sciagura è nell’uomo quando è solo. L’uomo solo non è un invincibile guerriero. Di lui ha ragione il più forte anche da solo, hanno ragione i deboli se si mettono in due. Ma quando dentro il Partito si uniscono i deboli di tutta la terra arrenditi, nemico, muori e giaci. Il Partito è una mano che ha milioni di dita strette in un unico pugno. L’uomo ch’è solo è una facile preda, anche se vale, non alzerà una semplice trave, né tantomeno una casa a cinque piani. Ma il partito è milioni di spalle, spalle vicino le une alle altre e queste portano al cielo le costruzioni del socialismo, il Partito è la spina dorsale della classe operaia. Il Partito è l’immortalità del nostro lavoro. Il Partito è l’unica cosa che non tradisce.
Vladimir Mayakovsky

Oggi si fa un gran parlare della crisi dei partiti, che non ci sono più i partiti di una volta, esistono ormai solo partiti dei leader e partiti per i leader, la politica si è personificata, dominata dal bisogno dell’immagine vincente del capo senza il quale il partito appare un guscio vuoto, una nave senza timoniere. La legge inesorabile dell’onnipotenza mediatica, impone che la leadership sia incarnata dall’uomo (ancora da noi la donna non c’è arrivata) vincente a tutto campo.
I partiti non erano così appena trent’anni fa, vale la pena ricordare che con tutto il negativo che la cosiddetta “prima Repubblica” ha proiettato di sé all’indomani di Tangentopoli, fino ad allora i partiti, intesi come organismi collettivi, avevano goduto di rispetto e perfino di considerazione.

Prescindendo dai diversi punti di vista su quale sia stata la filosofia politica predominante in Italia, diciamo che per molto tempo essa si è incarnata nel centrismo moderato democristiano con una concorrenza molto forte della cultura marxista, comunista e socialista: per tutte queste culture, i partiti erano quei soggetti in cui l’ideologia si trasformava ogni giorno in azione politica, a tutti i livelli.
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Una riunione della direzione democristiana, allo stesso modo di una del comitato centrale del Pci, erano avvenimenti che determinavano conseguenze di rilievo nel quadro politico del Paese: le posizioni dei partiti erano sostanza perché venivano ritenute l’espressione del punto di vista di masse attive che vi si riconoscevano e pertanto avevano un valore pregnante.
Non sarebbe mai potuto accadere come oggi che una discussione di organismi di partito al massimo livello venisse trasmessa in diretta dalle televisioni: non si comprende che ciò svuota di ogni  valenza il dibattito e quindi le differenti opinioni che dovrebbero condurre ad una sintesi, tutto si riduce ad una mera rappresentazione ad uso dei media, in cui i contenuti sono predeterminati.
Un viaggio a ritroso nel tempo ci porta riconsiderare quel che si è perso in queste trasmutazioni che hanno profondamente modificato il panorama e la stessa antropologia politica. Oggi non ci sono più collettivi, al massimo (negrianamente) moltitudini, sempre plaudenti, a volte perfino osannanti.
Non si partecipa più a discussioni attraverso cui formarsi un’opinione comune, ci si schiera per questo o per quello per poi magari constatare, amaramente, che la propria “stella” si è spenta velocemente passando dal firmamento della notorietà al silenzio dell’oscuramento. Così le masse si ritrovano in men che non si dica senza riferimento, cieche nella disperata attesa del prossimo leader.
La politica vera è relegata alla tecné, agli specialisti, a coloro che unti dal “signore dei media”, assurgono per meriti o, il più delle volte, per oscuri meandri alla notorietà: sono quelli che parlano, che intervengono negli show, che dettano la linea, concepita nei recessi del potere.
La platea siamo noi che gioiamo o soffriamo nell’ascoltarli o vederli, ma nulla possiamo per interagire con il “sistema” che è protetto da inviolabili regole di accesso.
Così i partiti sono stati di fatto soppressi, ridotti ad agglomerati di gruppi, sottogruppi, apparati, reti di interessi, notabilati di ogni genere, senz’anima e senza identità precisa che non sia la gestione di una piccola o grande porzione di potere.
(1 continua)
Le foto sono tratte da copertine e pagine degli almanacchi del PCI del 1979 e del 1981

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