"Non luogo a procedere": una voce fuori dal coro delle solite lodi a Magris

29 Ottobre 2015 /

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Non luogo a procedere
Non luogo a procedere
di Claudio Cossu
Non me ne voglia il concittadino Claudio Magris se intravvedo, nelle pagine del suo ultimo romanzo-saggio, Non luogo a procedere, le tesi e le considerazioni già svolte da un altro bravo e valido scrittore triestino, meno fortunato letterariamente, peraltro, e ormai dimenticato, l’ebreo Ferruccio Folkel, che visse prevalentemente a Milano – per ragioni
finanziarie – ma che ebbe sempre nella mente l’ossessione, i tormenti e gli incubi delle efferatezze commesse dai carnefici delle SS, nell’Adriatisches Kustenland.
Realtà creata politicamente dall’occupante nazista e che ospitò tristemente la Risiera di San Sabba, campo di transito per gli ebrei stanati e catturati dagli occupanti e di sterminio per i partigiani italiani, croati e sloveni, rastrellati nella Venezia Giulia, Campo in cui si operò tranquillamente e senza grandi, vere e significative contrarietà di rilievo o sussulti di reazione politica o di rivolta di qualsivoglia natura, rabbiosamente ostile da parte di alcuno, nella città mitteleuropea, vale a dire a Trieste.
Del resto, chi poteva sapere o, meglio, chi mai avrebbe cercato di voler sapere di più e a fondo in una città in cui Mimmo Franzinelli rivela che ebbe il più alto numero di delazioni in Italia, da parte della popolazione (“Guerra di spie”, Milano 2010)? La città accettò sempre, o quasi, “il nuovo ordine europeo”, come lo chiamavano gli uomini del terzo Reich, anche se inconsapevolmente, e seppe convivere con quella occupazione e si lasciò trascinare, sia pure di malavoglia e per lo più per convenienza, dalle allettanti promesse della nuova organizzazione socio- economica d’oltralpe.

I suoi imprenditori, infatti, fecero buoni e lucrosi affari con le aziende del mondo germanico e delle regioni europee contermini, ed i criminali della Risiera o delle SS, a guerra conclusa, seppero immettersi nel tessuto affaristico e commerciale del mondo triestino senza rispondere mai o avere alcun “disturbo” processuale per il relativo operato . Come, ad esempio, quel tal Rajakovich, ingegnere divenuto triestino tra i comuni abitanti triestini operosi della città giuliana, sino al 1963, o quel certo Oberhauser che dalla Risiera passò agevolmente all’opera di birraio a Monaco di Baviera, indisturbato, rifiutando – inoltre – interviste ed evitando imbarazzanti domande da parte dei vari giornalisti.
“Trieste saluta Vienna”, diceva al mattino la radio locale, retta da un funzionario nazista colto e, mi risulta, preparato e abile. E Vienna rispondeva al saluto, ogni mattina. Il principale giornale della città era diretto, peraltro, da Rodolfo Maucci, un germanista che Folkel definisce “un collaborazionista senza altri aggettivi” (La Risiera di San Sabba, Milano, 2000), pagina 73. Un apprezzabile e notevole guizzo, ma di spessore narrativo e non “saggistico”, Claudio Magris lo compie nella figura, rimodellata e “romanzata” di de Henriquez (unitamente alla segretaria, del tutto immaginaria), non cadendo, pertanto, nel dejà vu e salvando così l’opera dagli aspetti analizzati a fondo e impietosamente dal Folkel che sezionò la società complessa della Trieste invasa dall’insegna della svastica ( e che seppe, talvolta, anche tacere).
Ma si può muovere una valutazione, di qualsiasi natura, morale, giuridica o ” umana”, nei confronti di tutta una cittadinanza, imbottigliata in quel contesto di crudeltà ed orrore che fu l’Adriatisches Kusterland, ospitando – in particolare – la Risiera di San Sabba, in mano a energumeni e criminali nel biennio 1943-1945, cittadinanza timorosa, d’altronde, di schierarsi dalla parte del mondo “slavo”, parte essenziale della città ma composto prevalentemente dalle formazioni dei partigiani, efficienti militarmente e con ogni mezzo avverso il triestino (di nascita) Globocnik, capo della famigerata Risiera, ma considerati dai “benpensanti” comunisti e, quindi, contro l’ordine delle istituzioni?
Una realtà trascurata, se non volutamente omessa, dall’autore del libro, che evidenzia l’assenza della Resistenza slava, fattore fondamentale per la Trieste occupata brutalmente. Assenza che il Folkel non avrebbe di certo perdonato.

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