A proposito della vicenda Ferriera di Trieste: se la memoria va in polvere

31 Luglio 2015 /

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La Ferriera di Trieste
La Ferriera di Trieste
di Marino Calcinari e Antonio Saulle, APCS – AET (Associazione Politica per la Costituente della Sinistra – AltraEuropa con Tsipras)
Una vertenza ventennale che caratterizza l’immobilismo della politica e condiziona le proposte sullo sviluppo industriale della città: è questo il costo pagato e che pagheranno i lavoratori, i cittadini, i giovani. La vicenda Ferriera è esemplare, a parte le cronache di questi giorni, per più motivi.
Il primo: non si rappresenta mai, se non inserito in una logica di ragionamento subalterna all’impresa, il punto di vista dei lavoratori. Il quotidiano locale, ad esempio, con ammirevole efficacia, ha fornito dovizia di particolari sui buoni propositi dell’impresa che ha rilevato lo storico stabilimento triestino, ma nel merito di un quadro di informazioni più complessivo che facesse luce o mettesse in risalto, i punti critici dell’AdP, il punto di vista dei lavoratori, del sindacato – che in quella realtà è niente affatto unitario – la carenza è stata quanto mai greve.
Cosa ne pensano quei soggetti dell’accordo di programma? A quali condizioni si lavora oggi nello stabilimento? Quali cambiamenti dopo sette mesi di gestione Arvedi sono sopraggiunti e/o hanno contributo a migliorare( o per converso a peggiorare) le loro condizioni di lavoro?

Sulla rassegna stampa è presto detto. I titoli trionfalistici non sono mancati. 16 gennaio 2015: “Arvedi: risano la cokeria. Lavoro per 800 persone”. 5 marzo 2015: “Arvedi: Emissioni zero dalla cokeria”, sottotitolo: “In una nota il gruppo di Cremona si dice convinto di poter mantenere l’area a caldo rendendola compatibile con l’ambiente”. E, in un passaggio dello stesso articolo, firmato da Silvio Maranzana, si riportava parte di una nota aziendale che garantiva la realizzazione “di un progetto innovativo per l’aspirazione e la captazione delle emissioni fuggitive fisiologicamente prodotte da tutte le cokerie(anche le più moderne) con la fondata consapevolezza di raggiungere gli obiettivi previsti. Poco sui ritardi e niente sulle motivazioni di tali ritardi.
Il secondo motivo è la deformazione o la dismissione di ogni pensiero critico. Il 12 marzo 2015, mentre la maggioranza consiliare ignorava sia la petizione popolare dei cittadini di Servola sull’argomento, sia quella del consigliere di Sel Marino Sossi,e la FdS, per bocca di Iztok Furlanic, giungeva a sostenere il punto di vista di Arvedi(“..l’area a caldo andava chiusa dieci anni fa quando inquinava:ora c’è un imprenditore che vuole LIMITARE L’inquinamento. Rinunciare a priori in questo momento a centinaia di posti di lavoro non mi sembra una scelta giusta” ), un possibile punto di equilibrio, almeno nella descrizione della vicenda veniva a spezzarsi( definitivamente?), evidenziando più che la pochezza delle argomentazioni filoaziendali, che a noi parevano solari, l’ennesima divaricazione a sinistra, che ha le sue responsabilità congiunte con la destra, che ha svolto due campagne elettorali(Comune e Regione) promettendo la chiusura ed illudendo i cittadini, le associazioni ambientali, i comitati.
Ma certo tutto ciò non giustifica, a vent’anni dalla grande crisi, – quella del 1994 poi risolta dando carta bianca a Lucchini, con gli esiti che sappiamo, – come non solo non si sia fatto un passo in avanti sulla strada della riconversione, o almeno della ricollocazione dell’impianto,( che a rigor di logica non DEVE più stare a ridosso di un insediamento urbano, e che comunque è tenuto, al pari di altre attività produttive a stare dentro i parametri di legge che riguardano le emissioni ambientali ), ma anche come si sia drammaticamente eroso quel margine di “umanizzazione della vicenda “che una volta teneva assieme le ragioni del mondo del lavoro con quelle della crescita civile e democratica della cittadinanza della sua coesione sociale, di tutele e diritti esigibili.
A vent’anni di distanza, e con lo sguardo rivolto alla vertenza Ilva, oggi è chiaro, o almeno comprensibile, che il vero ostacolo alla possibile soluzione della Ferriera è ascrivibile alla subordinazione della politica alla logica dell’impresa( e della finanza) che ha preso il sopravvento, che ha cancellato le ragioni di cittadinanza e lavoratori, che ha piegato ed oscurato le motivazioni per proporre una alternativa di sviluppo compatibile con l’ambiente e rispettoso della salute, sia dei dipendenti che dei cittadini.
Questa subordinazione trova oggi una opposizione che ricorda le rivendicazioni degli anni 70: la nascita di Medicina del Lavoro, resa possibile grazie ad una iniziativa di massa presente sul territorio, il Comitato di Quartiere di san Sabba, che allora aveva rivendicato più attenzione alla salute dei cittadini sul territorio e che, per aver rappresentato questo elementare diritto costituzionale, era stato trascinato in tribunale dai potenti di allora, ma in quella sede aveva vinto. E le fabbriche che inquinavano avevano dovuto pagare e mettersi in regola.
Ma allora vediamo come, in tempi più vicini a noi, si sono mosse le sensibilità sociali e politiche: nel marzo 1995 una presa di posizione, sulla Ferriera, del PRC così recitava “.. se è vero che alla crisi della siderurgia triestina si giunge per responsabilità della gestione pubblica, è altrettanto vero il clamoroso fallimento del primo tentativo di privatizzare lo stabilimento di Servola.
Vi è il rischio concreto che e quando ci sarà la vendita dello stabilimento ai privati, l’interesse di questi sia indirizzato esclusivamente all’utilizzo della banchina e alla realizzazione del terminal rinfuse con la rinuncia dell’attività produttiva. Facendo capire che il costo in salute e ambiente dovuto all’attività siderurgica era dovuto fin tanto che non si trovava un finanziamento pubblico che permettesse all’imprenditore di bonificare e riconvertire la produzione investendo il meno possibile.
A seguire tutte le iniziative degli ambientalisti e delle Associazioni cittadine con filmati, denunce e manifestazioni per evidenziare il degrado ed il peggioramento prodotto dall’attività siderurgica a cui si è sempre risposto che preliminarmente si sarebbe dovuto individuare l’apporto diretto dello stabilimento(!) nell’inquinamento; e per ultimo la denuncia fatta martedi 28 luglio 2015 dai deputati del M5S sulla realtà di Servola attraverso “La valutazione di reperti ambientali tramite indagine nanodiagnostica di microscopia elettronica a scansione e microanalisi a raggi X”, e le conclusioni cui quel lavoro perviene, e che evidenzia il diretto coinvolgimento dello stabilimento come causa dell’inquinamento.
Non solo Trieste è un sito inquinato, ma a livello regionale insistono 32 siti a rischio industriale rilevante di cui sarebbe interessante sapere quante e quali politiche di attenzione, vigilanza, e controlli, analisi di rischio, sistemi di gestione della sicurezza, etc siano state poste in essere per prevenire rischi e pericoli e mettere in sicurezza gli impianti e le persone.
Parliamo di esplosivi, di petrolio, di gas, oli minerali, di impianti chimici, etc. Cosa ha fatto sinora la Regione in materia? sono o non sono le regioni tenute tenute a disciplinare l’esercizio delle competenze amministrative in materia di incidente rilevanti? Cosa aveva dichiarato la Regione il 30 novembre 2013 sulla Ferriera?
Che considerava suo compito fondamentale “la salvaguardia della salute dei cittadini ed è naturalmente al fianco delle istituzioni che si pongono questo stesso scopo, anche in altri ambiti di competenza”. Ma in quel caso l’Assessore Sara Vito si riferiva all’iniziativa intrapresa dal procuratore Frezza che giorni prima aveva informato la stampa sulla sull’intenzione di affiancare proprie indagini ai controlli dell’Amministrazione pubblica sulla Ferriera.
Leggasi anche “Il Piccolo” del 28 /7/2015: “Vito: alzata la guardia sui rischi per i cittadini” e Laureni, assessore ambiente del Comune di Trieste: “il loro – di Arvedi – silenzio ci fa pensare che l’inquinamento sfugge alla loro capacità di controllo. Sono carenti. Non possiamo esimerci dal dire che l’attuale gestione della fabbrica ci preoccupa, gli indicatori di San Lorenzo e le informazioni sulle polveri sedimentate ci fanno ritenere che la conduzione dello stabilimento è carente. Inoltre tutte le sollecitazioni a Siderurgica Triestina, chiamata a rispondere sui PEGGIORAMENTI AMBIENTALI e sulle sollecitazioni pressanti della gente, non sono state evase.”
Con qualche decennio di ritardo si scopre dunque che l’impresa – qualunque essa sia – mira innanzitutto a fare profitto, ad avvalersi di fondi pubblici, a contare sull’acquiescenza delle istituzioni, a speculare sui bisogni della gente e sulle emergenze sociali che la loro stessa politica produce. Lucchini c’è campato vent’anni ed ora Arvedi ci marcia.
Perché, alla fin fine, come ha recentemente ricordato il responsabile nazionale Salute e Sicurezza della Cgil, Sebastiano Calleri, “bonificare, stoccare, smaltire i rifiuti tossici costa tantissimo, e per molti anni l’ambiente e la salute sono stati scambiati più o meno scientemente, con lo sviluppo ed il lavoro, specie al sud e poi…anche se esistono le mappature, i progetti, e si sa cosa si deve fare, poi non si passa all’azione perché mancano i soldi, e si arriva al paradosso di siti bonificati solo in parte, dove viene autorizzata l’installazione di nuove produzioni.”
Sembra che si parli proprio di Trieste, ovvero delle recenti “soluzioni” della Ferriera, e della presenza, neanche tanto occulta, di una regia lobbistica trasversale che in una fase precedente ha salvaguardato e difeso gli interessi della Severstal Lucchini, e che in questa attuale, a cominciare dalla consulenza Rosato, ha traguardato la soluzione Arvedi, senza però fare i conti con le reazioni che tale scelta avrebbe comportato, anche visti i limiti, i ritardi ed alcune contraddizioni presenti nell’Accordo di programma sottoscritto nel novembre 2014 e di cui oggi vediamo solo alcuni aspetti.
La resistenza e le capacità di mobilitazione dei cittadini che non intendono continuare a pagare le conseguenze di una politica dissennata sono un valore che il comune deve assumere. E quindi agire di conseguenza. La lettera di diffida inviata all’Associazione No smog dai legali di Arvedi non è solo un insulto all’intelligenza delle persone, è la rappresentazione materiale di una manifestazione di potenza e prepotenza che non si limita a difendere ed a rappresentare il punto di vista dell’azienda, ma a porlo al di sopra delle parti, indiscutibile ed ingiudicabile, ciò che conferma la pervicacia e la capacità di penetrazione lobbistica a detrimento della democrazia.
Quella lettera deve essere presa in carico dal Sindaco e fatta propria dal Comune, il cui dovere e quello di intervenire infine in prima persona a difendere i cittadini che dice di voler rappresentare: scelga le modalità che ritiene più opportune ma si dia da fare. L’assessore all’Ambiente l’ha detto senza tanti giri di parole: Arvedi non controlla l’inquinamento, la gestione della fabbrica è preoccupante, c’è carenza nella conduzione dello stabilimento, ci sono stati peggioramenti ambientali e sulle sollecitazioni all’azienda a dare risposta – in linea con l’AdP, par di capire – questa non è mai pervenuta.
Resta solo da dire che una battaglia di civiltà, in difesa del lavoro e della salute, quindi, anche qui a Trieste non potrebbe avere successo se innanzitutto non riuscisse a limitare o a trovare i giusti contrappesi per arginare il potere della(delle) lobby e poi configurarsi e poggiare su due precisi capisaldi: la riconversione e la reindustralizzazione controllata del territorio, obiettivi che servono a garantire e formare su basi sicure un programma di sviluppo eco compatibile per la città, ed a seguire il superamento della legge “Sblocca Italia “, perché, restando fermi o sposando le logiche compatibiliste, ciò vetero industrialiste, di questo modello sociale, né Trieste, né il nostro paese avrebbero più possibilità di futuro, avendo perduto, con la capacità di critica, quella preservazione della memoria, per poterne progettare uno diverso.

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