Ragioni di uno sguardo: contro l'assenza della critica e la negazione delle differenze

13 Luglio 2015 /

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Alla ricerca della cultura
Alla ricerca della cultura
di Luca Mozzachiodi
Da tempo si usa dire che sono venute meno le funzioni socializzanti dei grandi modelli culturali, dei paradigmi di interpretazione della realtà e parrebbe, anche a storici di alto calibro, uno su tutti Eric Hobsbawm, che il rischio di una sparizione della cultura nella sua dimensione di militanza sia uno dei più grossi rischi in un’epoca che considera una faccenda poco garbata la contrapposizione di idee.
Questo non ci porta solo tutti gli insopportabili cascami del politicamente corretto, che tra gli aspetti della vita assedia propriamente e più ferocemente il linguaggio della comunicazione, sia personale che di massa, ma ha anche i suoi effetti specifici su quel particolare tipo di linguaggio che chiamiamo artistico, letterario, poetico, informandone tanto la produzione quanto la ricezione.
Dire che oggi, parlando di letteratura, tutti debbano essere amici di tutti, che non esistano i brutti libri o che, al più, non se ne debba parlare è anzitutto un fatto di costume, una verità che si avverte nella pratica quotidiana con i libri e i loro autori, qualcosa insomma che ci si può raccontare davanti a un bicchiere di vino o al telefono, ma guai a scriverlo; eppure questo principio ci dice oggi qualcosa anche in termini di sociologia della cultura.

Spesso il generale consenso che avvolge gli scrittori quando si considerano come gruppo, al massimo con la generosa inclusione di qualcuno dei sempre più scarsi lettori che non scrivono, si fonda sull’idea di una separatezza della letteratura come parola scritta dalle altre, in qualche modo più generiche, prese di posizione nella vita; si tende ad annullare la discussione critica riportandola in ogni caso ad un livello altro, più vicino alla poeticità che alla funzione di mediazione con ciò che non è letterario che invece le sarebbe proprio.
Ne risulta una sorta di concordia omnium bonorum tra addetti delle penna, ridicola quando assume le forme della comunità di anime belle, rivoltante se si riduce a una cricca per premi e premietti; non è comunque mia intenzione commentare questo, piuttosto le ragioni di uno sguardo nuovo, o forse solo rinnovato, hanno il loro fondamento nella negazione di questa separatezza; sono convinto della natura sociale dell’atto letterario come comunicazione e dell’inevitabilità di un conflitto di idee tra culture diverse e tra diversi scopi, dove ovviamente uno scopo al proprio scrivere e una vera cultura personale si diano.
Recuperare questo tipo di angolazione è doveroso se si crede ancora a una funzione non solo di decoro della letteratura, se non la si crede né un bene di lusso né tantomeno una valida alternativa allo psicoanalista e può riservare grandi lezioni e strumenti da rimettere a nuovo anche in rapporto alla critica sociale e alla pratica politica, come non ultima la tradizione del Manifesto insegna.
Avere tutte queste premesse nel quadro della cultura e della vita di Bologna significa anche recuperarne il passato, ricordare la città di Officina e dei cantautori, dei movimenti studenteschi e di una robusta tradizione civile e politica di sinistra, oltreché di una città che da sempre è centro di cultura universitaria, significa però allo stesso tempo scegliere una strada meno battuta, negare la concordia se necessario, partire dalla differenza, aprire il mondo dell’espressione artistica e leggere anche quello che vi sta intorno e lo permea, quei fatti di verità, perché alla verità ancora si deve credere, che un’opera tace ma mostra nel corpo insieme a quelli che dichiara apertamente.
In primo luogo oggi c’è bisogno di attenzione a queste forme di cultura e arte, soprattutto a quelle che, non provenendo da fazioncelle e consorterie o da agglomerati regionali più o meno digeriti dalla critica accademica, hanno meno spazio agli occhi della pubblicità e del pubblico; altro capitale dovere di ogni operazione culturale che voglia dirsi tale è lo svecchiamento e il rifiuto dei campanilismi, è così necessario recuperare un dialogo con i maestri, fare attenzione alle novità editoriali, parlare anche di letterature e culture straniere.
Da ultimo è importante, forse lo scopo più importante che in sé racchiude gli altri e che certamente è nello spirito ciò che intendiamo quando parliamo di militanza e di vera cultura, costruire un’alternativa culturale, demistificare i linguaggi falsi e contribuire, attraverso ciò che è proprio della letteratura e delle critica letteraria, al rinnovarsi, o al resistere di quelle immagini di società diversa, di quella speranza che ci spinge a renderla reale, di quel pensiero che ci permette di costruirla.
Inaugurando ora una nuova serie di articoli culturali le recensioni, i commenti, le segnalazioni, le analisi, le riletture, i dialoghi e le interviste a questo punto perdono la loro aura professorale e quella magica, se mai l’hanno avuta, e restano come gli strumenti nella cassetta del carpentiere, poco importa se qualcuno ne resta deluso, in questo lavoro a Bologna non si può più tardare.

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