di Sergio Caserta
Secondo il raking del World Press Freedom Index l’Italia mantiene rispetto alla libertà di stampa ed alla qualità dell’informazione il suo 73° posto al di sotto di un bel po’ di paesi africani e asiatici. Non c’è da andar fieri per uno dei membri principali della comunità europea, in cui si oscilla dal primo posto della Finlandia al trentottesimo della Francia. È una nostra prerogativa: l’informazione è nelle mani di pochi gruppi editoriali con molti conflitti d’interesse e la TV pubblica in quelle dei partiti, tra poco secondo il disegno di Renzi nelle mani del solo governo.
Così vanno le cose nel nostro spensierato Paese, e del resto l’abbiamo già vissuta per vent’anni con Berlusconi quella gran cassa, tant’è che ci sembrava poca cosa la “trincea” di RAI tre che fungeva da canale informativo dell’opposizione civile alla “videocracy” del “signore di Arcore”. Poi c’è stata la crisi che è esplosa nel 2008 ma che nei nostri telegiornali ha fatto capolino almeno tre anni dopo, perché fino al 2010 la “nave di Silvio” andava alla grande anche se erano già evidenti tutti gli effetti della crisi. Nel 2011 c’è stato il “botto” e non si è potuto più nascondere che eravamo stati commissariati dell’Europa e che avevamo come suol dirsi “le pezze al sedere”.
Dopo Berlusconi però l’informazione se possibile s’è ancor più istituzionalizzata, ovvero la gestione della crisi nei tre governi non eletti che si sono succeduti (Monti, Letta ed ora Renzi) è stata ed è all’insegna del “c’è solo una ricetta, there is not alternative”. Il caro tg3 ha tolto il basco rosso e ha infilato la marsina a coda di rondine del ciambellano di governo. Nell’informazione locale la situazione non è certo migliore, c’è una sistematica manipolazione di senso: si va dal silenzio assoluto, all’esaltazione di tutto ciò che fa riferimento ai soggetti al potere.
In Emilia Romagna esiste un solo partito di governo accreditato, il PD. Così assistiamo a ogni possibile contorsione dell’informazione per dimostrare che esso è destinato a governare in ogni caso e a prescindere (qualcuno ad esempio ha per caso compreso nelle paginate che si leggono ogni giorno, i contenuti politici e programmatici che oppongono i detrattori di Merola ai suoi difensori?) Viceversa tutti gli altri soggetti politici portatori di istanze alternative sono rappresentati come improbabili oppositori, incapaci oppure estremisti poco affidabili alle cui attività se va bene, sono concessi trafiletti, a meno che non combinino qualche bischerata come spaccare una vetrina, litigare al proprio interno, registrare un flop.
Ciò avviene per tutti i possibili argomenti dai temi politici generali ma soprattutto per le notizie economiche, come per esempio quelle relative a progetti infrastrutturali, autostrade ecc. in cui l’asservimento è totale perché naturalmente gli interessi sono ancora più forti. Non è dato di poter avere sugli organi di stampa la benché minima seria analisi delle ragioni di chi pensa diversamente, rispetto a People mover, Passante, bretelle, rotonde. Tutto ciò che odora d’asfalto è cemento rappresenta la quintessenza del bene, chi si oppone sono inconcludenti idealisti con il fiore al naso. Anche se vestono i panni di autorevoli urbanisti e giuristi.
Se analizziamo la stampa cartacea, su argomenti di carattere dirimente non viene espressa alcuna vera dialettica d’opinioni: c’è stato un tremendo calo di votanti alle ultime elezioni il 60% è rimasto a casa nella Regione della partecipazione, qualcuno ricorda un quotidiano che abbia svolto una seria indagine sulle cause? Per niente. Sul fatto increscioso è calato il velo dell’oblio. È questa l’informazione che fa crescere un’opinione pubblica consapevole?
Il mercato dei quotidiani a Bologna è sostanzialmente immobile, diviso tra il “Carlino” che perde copie ma rimane il giornale tradizionalmente di riferimento del “popolo”, La Repubblica l’equivalente della Pravda, il Corriere di Bologna terzo a distanza, espressione di interessi imprenditoriali e comunque a sostegno dello status quo. Fino a qualche anno fa c’era l’Unità ma è defunta ed aveva fatto capolino un giornale “civico di sinistra” il Domani che non ha avuto buona fortuna. On line si contendono la leadership la Repubblica ed il Fatto quotidiano che è l’unico di tanto in tanto a dare battaglia. Esiste su internet una diffusissima e articolata rete di giornali, riviste, siti e blog, social media che tenta di svolgere una funzione di controinformazione ma certo rivolta ad un segmento ancora limitato di utenti
In sostanza ci troviamo di fronte a due grandi problemi: il primo è la mancanza di un serio pluralismo nell’informazione. Siamo in un paese in cui il pensiero critico è osteggiato in ogni sua espressione, e se mai vengono esaltati elementi grotteschi dell’esibizionismo kitsch ma non il pensiero e la cultura della differenza.
L’altro grande problema è il controllo dell’informazione ed il conflitto d’interessi. La concentrazione editoriale dovrebbe essere bandita ed invece corriamo il rischio che il più grande editore di televisioni e libri conquisti anche il principale quotidiano, mentre l’altro editore di riferimento cioè il gruppo Espresso Repubblica, fagociti tutta la stampa locale, mentre giornali indipendenti chiudono per mancanza di risorse.
È un caso che la crisi dei quotidiani ha raggiunto il codice rosso? I principali gruppi editoriali italiani (Rcs, Espresso, Mondadori, Monrif, Caltagirone, La Stampa, Il Sole 24 Ore) hanno perso tra il 2009 e il 2013 il 27,7 per cento dei ricavi. Il calo delle vendite di quotidiani nel periodo è stato del 45%. dati Mediobanca. Quindi scarso pluralismo dell’informazione è sinonimo di poca trasparenza, difesa di rendite di posizione,conflitti d’interesse, scarso dinamismo, scollegamento dall’economia e dalla società reali, democrazia debole, editoria in crisi. Non è venuto il momento di cambiare verso?