di Raffaele Liguori
«Se non affrontiamo seriamente il problema della spoliticizzazione come causa della crisi della democrazia, e quindi della sinistra, non ne verremo fuori». Lo dice Luciana Castellina, ospite oggi a Memos.
Castellina, 86 anni, è protagonista di una parte importante della storia della sinistra italiana. Militante nel Pci fino al 1970, quando fu radiata dal partito insieme al gruppo del manifesto; la sua militanza politica ha attraversato diversi partiti della sinistra: il PdUP, Rifondazione comunista, Sel, la lista Tsipras. È stata parlamentare a Roma e a Strasburgo. Oggi è presidente onoraria dell’Arci.
La conversazione di Memos inzia dal caso Regeni. Luciana Castellina è stata tra coloro che in queste settimane si sono mobilitati per chiedere verità sull’uccisione di Giulio Regeni. “Non permetteremo che venga calpestata la dignità dell’Italia”, ha detto ieri il ministro degli Esteri Gentiloni. Perché il capo della diplomazia italiana parla di “dignità dell’Italia”?
«L’espressione “dignità dell’Italia” viene usata troppe volte, a proposito e a sproposito. Gentiloni sembra voler dire che non è possibile che un Paese accetti che un suo cittadino venga ucciso con la connivenza di un altro Stato».
Perché il governo italiano, come altri governi europei, non è altrettanto determinato nel denunciare altre connivenze, penso alle contiguità tra alcuni Paesi alleati (Arabia Saudita, Qatar, Turchia) e il terrorismo di Daesh?
«La cosa più dignitosa che potrebbe fare l’Italia e l’Europa – sostiene Luciana Castellina – è riflettere sul proprio passato colonialista, sul disastro che abbiamo prodotto nelle aree dalle quali provengono i profughi e si scatenano le guerre. Penso a quanto è stato fatto alla caduta dell’Impero Ottomano, dopo la prima Guerra mondiale: tutta questa area ex coloniale è stata spartita tra francesi e inglesi creando stati artificiali messi insieme solo in nome di un interesse petrolifero. La dignità di un Paese dovrebbe cominciare da qui: riflettere sul perché c’è tutto questo (il terrorismo internazionale, ndr). Sembra che venga dalla cattiveria di Maometto! È impressionante come anche in Francia nessuno si chieda il perché ci odiano tanto. Se uno non si pone questa domanda è difficile capire come poi tutto possa finire in cose orrende, come il terrorismo che rappresenta la degenerazione di uno stato di disordine, malessere, di guerra e miseria».
I terroristi di Bruxelles e Parigi e i loro complici sono per lo più cittadini europei. L’Europa appare così “compatibile” con il terrorismo jihadista. Perché?
«È la prova di un fallimento clamoroso. È significativo che si tratti di ragazzi nati in Europa, educati nelle scuole europee. Vuol dire che questa società non è riuscita a impedire processi degenerativi di tale portata. Sono evidenti fenomeni di orrenda degenerazione, ma anche di disperazione».
La sinistra. Ezio Mauro su Repubblica ha descritto una sinistra riformista in crisi, l’ha chiamata “la rosa appassita del riformismo”, “la fine del secolo socialdemocratico”. La colpisce?
«Credo che prima di parlare di crisi della sinistra occorra parlare di crisi della democrazia. La crisi della democrazia produce, poi, anche la crisi della sinistra. La sinistra ha bisogno della politica e della democrazia. Molto di più di quanto non ne abbia bisogno la destra, che ha altre leve per poter operare e incidere (la proprietà, l’impresa). È la sinistra ad aver bisogno della politica per poter correggere le disuguaglianze prodotte dal mercato. Oggi, credo che il punto di partenza sia la crisi della democrazia. La democrazia si è terribilmente impoverita in questi ultimi decenni. Sempre più decisioni sono nelle mani degli amministratori, degli esecutivi. La gente non partecipa più, non riesce più a deliberare. Capisco che ai ragazzi non interessi la politica. Se la politica significa dire “mi piace o non mi piace” ogni cinque anni, allora meglio occuparsi di football. Tutto il potere decisionale si è ormai concentrato nelle mani di esecutivi che rispondono inevitabilmente ai poteri forti. Non c’è più ciò che rende tale la democrazia, e cioè la politicizzazione, la partecipazione. Il cittadino, prima ancora di avere un diritto alla libertà, ha diritto a un potere deliberante che non può essere chiuso solo nei “palazzi”. Se non affrontiamo seriamente il problema della spoliticizzazione come causa prima della crisi della democrazia, e quindi della sinistra, non ne verremo fuori».
Questo articolo è stato pubblicato da Radio Popolare il 6 aprile 2016