Il macabro viaggio del milite ignoto nel 1921, considerazioni

15 Aprile 2015 /

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Milite ignoto
Milite ignoto
di Claudio Cossu
Anche Sergio Luzzatto, storico di rilievo dell’Università di Torino, il 12 aprile scorso, ha tenuto la sua lezione-monologo nell’ampio spazio del Teatro Verdi rappresentando, con abile e brillante oratoria, il “viaggio del Milite Ignoto”, dell’ottobre 1921. Ma anche Luzzatto si è lasciato coinvolgere dalla visione suggestiva e scenografica di quel triste e macabro rituale, con ali di folle commosse lungo il tratto ferroviario, da Aquileia fino a Roma, definendo quel “sacro corteo” addirittura “la manifestazione più importante della nostra Storia, ricca di simboli, significati”.
Quindi, in un monologo piacevole e applaudito, ha rilevato gli aspetti positivi di quel rituale funereo ma attraente, da manuale, ha esaltato, ammaliato lui pure dal racconto, quasi rivissuto, che ne ha fatto – allora – il giornalista del Corriere Otello Cavara. Ha delineato, quindi, con rara abilità oratoria, “il sacro rito della scelta” di una salma da parte di una madre, Maria Bergamas, tra undici bare di caduti ignoti di vari fronti italiani della Grande guerra.
Lo schieramento fitto di labari, le corone ammassate di fiori, le divise e le sciabole allineate, tra autorità civili e militari, attorniate da occhi lucidi e da una commozione intensa e corale di popolo, dopo la Vittoria agognata del 1918, tutta la scenografica iconografia ha dato, dunque, l’impressione di un alto significato di unità nazionale all’evento, “unico – a detta dello storico – nella storia del Paese nel Novecento”.

Persino E.A. Mario ne scrisse una canzone, con le parole finali “vincere o morire”. Lo storico ha trascurato, infatti, i risvolti negativi di quel lugubre viaggio ” di gloria”, terminato il 4 novembre al Vittoriano di Roma, effetti cioè stratificati nel tempo, nel contesto di una cultura fascista piccolo borghese, contesto provocato dal clima intenso ed emotivo del trasporto della salma e da quel “sacro corteo”. Antonio era caduto combattendo per la patria, ma soprattutto per la Vittoria e la grandezza, l’espansione della stessa (dalla motivazione della medaglia d’oro dettata da Giovanni Giuriati).
In realtà la cerimonia dell’ottobre 1921 divenne una manifestazione che conteneva digià i germi del nazionalismo dannunziano più enfatico e deleterio, che avrebbero poi generato il fenomeno del fascismo, era pre-fascista essa stessa e, in seguito, diverrà strumentale per l’abile propaganda fascista, per il mito della morte corale, di massa, della “bella morte” tanto esaltata e portata ad esempio nelle scuole, nelle palestre e nelle camerate dei giovani. Nei sacrari (molteplici ed ossessivi nel primo dopoguerra, da quello del Grappa al sacrario di Redipuglia), l’aria di quell’oscuro e per certi versi coinvolgente corteo ferroviario vaga ancora imperterrita, coniugando reducismo e fascismo e trascinando, infine, nel ventennio, l’avvoltoio della morte e della guerra nell’Italia protesa ai fasti imperiali del 1936.
Icone costruite per incitare alle guerre di aggressione, alla forza crudele delle armi e dei gas usati per giustificare il “posto al sole”, l’Impero tanto agognato da Mussolini e dai suoi gerarchi, per invogliare all’intervento a fianco dei nazisti e del golpista Franco, nella guerra di Spagna. Per dare, nel 1940, la” pugnalata alla schiena” alla Francia, con la creazione cioè di un nuovo fronte, ad un paese in ginocchio, per giustificare le guerre di Jugoslavia, di Grecia….poi persino l’aggressione all’Unione sovietica.
Perché i giovani dovevano essere pronti a dare la vita, in un delirio di potenza ed in un’atmosfera di volontario martirio “patriottico”. Anche l’abile disegnatore del regime, Gino Boccasile, come del resto ha sottolineato anche il Luzzatto, usò la figura addolorata della madre del Milite Ignoto, Maria Bergamas, con la medaglia d’oro bene in vista, che gridava – da un funereo manifesto – “Non tradite mio figlio”. Anche nel 1944, tra innumerevoli barbarie e crudeltà, il fascismo repubblicano si ricordò ed usò, infatti, la madre del Milite ignoto, divenuta l’immagine della guerra e della morte, per incitare i giovani ad aderire alle formazioni della RSI. Per reprimere e per combattere le formazioni partigiane, la libertà e la giustizia, per unirsi agli occupanti nazisti e tradire questa volta sì, i valori in cui aveva creduto Antonio Bergamas.
Per questo, pur nel riconoscere la bravura dell’oratore, ho ravvisato più le conseguenze ed i risvolti storicamente e moralmente negativi che quel “commosso omaggio” di reduci e di popolo ha contribuito a creare, nel rito finale di Roma, 4 novembre 1921. Quel corteo contribuì, infine, a creare il malinteso e ipertrofico senso di amor di patria e di “onore” che indusse molti giovani a combattere la liberazione del 1945, vale a dire a schierarsi dalla parte sbagliata.

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