Paul Mason: "Cambiamo il capitalismo o torneremo al Medioevo"

29 Aprile 2016 /

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Paul Mason
Paul Mason
di Francesco Cancellato
Rottamare il neoliberismo. Questo l’imperativo di Paul Mason, giornalista economico e inviato dell’emittente britannica Channel 4, che da qualche anno è diventato una specie di guru per la nuova sinistra radicale in cerca d’autore. La sua ultima fatica si chiama “Postcapitalismo” (Il saggiatore) ed è il compendio di un nuovo modello economico «olistico, che sappia stare in piedi da solo». Non una semplice «idea brillante» ma «un insieme di microprocessi» che trasformino il capitalismo dalle fondamenta, per farlo evolvere a misura della società dell’informazione.
Non è un soviet, quello che immagina Mason, ma un mondo libero dai monopoli, in cui la redistribuzione fiscale serve come «sussidio all’automazione» e all’emancipazione dal lavoro. In cui, soprattutto, accanto all’economia tradizionale, coesistono ampi spazi di economia non di mercato: «Servono leggi che proteggano realtà come Wikipedia e che tolgano le rendite monopoliste come quelle di Uber». L’alternativa, spiega a Linkiesta, è una società neo-feudale: «La sinistra radicale deve diventare una forza di governo, con un modello di sviluppo postcapitalista in testa. Se non ci riusciremo – continua – ci riusciranno le destre autoritarie».

Partiamo dall’attualità: che ne pensa dei Panama Papers e dei capitali nei paradisi fiscali? Il premier britannico David Cameron è nella bufera…
Che è un problema politico, ma soprattutto è un problema strutturale, di sistema. Io penso che sia importante, anche e soprattutto per i giornalisti, smetterla di focalizzarsi sulle colpe individuali e iniziare a occuparsi di un sistema marcio. I leakers offrono dati che inchiodano gli individui alle loro responsabilità, ma non danno un’interpretazione della realtà. Serve una nuova narrazione della realtà. Prendersela con Cameron non serve a nulla.
In che senso non serve a nulla?
Il problema politico è chiaro: c’è un’élite globale che in pubblico è caritatevole, fa beneficienza, ma che in privato nasconde i suoi soldi dove nessuno può trovarli, per evitare che la ricchezza sia redistribuita. Non è Cameron il problema. In generale, non è un problema individuale. Tutto il sistema finanziario è colpevole di aver nascosto i suoi soldi, al riparo delle tasse lasciando i redditi dei poveri in posti in cui potevano essere toccati.
Quindi che si fa?
Mi rendo conto che è un’opinione un po’ controversa, la mia, ma in casi come questi, quando è un intero sistema a essere coinvolto, la giustizia retrospettiva serve a poco. Sarebbe più utile dare un colpo di spugna al passato e cambiare le regole, a partire da domani. Sarebbe un modo costruttivo di guardare al problema, una via per risolverlo.
Secondo lei accadrà?
Temo di no, ma spero di sì. Perché l’alternativa è pericolosa.
In che senso?
La scorsa settimana, il mio collega e collaboratore Costas Efimeros, un bravo e importante giornalista greco, ha scritto un editoriale che condivido: se non cambierà nulla, dopo tutte queste scoperte, nella gente subentrerà il fatalismo. Abbiamo avuto i Wikileaks, gli Swissleaks, i Luxleaks, le rivelazioni Chelsea Manning e di Edward Snowden e non è cambiato nulla. Ne sono convinto anch’io: dopo i Panama Papers deve per forza cambiare qualcosa.
Arriviamo al punto: cosa deve cambiare? E come?
Le soluzioni sono di breve e di lungo periodo.
Partiamo dal lungo periodo…
Serve una doppia transizione. La prima, verso un economia a basso impatto ambientale. La seconda, verso un modello di sviluppo con una forte incidenza dell’economia non di mercato. Bisogna convincere le persone è che queste due transizioni sono possibili. E per farlo, è necessario disarticolare il discorso delle élite.
In che senso?
Le élite hanno in mano tutte le istituzioni universitarie, tutti i giornali, tutte le televisioni: non è controllo della mente ma poco ci manca. Non è un caso che siamo tutti convinti che gli ultimi venticinque anni siano stati la forma perfetta di capitalismo. Il problema è che questa stessa ideologia, questo stesso modello, è in un cul de sac perché non è in grado di immaginare una sua evoluzione.
Nel breve periodo invece?
​Serve un reddito minimo garantito per tutti i cittadini. E va accoppiato a una tassazione più progressiva. I Panama Papers mostrano che le risorse per finanziare una misura di questo tipo ci sono.
Più welfare, quindi?
Il reddito minimo non è welfare, ma un sussidio all’automazione.
Cosa significa? Non è molto chiaro…
Può sembrare paradossale, ma oggi potremmo automatizzare tutta l’economia. Sono le aziende che non vogliono. Preferiscono mettere una telecamera su un camion o un bracciale con il Gps addosso a un magazziniere, come fa Amazon. Si usa la tecnologia per controllare le persone, non per liberarle dal lavoro.
Perché dovrebbero?
Perché la nuova economia fondata sulla conoscenza riduce la necessità del lavoro e la scarsità dei beni. E se un bene non è più scarso, i prezzi scendono fino a che il bene non è più commercializzabile. È la prima volta che accade nella Storia. È una bella cosa per l’umanità, ma una pessima notizia per il capitalismo.
D’accordo, ma la fine del lavoro è un guaio anche per i lavoratori…
Non è detto. Non con un modello postcapitalista. Noi non dobbiamo sconfiggere il capitalismo, dobbiamo cambiarlo.
Perché?
Perché l’alternativa al capitalismo non è il socialismo. Non più. L’alternativa è una società neofeduale, senza mobilità sociale, con i grandi monopoli che controllano tutto. Se il mondo fosse una specie di gigantesca Singapore, Wikipedia non esisterebbe. Le grandi corporation che estraggono valore dalla tecnologia non lo permetterebbero. Le uniche start up che avrebbero cittadinanza in quel mondo sarebbero quelle che ambiscono a diventare monopoliste. Non c’entra nulla col capitalismo. I ricchi diventano più ricchi, i poveri più poveri.
Se finisce il capitalismo, finisce anche la democrazia?
Non formalmente. Io non sono preoccupato dal ritorno dei fascisti. Mi preoccupano forme più sottili di autoritarismo. Come quelle che già sono realtà in Turchia, in Russia, in Ungheria, in Polonia, in Ucraina. Tutte democrazie, formalmente. Che tuttavia, mettono il sistema legislativo e dei media sotto minaccia continua. Ecco perché dobbiamo fare in fretta a trovare un alternativa. Perché questo modello, in parte, è già realtà. Anche in Occidente.
A cosa si riferisce?
Abbiamo realtà che già oggi stanno distruggendo tutte le leggi anti monopoliste. Molte delle cosiddette start up cosiddette “unicorn” (quelle valutate sopra il milione di dollari, ndr) non sono nemmeno aziende tecnologiche in senso stretto. Sono semplicemente colli di bottiglia del mercato, che sono lì solo per estrarre rendite. Airbnb estrae rendite, Uber estrae rendite. Non è già più capitalismo, questo.
E come si fa a fermare questo processo?
Con delle nuove leggi, come si è fatto nell’800, durante la prima rivoluzione industriale. C’era un modello economico nuovo, allora come oggi, e bisognava costruire leggi a misura delle fabbriche e delle banche commerciali. A noi, oggi, servono leggi che proteggano l’economia non di mercato – Wikipedia è il più classico degli esempi – e che tolgano il monopolio a Uber. Intendiamoci: a me piace il modo in cui Uber interpreta la mobilità con la sua tecnologia, ma non mi piace il modo in cui estrae valore da questa tecnologia, il modo in cui domina il mercato. In Inghilterra ci sono sei banche commerciali. Io posso spostare i miei soldi da una banca all’altra in ventiquattro ore, senza alcuna penalità. Dovrebbero esserci, allo stesso modo, sei Facebook e sei Uber.
Non è così semplice…
In realtà si potrebbe rispondere in due parole. Washington e Bruxelles. Dovrebbero smetterla, i politici, di dare ascolto alla lobby di Facebook e delle altre Unicorn, e ascoltare la società civile.
È quel che dicono Bernie Sanders negli Stati Uniti e Jeremy Corbyn nel Regno Unito. Che ne pensa del fatto che i due leader emergenti della sinistra nelle economie capitaliste per definizione siano due arzilli vecchietti che si definiscono socialisti?
Io penso che siano un fenomeno interessante, diretta conseguenza delle proteste che hanno seguito la crisi finanziaria del 2008. Molti dei giovani che hanno partecipato a quelle manifestazioni hanno pensato che non fosse produttivo farsi picchiare dalla polizia e hanno cercato una sponda politica.
Perché un giovane finisce per fidarsi di due come loro?
Sanders e Corbyn sono due leader simbolici. Due vecchi puri, integerrimi, gli unici di cui fidarsi. Sotto di loro ci sono i ventenni e trentenni, però, e se guardi i loro staff te ne accorgi immediatamente. Certo, ci sono eccezioni come Pablo Iglesias, come Alexis Tsipras, o come il sindaco di Barcellona Ada Colau. Ma c’è una generazione mancante, in quei movimenti, è quella di mezzo, degli sconfitti dal neoliberismo e dalle terze vie. Ed è un rischio.
Perché?
Perché serve una classe dirigente pronta a governare, quando sarà il momento. Perché se non lo faremo noi, lo farà la destra.
Questo articolo è stato pubblicato sul sito L’inkiesta il 13 aprile 2016

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