Gli insegnanti non dimenticano

30 Giugno 2016 /

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di Maurizio Matteuzzi
Vi sono specialisti che analizzano i flussi, gli spostamenti di voto dopo ogni elezione. I parametri sono quelli consolidati dalla letteratura statistica in quest’ambito, ad esempio sesso, titolo di studio ecc.
Non ho competenza in merito, e non oso cimentarmi in approfondimenti secondo questo taglio. Vorrei piuttosto chiedere al lettore di concedermi un ragionamento da un punto di vista completamente diverso, forse meno matematizzabile, ma magari ancor più importante. Vengo dal mondo dell’insegnamento, e su quello credo di avere un punto di vista privilegiato, vuoi per interesse, vuoi per la lunga militanza.
Vorrei quindi qui svolgere alcune considerazioni, che partono da un concetto che a me piace citare in modo classico: “empatia”. Ma a chi abbia sofferenza per questo aulico ritorno a quelle che ritengo le “origini”, propongo l’anglismo “feeling”, come sostitutivo in ogni contensto.
Bene, è chiaro che ogni organizzazione politica ha un suo bacino, un suo “terreno di caccia”, che gli è empatico. Così, per fare l’esempio più banale, e abbastanza lontano nel tempo da evitare, spero, polemiche, tra gli allevatori di bovini, ansiosi della revisione delle famose “quote latte”, e la Lega Nord v’era empatia.

Il progressivo passaggio, ormai ampiamente concluso, da una società prima agricola, poi operaia, ad una società del terziario, dei servizi, spesso dell’immateriale, ha profondamente ridefinito i collegamenti empatici tra il vecchio partito comunista e il suo elettorato storico. Oggi non c’è più il PCI, e non ci sono quasi più gli “operai”, nel senso almeno che essi rappresentano una quota assai ridimensionata di votanti.
Se l’attuale PD rappresenti una evoluzione naturale, cioè sociologicamente giustificata, di quella “sinistra”, può essere oggetto di aspra diatriba, il cui approfondimento non può appartenere a queste pagine. Ma un dato va tenuto in considerazione. Se il PD dovesse fondare il suo consenso elettorale su quella che era stata la sua base storica, sarebbe a livelli di consenso marginali, proprio per l’evoluzione dell’economia che s’è detta. Il Pd dunque pesca prevalentemente altrove. Non ho qui né la voglia né la competenza per azzardare una analisi della nuova vulgata, dei patti con il neoliberismo, delle prossimità con Alfano e il centrismo di destra. Nè di riportarmi a certe previsioni marxiane, sulla proletarizzazione del ceto medio. Vorrei invece affrontare un tema molto particolare, specifico, che riguarda il vissuto entro cui da molto tempo mi trovo.
Le teorie monolitiche, a cominciare dalla Chiesa Cattolica, ma allo stesso modo tutte le forme dittatoriali, ad esempio il fascismo, tanto per stare entro i patri confini, hanno sempre e da sempre fatto perno, a costruire la loro “empatia”, sul mondo dell’istruzione, della scuola, della formazione in genere. A far prova, basti l’accanimento sulla diatriba dei finanziamenti alle scuole privare, e i vari subdoli tentativi di aggirare l’articolo 33 della costituzione, che, a malgrado delle geniali e bizantine elucubrazioni di tanti belli spiriti, non potrebbe essere più chiaro.
Normalmente, per quanto si evince dalla storia recente, la democrazia snobba questo punto essenziale. La scuola! Ma via, parliamo di cose serie, di pensioni, di Jobs Act, di disoccupazione, di Brexit. L’università e la ricerca? Ma sono quattro gatti, gli possiamo imporre quel che vogliamo, possiamo raddoppiare l’orario di lavoro, a parità di stipendio, possiamo bloccagli la carriera per 4, 5 anni. Ai Magistrati no, si sa mai, quelli ti mandano un avviso di garanzia durante il G7. Per quelli il blocco è “anticostituzionale”, perché sono “speciali”, “specifici”. Per i professori no, non è anticostituzionale, perché il blocco è “temporaneo”. Uno dice: ma perché, per i Magistrati non lo era, “temporaneo”? Lasciamo stare la logica, non si studia a legge. E prendiamo atto della più eclatante smentita dell’articolo 3 della Costituzione: tutti sono uguali davanti alla legge, fuori che quelli che sono più uguali.
Torniamo alla analisi del voto, e della “empatia”. Renzi, a tratti rappresentato da suoi inconsistenti sodali, Profumo, Carrozza, Giannini, ha sistematicamente snobbato e vilipeso il mondo degli insegnanti. Di ogni ordine e grado. Non starò qui ad analizzare punto per punto la famigerata 107, con i presidi ducetti, la ormai indecente telenovela dei precari quarantenni o cinquantenni. Così come non voglio spendere ormai neanche una parola di commento alla 240, vergogna nazionale manifesta, per quanto attiene all’università. Il succo è semplice: il renzismo imperante, arrogante ed ignorante, si è definitivamente inimicato il corpo docente; il che, al di là dei numeri diretti, in valore assoluto, significa tante cose in prospettiva. Perché gli insegnanti, sempre più vilipesi, maltrattati, snobbati nel migliore dei casi, ora sono compatti, Renzi è il demonio, amen.
Un dirigente furbo del PD dirà: ma in fondo quanti sono? Sì, un bel po’, ma vuoi mettere con il numero delle partite IVA, dei piccoli evasori, della pancia molle della destra centrista? Ecco un conto sbagliato: gli insegnanti, oltre che essere più o meno quel numero che al PD è mancato alle elezioni, sono la catena di trasmissione tra la politica e le famiglie: parlano ogni giorno con i giovani, di ogni età, e ogni giovane parla con la sua famiglia. La proiezione sul domani è facile, è quasi deterministica.
Caro Renzi, avrai risparmiato qualche euro, sulla pelle degli insegnanti; ma hai giocato sulla scommessa perdente: qui non hai perso una battaglia, ma la guerra.

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