Dossier 25 aprile 1945-2015: perché un reportage dal luogo in cui cadde Giaime

25 Aprile 2015 /

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di Michele Fumagallo
Ripropongo qui sotto, sempre in omaggio al 70° della Resistenza, un reportage scritto il 15 maggio 2011 per “Il manifesto” da Rocchetta al Volturno, in provincia di Isernia, nel luogo in cui fu ucciso Giaime Pintor il 1 dicembre del 1943. Le ragioni per cui in tanti ricordano lì ancora oggi quel giovane, proveniente da altri luoghi, ma divenuto il “loro partigiano”, sono racchiuse nell’articolo. Qui mi preme dire che il senso del pezzo non era solo la memoria da tenere sempre accesa sulla lotta antifascista in un paese opportunisticamente smemorato come l’Italia; non era solo il rinverdire la memoria della piccola storia del romanzo di formazione di un movimento politico come “il manifesto”, altrettanto opportunisticamente smemorato; era soprattutto il desiderio di rimarcare l’importanza del rapporto degli avvenimenti con i “luoghi”, la memoria ritornata nei “luoghi”, la democrazia sperimentata dal basso nei “luoghi”. Questo era il senso profondo che io volevo dargli, o almeno era la mia illusione.
“Giaime, il Partigiano che cadde in Molise”, domenica 15 maggio 2011, Il manifesto
Rocchetta al Volturno (Isernia). «Sono passati due anni da quando, per la prima volta, ricercammo nella vallata di Castelnuovo al Volturno la salma di mio fratello Giaime, ucciso a 24 anni nella notte del 1° dicembre 1943 da una mina tedesca, mentre tentava di passare il fronte e di raggiungere una banda partigiana da poco sorta nel Lazio. Ritrovammo allora la salma di Giaime sepolta nell’aperta campagna, al margine di una vigna incolta».

Così scriveva Luigi Pintor su Rinascita del marzo 1947 ricordando il fratello maggiore Giaime, intellettuale finissimo durante tutta la sua breve vita e coraggioso partigiano dopo. Giaime aveva scritto a Luigi da Napoli il 28 novembre 1943, tre giorni prima di morire quindi, una lettera che divenne in seguito uno dei grandi testamenti morali della Resistenza, letta ovunque da intere generazioni di antifascisti.
«Carissimo, parto in questi giorni per un’impresa di esito incerto: raggiungere gruppi di rifugiati nei dintorni di Roma, portare loro armi e istruzioni. Ti lascio questa lettera per salutarti nel caso che non dovessi tornare e per spiegarti lo stato d’animo in cui affronto questa missione». E poi, scendendo nei dettagli della situazione italiana e della sua scelta: «Oggi sono aperte agli italiani tutte le possibilità del Risorgimento: nessun gesto è inutile purché non sia fine a se stesso. Quanto a me, ti assicuro che l’idea di andare a fare il partigiano in questa stagione mi diverte pochissimo; non ho mai apprezzato come ora i pregi della vita civile e ho coscienza di essere un ottimo traduttore e un buon diplomatico, ma secondo ogni probabilità un mediocre partigiano».
E infine: «Se non dovessi tornare non mostratevi inconsolabili. Una delle poche certezze acquistate nella mia esperienza è che non ci sono individui insostituibili e perdite irreparabili. Un uomo vivo trova sempre ragioni sufficienti di gioia negli altri uomini vivi, e tu che sei giovane e vitale hai il dovere di lasciare che i morti seppelliscano i morti». La vigna incolta di cui parlava Luigi Pintor ovviamente non c’è più nel posto dove Giaime morì, nella campagna molisana di Castelnuovo al Volturno, frazione amministrativa di Rocchetta al Volturno.
Entrambi i borghi superano di poco le mille unità, e guardano, insieme agli altri paesi della Valle del Volturno tra cui Scapoli, la capitale della zampogna, lo scenario montano della piccola catena delle Mainarde. «Qui / Giaime Pintor / cadde / a ventiquattro anni / combattendo / volontario / per la libertà / d’Italia. – 1° Dic. MCMXLIII. I Castelnovesi posero questo ricordo», recita il cippo sul luogo del delitto, un luogo divenuto negli anni segno di memoria, di appartenenza, di riconoscimento. In questo posto si svolge ogni anno una manifestazione di commemorazione antifascista che sfida il tempo e gli interessati e ipocriti revisionismi, che richiama sempre vecchi militanti e giovani incuriositi. Una manifestazione che affonda le radici nel ricordo della devastazione della guerra nazifascista e nel coraggio degli uomini che vi si opposero anche al prezzo della loro vita.
Uno di loro fu Giaime Pintor, martire della Resistenza morto a soli 24 anni e intellettuale rimasto nel cuore di tanti, oltre che essere presente nel romanzo di formazione del Manifesto. Il posto dove fu ucciso Giaime, colpito da una mina tedesca nel tentativo di varcare le montagne e raggiungere il Lazio, fu descritto mirabilmente da Luigi Pintor, fratello di Giaime, e fondatore del Manifesto, che lo frequentò a più riprese, fin dal 1945, quando si mise alla ricerca del corpo del fratello per riportarne la salma a Roma. La famiglia Pintor è stata di casa in questo pezzo di Molise per anni. Ma c’è una seconda data che fa da spartiacque e che segna l’inizio della memoria collettiva di Giaime nella Valle del Volturno: è il 1973, trent’anni dopo la sua morte.
Memoria collettiva
A Castelnuovo al Volturno, il 1° dicembre di quell’anno (si usava allora commemorare più il giorno e l’anno dell’uccisione di Giaime che il 25 aprile) prese inizio, ad opera di alcuni esponenti della sinistra locale, una commemorazione dell’autore de «Il sangue d’Europa» (l’editore Giulio Einaudi fece arrivare cento copie in omaggio quel giorno), che sarebbe stata il punto di riferimento per anni senza finire mai nella routine o, peggio, nel dimenticatoio. Ferruccio Parri ne scrisse sulla sua rivista «L’astrolabio» pubblicando anche un inserto con la mappa dell’ultimo percorso di Giaime a cura di Franco Antonicelli.
Uno dei più impegnati allora nella riscoperta di Giame fu l’ex parlamentare locale della sinistra Egidio Petrocelli. «Fin dal dopoguerra – racconta – la famiglia Pintor è venuta molto spesso a Castelnuovo. Avevano un ottimo rapporto con la popolazione. Poi la cosa era andata un po’ scemando. Ma con l’ondata di riscoperta antifascista dopo il sessantotto, riprese vigore. E così mettemmo in piedi quella prima manifestazione. Fu bellissima, nonostante la neve. Ci fu una partecipazione straordinaria. Da allora è sempre rimasta nella tradizione del luogo».
Petrocelli, come i tanti che si ritrovano ogni anno attorno al cippo commemorativo, è convinto che la memoria resiste per la grandezza e particolarità del personaggio: «Giaime aveva una capacità di lettura degli avvenimenti sorprendente per un ventenne. Era uno stratega in grado di cogliere, in quei momenti di assoluto sbandamento, qual’era lo stato dell’arte e come farvi fronte. Questo colpisce ancora adesso».
Sopra il cippo di Giaime, a pochi chilometri, sul monte, c’è il monumento del Corpo Volontari della Libertà, cioè il luogo in cui avvenne la battaglia dell’esercito italiano contro i nazifascisti e quindi la prima ricostituzione democratica dell’esercito italiano. Per alcuni anni, la celebrazione ufficiale del ritrovato esercito italiano è avvenuta con la partecipazione delle più alte cariche istituzionali italiane, ma si tralasciava Giaime. Poi, soprattutto dopo quella manifestazione del 1973, le cose sono cambiate e il nesso tra i due luoghi è apparso in tutto il suo valore.
«Questo posto – dice Celeste, militante dell’Arci – è importante per la ricostruzione degli avvenimenti della seconda guerra mondiale. Il passaggio tra queste montagne era obbligato se si volevano evitare i tedeschi. Ritornare nel luogo dove è morto Giaime così come visitare i monti della lotta dell’esercito italiano contro i tedeschi mi richiama l’epopea partigiana montanara. Per me è sempre molto emozionante andarci».
Quest’anno l’appuntamento è anche contrassegnato dal nuovo monumento che l’artista Michele Peri ha approntato e che dovrebbe essere posizionato accanto al cippo nei giorni a cavallo del 25 aprile. In una data successiva è previsto il convegno sull’opera. È un parallelepipedo di acciaio specchiante dove si riflettono le montagne, alto due metri e quaranta centimetri, ispirato all’età di Giaime. Su di un lato si scorge una ferita che l’attraversa tutto per più di trenta centimetri, chiaro rimando alla bomba che uccise Pintor. Sotto c’è una poesia di Rilke tradotta da Giaime.
«È il mio modo per rinnovare la tradizione» racconta Peri, entusiasta della sua opera e già in passato artefice di mostre sull’argomento. Antonio fa il libraio a Isernia ed è uno degli aficionado del cippo. «Senza l’antifascismo va a puttane tutto», dice nel suo linguaggio diretto. E prosegue: «L’indebolimento della Costituzione dipende da questo. Ma sono i giovani che devono prendere in mano la cosa altrimenti si rischia grosso».
«Ogni anno – aggiunge Salvatore – facciamo una festa popolare riuscendo a coinvolgere tanti, legandola anche a qualcosa di attuale. Pintor è diventato il nostro partigiano, una cosa che sta dentro e vicina a noi, che ci appartiene. La famosa lettera al fratello Luigi è circolata tantissimo qui, nelle scuole e altrove». Anche il Comune ha contribuito a fare diventare Giaime il partigiano del paese. Il sindaco Antonio Izzi esprime l’orgoglio di tanti, ma non si pensi a una mitizzazione fuori dal tempo e dalla storia.
Qui c’è piuttosto voglia di ragionare, capire, rilanciare. Semmai c’è preoccupazione per l’avvenire e per la risposta futura dei giovani. «Siamo consapevoli – racconta – che dobbiamo andare avanti pensando a qualcosa di grosso e di strutturale. Intanto io sono dell’avviso di fare una cosa specifica su Pintor il primo dicembre di tutti gli anni, nell’anniversario della sua morte, e poi festeggiare il 25 aprile in modo più generale». Ernesto Giannini ha fondato tempo fa l’Associazione Altiero Spinelli e parlare di Giaime e dell’Europa è un tutt’uno per lui. «Credo – dice – che la comunità locale ha visto in questo giovane che è venuto a morire sulle sue montagne un proprio figlio. Infatti ogni volta c’è grande commozione vicino a quel cippo.
Poi c’è l’aspetto politico culturale, un terreno diverso in cui occorre spiegare i motivi che spinsero Pintor a quella scelta con un grande percorso interiore e intellettuale. L’ultima lettera è proprio la rottura con il crocianesimo, cioè con l’idea che politica e cultura siano separati. Bisogna che gli intellettuali scelgano il loro posto di combattimento, diceva Giaime. Tutto ciò è tremendamente attuale perché la società di oggi e la crisi di oggi ripropongono con forza questa scelta. È un insegnamento che non possiamo far cadere nell’oblio». Giannini pensa giustamente che la storiografia sia in debito con Giaime e propone all’università del Molise di istituire un corso sulla vita e le opere di Pintor. Nonostante la persistenza della comunità degli amici di Giame qui, le cose non sono facili a Castelnuovo al Volturno, né in Molise e nell’intera Italia: questo nessuno lo nasconde.
In paese fino a qualche tempo fa era ancora vivo il falegname che accompagnò (ma anche scoraggiò, si racconta) Giaime Pintor sulla strada delle montagne per il Lazio, così come molti ricordano ancora gli zampognari di Scapoli, organizzati da Antonietta Caccia, suonare «Bella ciao» a molte manifestazioni. Ma tanti ricordano ancora con commozione le letture dei testi di Giaime nei vari appuntamenti e nelle scuole. Come questo, quanto mai attuale, che molti amano ripetermi: «Un popolo portato alla rovina da una finta rivoluzione può essere salvato e riscattato soltanto da una vera rivoluzione».

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