di Valerio Romitelli
“Bulgaria della Nato” è la nota e felice espressione con cui è stata stigmatizzata la sudditanza del “nostro” Stato nei confronti degli Stati Uniti. D’altra parte Alberto Sordi e Nino Carosone hanno insegnato a riderci su questa smania degli italiani di sognarsi americani o meglio più americani degli americani. Dopo più di settant’anni di questa sorta di tossicodipendenza è quanto mai difficile interromperla di colpo.
È a questo però che dovrebbe portare la vittoria di Trump. Uno dei suoi maggiori meriti sta infatti nell’ infrangere questo sogno particolarmente diffuso in Italia (ma anche altrimenti presente in Ue e nel mondo) di “fare gli americani”: di prendere a modello il modello della way of life a stelle a strisce.
La cosa più seducente di questo sogno stava nel cullarsi nell’immagine del modello democratico americano visto come regime socio-biologicamente più evoluto di qualunque altro, malgrado le sue evidenti connotazioni di tipo religioso, puritane e calviniste: un regime fatto di più comunità aperte e concorrenti tra loro nel selezionare gli individui più meritevoli, da un lato, dall’altro, nel discriminare e combattere le comunità incompatibili con tale regime.
Da quando i comunisti italiani sono approdati all’atlantismo più ossequioso non è forse questo il regime modello sognato da tutta la sinistra italiana (e forse europea) o quasi? In effetti, durante gli 8 anni dell’amministrazione Obama non era difficile illudersi che questo modello fosse davvero esistente e funzionasse se non al meglio, almeno decentemente. Le insensate stragi reiterate, la guerra a bassa intensità della polizia contro gli afroamericani e tanti altri fenomeni poco edificanti disturbavano sì questo sogno, ma mai al punto di interromperlo.
È proprio questo che invece sta succedendo con il successo di Trump. Il successo di questo personaggio così “scorretto” e volgare, eppur da capo a piedi americanissimo, mette definitivamente in discussione l’idea che la democrazia statunitense sia il regime socio-biologico da imitare. E così viene a essere irreversibilmente minacciato il sogno italiano, e non solo, di inseguirlo come modello.
In realtà tutto il peggio di quel dice Trump non rivela altro che la faccia oscura di questo modello. Non ne rivela altro che ciò che la sua versione “democratica”, specie alla Obama, puntava a tenere nascosto o meglio a esternalizzare. Il disprezzo per latinos, donne e gay che ha manifestato l’attuale inquilino della Casa Bianca non assomiglia forse al disprezzo dimostrato sotto il suo predecessore nei confronti di nemici geopolitici come i libici, i russi o i siriani fedeli al proprio governo? Trump insomma non fa che applicare all’interno del suo paese quella stessa discriminazione di tipo comunitario e socio-biologico che durante l’amministrazione Obama è stata adottata in questioni estere.
I sognatori italiani del modello americano, specie quelli di sinistra, faticheranno non poco a svegliarsi e constatare la nuova realtà. L’odio rispetto a Trump che li ha costretti a ridestarsi li spingerà certo a addossargli tutte le colpe assieme tutti quelli che lo sostengono o cercano di spiegarne razionalmente il successo -come il sottoscritto. Ben difficilmente tali sognatori si rassegneranno a guardarsi allo specchio chiedendosi quale visione politica si sentono in grado di sostenere, una volta dissoltosi il tanto amato modello americano. Piuttosto la nostalgia per il loro perduto sogno li spingerà fino a auspicare quella eliminazione del Presidente, cui forse si sta già pensando e che rientra perfettamente nelle tradizioni politiche a stelle e strisce.
In ogni caso, è loro preclusa in partenza la capacità di apprezzare l’altro grande merito della vittoria Trump.
Il merito di far intravedere la possibilità di una diplomazia mondiale non più fondata su quelle ataviche discriminanti tra occidente e oriente che l’Impero americano da quando non ha rivali nel dominare il mondo ha riattualizzato con fervore. Non si può trascurare che i governi russo, quello cinese e anche quello egiziano si sono dichiaratamente espressi a favore dell’attuale presidente degli Stati Uniti. Né si può trascurare il fatto che egli sia giunto a rimetter in discussione l’utilità della Nato, un’alleanza -ricordiamolo- nata per contrastare il comunismo, ma sopravvissuta al suo crollo eppur quasi inspiegabilmente sempre orientata a combattere sugli stessi fronti.
Un’aura di pace sembrerebbe dunque diffondersi come mai dalla fine della seconda guerra mondiale. Forse con questa nuova presidenza degli Stati Uniti inizia a finire davvero questo lunghissimo dopoguerra che sembrava non dovere finire mai?
Il sognatore del modello americano, in versione democratica, avrebbe, se possibile, un ulteriore sussulto di fronte a simili frasi. Contro di esse citerebbe tutte le volte in cui Trump ha ribadito di voler armare ulteriormente e rendere ancora più potente l’America
Al che non c’è nulla da controbiettare.
Certo è che al fondo gli Stati Uniti restano tali: dotati della più grande potenza militare mai conosciuta nella storia dell’umanità. Potenza unica ad aver fatto uso di bombe atomiche. Una potenza, quasi sempre coinvolta dal 1945 ad oggi in guerre piccole e grandi, segrete e manifeste. Che questo possa cambiare con Trump è certo dubbio.
Il declino generale di questo paese però (che il livello indecente di queste stesse elezioni dimostra) pone una speranza e una domanda. La speranza è che le aperture pacifiche verso Russia e Cina favoriscano la creazione di una reale multipolarità geopolitica. La domanda è: se l’America si stia orientando verso un’amministrazione prevalentemente pacifica del declino della sua egemonia mondiale oppure se, come la Clinton dava da intendere, è intenzionata a vendere cara la pelle.
Questo articolo è stato pubblicato da Inchiesta online l’11 novembre 2016