Scuola e università: i capponi di Renzo e la Gelmini

30 Luglio 2015 /

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di Maurizio Matteuzzi
Come insegna Kurt Lewin, la leadership autoritaria massimizza le tensioni tra i membri di un gruppo. Non la metterò sul piano scientifico, ma su quello, meno impegnativo, di lettore di romanzi. E allora riassumo così: è quel che avviene ai capponi di Renzo, portati all’Azzeccagarbugli, che si beccavano a vicenda “come accade molto spesso tra i compagni di sventura”.
Una gestione verticistica come quella introdotta dalla 240 “Gelmini” non poteva non avere, fra i tanti, anche questo deleterio difetto. Porto due esempi accaduti di recente all’Università di Bologna. Il primo, il più eclatante. Dario Braga, prorettore alla ricerca, nota sul suo blog che la procedura di rinnovo della governance d’ateneo è stata malpensata, malfatta, entro un iter temporale a logica “capovolta”: prima eleggo il Senato, poi designo il CdA, infine eleggo il rettore.
Così il nuovo Rettore si ritrova tutti gli organi scelti da altri. Auguri e buon proseguimento. Si noti, Braga dice queste cose da almeno sette mesi, e ha più volte proposto di non seguire questo iter. Ora, a bocce ferme, abbiamo il nuovo Rettore, Braga ribadisce il suo pensiero, si badi bene, sul suo blog, cosa che parrebbe un diritto non tanto di un prorettore, quanto di un qualsiasi privato cittadino.

Apriti cielo. I Senatori (componente docente) unanimi si inalberano. Sono o non sono rappresentati della comunità accademica, “liberamente eletti”? Di quanto siano stati “liberamente eletti” ci si può render conto in un precedente intervento pubblicato su www.inchiestaonline.it (categoria “Scuola e università 27 marzo 2015). Direi che sono più “nominati” dei nostri deputati, il che è tutto dire. Ma perché non sembri una mia personale impressione, rimando al “porcellum” così bene identificato da Repubblica (articolo pubblicato il 23 marzo 2015)
Ma passiamo oltre. I senatori “rappresentanti dei docenti” si inalberano durissimamente con Braga perché ha detto cose che tutti noi sappiamo benissimo, che abbiamo scritto a nostra volta, e più volte. Anzi, mi spingo più in là. Se io fossi in CdA, o in Senato, poiché sono un gentiluomo, rimetterei il mandato al nuovo Rettore, a richiesta di una conferma o meno. Ma, come dice Totò, signori si nasce.
È noto agli addetti ai lavori che, mentre le facoltà erano luogo di dibattito, di formazione del consenso, di confronto democratico, non così avviene per le “schools”, bestie strane che abbiamo il privilegio di avere solo noi italiani, mentre tutto il mondo ha le facoltà. Ma nelle “schools” non si discute, non c’è un Consiglio, non si capisce neanche bene quali siano, se esistono, le loro competenze. In ogni caso non v’è un consiglio degli appartenenti, “cosa loro è”.
L’unico luogo di confronto rimane allora il Consiglio di Dipartimento. Bene, ecco la seconda, recentissima “perla”.
Esce l’informativa rettorale sulla possibilità di chiamate dei docenti che lavorano da più di tre anni all’estero. Ho un caso esemplare, un collega, laureato molti anni fa a UniBO, che ha tutti i requisiti, ha chiara fama, dimostrabile, è nella punta della ricerca. Consiglio di dipartimento di filosofia, chiamata docenti stranieri all’OdG. Io presento una domanda formale, con tanto di CV del candidato, docente a Stanford, prima, a Auckland, all’A&M del Texas, con pubblicazioni al top: Stanford e MIT per essere sintetici.
Si noti bene che, nell’ottica del famoso slogan “rientro dei cervelli”, la chiamata è estremamente economica, anche se, come al solito, dalla legge italiana non si capisce un granché del dichiarato “cofinanziamento” (MIUR? Ateneo? Dipartimento?). Trasmetto per email la proposta a tutti i colleghi, e il CV dell’ipotetico “chiamabile”.
Incredibilmente, il punto, si noti bene, all’Ordine del Giorno, viene sostanzialemnte cassato dal direttore. Non viene esposto, né discusso, e sopra tutto viene impedirta una delibera, una votazione, macché, neanche una discussione nel merito. Giustificazione ufficiale: non è ancora chiaro il meccanismo del cofinanziamento.
Giustificazione “all’italiana”: non ne sappiamo abbastanza sulla partita “spese”. Dunque, quaeta non movēre. Ma era difficile acquisire il parere dei colleghi, e stabilire il tetto di spesa oltre il quale il Dipartiemnto non era disposto ad andare? No, di ciò di cui non si deve parlare, si deve tacere, dice Wittgenstein, vuoi dargli torto? Come estensore della proposta sono allucinato. È questa la spinta alla “internazionalizzazione” tanto cara alle nostre autorità accademiche,e di cui ci si riempie continuamente la bocca? O tutto si risolve nello scrivere sempre “schools” invece di “scuole”?
La democrazia, peggio, persino il diritto di esprimersi, di fare valutare una proposta dai colleghi, sono andati a ramengo. Volendo fare i dispettucci da giurista, non ci sarà un danno erariale, in prospettiva, nel chiamare una figura che costa 100, anziché 0,5, e magari con più competenze?
Così siamo finiti. L’arroganza del potere ritiene, nel ribadire se stessa, di giungere alla fine alla propria autolegittimazione. Ci hanno provato in tanti, il primo e il secondo stato negli stati generali che originarono la rivoluzione francese. E tutte le dittature. Risparmio al lettore una lunga ipotiposi. Come la storia insegna, questa arroganza frinisce sempre male.
Francesco Ubertini è giovane, il che significa vigoria, e ben motivato; tanti auguri, di cuore. Le oligarchie, miopi politicamente ma ben incollate alle loro poltrone, saranno il primo e il più drammatico dei nemici interni. Gli auguro sinceramente di vincere; ma estirparle sarà una battaglia durissima.
Questo articolo è stato pubblicato su Inchiesta online il 26 luglio 2015

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