Pietro Ingrao / 1: addio a un compagno che ha segnato la storia

28 Settembre 2015 /

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di Sergio Caserta
Quando ci lascia un compagno come Pietro Ingrao, per i vecchi comunisti ritorna la mozione dei ricordi e degli affetti, dolorosamente compressi dalla dura lezione del tempo e dei fatti. Ingrao ha rappresentato per più di una generazione, l’ideale del comunismo inteso come ricerca di un nuovo orizzonte culturale e politico. Ingrao era l’intellettuale e il dirigente che sapeva coniugare il rigore dell’analisi con la tensione della poetica che fuoriusciva dalle sue parole in una costruzione etico-logica, cioè una fertile combinazione di sensibilità e di riflessione sulla condizione umana, prima ancora che su quella della “classe”.
Da una postazione di terza fila, avendogli solo stretto la mano in qualche circostanza, Ingrao era per me il “vate”, colui che t’indica la strada come un maestro personale, nello stesso tempo era il tribuno che nei comizi sapeva toccare le corde più profonde del senso di giustizia e di riscatto sociale che permeava il suo comunismo.
Ricordo in particolare un’occasione a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, credo fosse il 1977 e c’erano le elezioni amministrative, lui dal palco nella villa comunale affrontò il tema del meridione, della classe operaia del sud e di quella del nord che dovevano unirsi per cambiare l’Italia e “in un fuoco incrociato” disse, “sconfiggere quella proterva Dc di Gava che tanti danni ha prodotto e ancora arreca al meridione e al Paese”.

Parole pronunciate perché restassero nella testa dei cittadini elettori e che chiarivano oltre ogni modo qual era il campo in cui noi si stava. Il secondo fotogramma me lo riporta quando in televisione lo intervistarono all’aeroporto, appena tornato da Madrid, perché Occhetto aveva deciso la svolta della Bolognina, senza informare la direzione del Partito. Rispose con molta cautela, ma dal volto e dal tono si comprese benissimo cosa pensava, dopo ce ne accorgemmo.
Me lo ricordo al congresso di Rimini, quello della fine del Pci, e commosso nella riunione della mozione congressuale che dava vita a Rifondazione, a cui non partecipò infine, insieme ad Aldo Tortorella e a molti altri che restammo con loro ancora “nel gorgo”. Se il Pci non fosse finito così come l’hanno determinato coloro che vollero e gestirono la svolta, se avessimo potuto contare su un cambiamento più serio, più adeguato sul piano culturale e politico, se si fosse fatto tesoro del pensiero di Ingrao e di tanti altri personaggi nel partito di elevata statura che furono invece messi ai margini, oggi forse la storia della sinistra e quella del Paese avrebbero potuto essere diverse.
Si sa però che la storia non si fa con i se e con i ma, purtroppo.

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