Una conservatrice ambiziosa e ambigua, amica della plutocrazia Usa: Hillary Clinton

19 Aprile 2016 /

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Hillary Clinton
Hillary Clinton
di Claudio Cossu
Tra pochi giorni nello stato di New York si terranno le “primarie” del Partito democratico: l’ambiziosa Hillary Clinton, che peraltro ha subito recentemente una sconfitta non lieve nel Wyoming (stato dell’ovest ), da parte dell’abile avversario Bernie Sanders, candidato, del pari, per le stesse primarie, si batterà, nuovamente, il 19 aprile per ottenere i 291 delegati di quello stato.
Due visioni della gestione amministrativa e politica dela cosa pubblica, della realtà più potente nel mondo, due filosofie – si fa per dire – del tutto contrastanti e non conciliabili. I due candidati si sfidano dunque, avendo il sostegno delle lobby finanziarie l’una, l’appoggio dei movimenti giovanili per i diritti civili, tipo “Occupy”, l’altro, che ha un progetto di rinnovamento sociale decisamente progressista.
Un socialismo, quasi, che trova radici lontane, negli Usa, in idee di uomini come Eugene Mccarthy, Robert Kennedy e giù giù fino ad arrivare alla figura di Franklin D. Roosevelt. Bernie Sanders cerca di contrastare le oligarchie statunitensi, le riforme fiscali fatte a favore di Wall street, del capitalismo tout court, mondo che ha già ben finanziato la Clinton con 15 milioni di dollari.

“Non si ottengono 15 milioni di dollari di finanziamenti da Wall street. Non se si è fautori di reale cambiamento”, ha commentato il “New York Daily News” (Luca Calada, “Il Manifesto”, .10 aprile 2016, pag. 7). Ma Hillary Clinton vuol mantenere la società Usa nell’attuale, deludente e statico immobilismo, sia sotto il profilo socio-economico che in quello dello pseudo-solidaristico della sanità o nel culto della violenza che si scatena facilmente (vedi “Bowling a Colombine”, film di Michael Moore) nei collegi e nelle strade con l’agevole acquisto delle armi da fuoco.
Hillary, peraltro, non ha mai pensato di smantellare le prigioni dell’orrore di Guantanamo né ha manifestato l’intenzione di abolire la barbarie della pena di morte ancora vigente negli Usa, un Paese dove “la plutocrazia rappresenta l’1 per cento della popolazione, ed un precariato che riempie il restante 99” (Noam Chomsky – intervento in Dewey Square, Boston, ottobre 2011 – “Dal popolo e per il popolo”, Asterios, Trieste 2011).
La sfida è rilevante e comporta, praticamente, di poter “afferrare saldamente” le redini che guideranno lo Stato più potente del pianeta (sia pure in decadenza). La politica della Clinton risulta, pertanto, quella della continuità e dello ” status quo”. Non parla mai di salari e mai si schiera a favore di rivendicazioni salariali, trascura palesemente la “working class” (la classe lavoratrice) di quella grande realtà.
Ma il match più importante e la cui vittoria aggiudicherà ben 546 delegati, avverrà il 7 giugno, nello Stato della California. Da ultimo: l’assenza di volontà di innovazione, nella Clinton, a parte i poteri forti che la sostengono, a cosa si deve? Opportunismo, tatticismo politico o forse Hillary ha compreso, cinicamente, l’anima profonda del cittadino medio americano, nella sostanza qualunquista politicamente e che deve affrontare noiose procedure burocratiche per poter votare (quasi sempre nella misura circa del 35%) e non crede molto nelle istituzioni di quella società calvinista.
O forse ha fatto suo il motto di Socrate, quando diceva che il potere appartiene sempre alle minoranze, pur costituendo, i poveri, la maggioranza in un paese?

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