Una sinistra per l'Europa

24 Ottobre 2016 /

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di Roberto Musacchio
Berlino, dal 16 al 18 dicembre. Sono il luogo e i giorni in cui si svolgerà il quinto Congresso del Partito della Sinistra Europea. Il primo, in realtà un numero zero, fu a Roma nel 2004 e vide il passo d’avvio della nuova creatura politica. Era stato fortemente voluto dal Prc, allora guidato da Bertinotti e ancora “forte” nonostante le tante traversie politiche e tutto impegnato a ridefinirsi nella stagione del movimento dei movimenti, e dalla costituenda Linke tedesca, di cui ricordo il grande impegno di Lothar Bisky che purtroppo non è più tra noi.
L’ultimo appuntamento fu a Madrid, due anni fa, e lancio’ la candidatura alla Presidenza della Commissione Europea e dunque il candidato di riferimento per le imminenti elezioni europee di Alexis Tsipras che del Partito della Sinistra Europea è anche il vice presidente. Tra l’uno e l’altro appuntamento ci sono i congressi di Atene, di Praga e di Parigi a definire un percorso importante.
Il Partito della Sinistra Europea è infatti una costruzione significativa che è andata crescendo per numero dei soggetti coinvolti, aree geografiche e capacità politica. Questo anche negli alti e bassi dei vari partiti che lo compongono e che anzi possono trovare in questo riferimento un punto di solidità nei momenti più difficili. Per altro gli anni in cui prese la luce erano quelli in cui si era avviata una pratica politica di movimento al livello europeo. Ricordo le marce per il lavoro che attraversavano l’Europa e i Social forum europei tra i quali spicca l’appuntamento di Firenze. Ma già prima le lotte per la pace e contro i missili.

Degli anni Ottanta avevano caratterizzato una stagione di movimentismo europeo importante. C’erano infatti i primi materiali per una lettura nuova dell’Europa, premonitrice anche di ciò che stava per accadere. Si cominciava a intravedere lo storico limite con cui le sinistre si erano rapportate all’Europa, partendo sostanzialmente da una propria dimensione politica, e di rapporti di forza, nazionale e coltivando forme generiche e per altro assai diverse tra loro di europeismo.
Nell’epoca in cui era ancora forte la contrapposizione dei “blocchi” l’Europa era stata vista, a seconda dei soggetti e delle epoche, e sia a sinistra che a destra, come un luogo terzo cui prestare più o meno confidenza a seconda del proprio rapporto col proprio blocco. Nella stagione in cui nascono i primi movimenti a scala europea si comincia invece a entrare nel merito di cosa sia questa dimensione europea. Fino ad accorgersi che man mano, ma poi assai velocemente, l’Europa reale si andava modificando radicalmente. Era stata il luogo del compromesso sociale e democratico più avanzato.
Andava trasformandosi in uno dei soggetti di punta della rivoluzione conservatrice animata dal capitalismo finanziario globalizzato. Ho distinto tra luogo e soggetto perché questo rappresenta il nodo. Il luogo Europa, che per altro ha una Storia lunga e complessa, si era definito nel dopoguerra come, appunto, quello in cui convivevano i compromessi avanzati sanciti nelle dimensioni nazionali. Il soggetto che io chiamo Europa reale è divenuto la punta di lancia che dicevo.
Perché, come e cosa fare ora? Sono le domande ineludibili dell’oggi. Il perché e il come per me stanno nel venir meno della capacità del movimento operaio, che pure era stata sua fondativa, a portare avanti la sua spinta ad unirsi. Già era stata tragico l’inizio del Novecento con la prima guerra mondiale che aveva frantumato la soggettività del movimento operaio. Ma quando l’epoca d’oro dei trenta anni gloriosi sembrava acquisita in realtà un movimento contrario andava affermandosi.
Si può vedere nella Trilateral del 1974 l’inizio della nuova fase, ma la dimensione europea è stata centrale. Proprio perché il compromesso era così avanzato andava smantellato e affermato un nuovo ordine. E cosa di meglio per chi cercava la sua rivincita di avere di fronte un movimento operaio ormai acquartierato nella sua dimensione nazionale e non più voglioso di ricercare la sua unità generale?
È impressionante vedere come i processi siano andati avanti dall’alto e dal basso. L’alto del nuovo capitalismo finanziario globalizzato e del nuovo mercato del lavoro, globale e frammentante insieme. Dall’alto delle deforme e delle rotture del compromesso democratico. Dal basso delle divisioni costruite nella società. E anche in mezzo, nello stravolgimento dei corpi intermedi a partire dai partiti. Se si pensa alla mutazione genetica del socialismo europeo si ha una conferma lampante. I partiti delle sinistre vanno o cooptati o marginalizzati.
I socialisti hanno scelto di gran lunga la prima strada. Per altro arrivando ad esprimere, lo dico con qualche semplificazione, nello stesso tempo due profili che per altro dicono di combattere: il nazionalismo della Spd e il populismo del PD renziano. Nel frattempo hanno scelto la via delle larghe coalizioni per compartecipare alla costruzione della Europa reale. Fino al l’esempio drammatico di questi giorni della crisi radicale del Psoe spagnolo.
Ma pur in questo prevalente, l’insieme di forze che in modi e fasi diverse aveva cominciato a misurarsi con la nuova dimensione dell’Europa reale ha continuato ad operare ed è tornato a palesarsi. Ciò che sta nel Partito della Sinistra Europea ne è parte significativa. La crescita, la vittoria e, naturalmente anche i problemi, di Syriza parlano della possibilità e della durezza di una alternativa. Recentemente la Linke ha ottenuto a Berlino un risultato che pesa sulla dimensione nazionale tedesca.
L’esperienza di Unidos Podemos sconfina tra forze appartenenti a Sinistra Europea, come IU, e la grande nuova realtà di Podemos. La realtà del GUE, il gruppo parlamentare europeo, è più vasta della stessa SE con forze significative come il Sinn Fein e diversi partiti nordici. Ma poi c’è Corbyn a parlare di una possibile rinascenza di un diverso soocialismo europeo, necessaria anche perché lo sfrantumamento del Pasok può essere l’altro approdo.
Questa sinistra europea alternativa è anche il principale baluardo alle destre che risultano invece alimentate dalle politiche imposte dalle elites. Eltites che “usano” lo spettro delle destre anche per motivare lo statu quo ma che alla fine possono scatenare qualcosa di non più controllabile. Certo le capacità di usare le crisi a proprio vantaggio sono una prerogativa delle nuove classi dominanti. Si veda la gestione che stanno facendo del Brexit dentro e fuori la Gran Bretagna per un nuovo accordo tra una GB hub finanziario globale è una Europa reale sempre più “tedesca”. L’allineamento alla Germania delle varie borghesie nazionali è impressionante ma si comprende se visto non in chiave geopolitica ma di classe. L’austery serve a demolire diritti, e Costituzioni, poi si vedrà.
Ma una sinistra europea è in campo. Discute molto, e si divide anche, su varie prospettive, diciamo in sintesi l’euro si o no. Ma rimane abbastanza unita nel cercare di praticare una dimensione europea del conflitto. Io che non credo che si sia prigionieri di una moneta ma di rapporti di forza sociali e politici, e dunque non credo alla soluzione della uscita, vedo due temi fondamentali e intrecciati. Una nuova dimensione europea, e globale, del movimento operaio, e la lotta per e dei migranti per la libera circolazione e i diritti.
D’altronde la libertà di uscire dai feudi fu l’inizio dell’era moderna. Il congresso di Berlino, nel cuore dell’Europa tedesca e a casa della Linke che ha saputo sostenere Tsipras contro la Merkel e l’Spd stessa, sarà importante. Io lo vivrò da iscritto individuale al Partito della Sinistra Europea quale sono avvalendomi di una possibilità che questo partito offre e cioè di essere direttamente partecipi del suo progetto complessivo.

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