di Stefano Iannaccone
Troppe pressioni lobbistiche, così non va. È diventata un caso la denuncia del capogruppo del Pd in commissione Difesa di Montecitorio Gian Piero Scanu , che ha puntato il dito contro i tentativi di “orientare” il parere dell’organismo parlamentare sui programmi militari della Difesa. Una vicenda scandalosa, l’ennesima nel delicato e ricchissimo settore degli armamenti. Le cose potrebbero però cambiare presto se passasse una proposta appena depositata in Parlamento: quella di istituire con apposita legge un’Autorità sugli acquisti di sistemi d’arma.
Rovinando la festa ai lobbisti che, puntualmente, ogni qualvolta il Parlamento si riunisce per discutere di spese militari si danno un gran daffare per assicurarsi che gli interessi dei produttori non vengano toccati. Interessi a nove zeri, se si considera che la spesa del ministero della Difesa ammonta a 20 miliardi 312 milioni di euro all’anno, come certificato dall’ultimo Bilancio del dicastero di via XX Settembre. Vero che gran parte della torta (14 miliardi e 913 milioni) se ne va per le spese per il personale, ma vero anche che parte degli investimenti militari sono caricati anche sul bilancio del ministero dello Sviluppo economico.
Spese fuori ordinanza
Il primo firmatario della proposta di legge sull’Authority è Paolo Bolognesi, componente Pd della commissione Difesa alla Camera nonché presidente dell’Associazione delle vittime della strage di Bologna, che gioca di sponda con lo stesso Scanu. Quando si parla di spesa militare si pensa subito agli F-35, spesso finiti al centro del dibattito nazionale, ma è l’intero settore a spostare miliardi di euro. Le commesse ultra-miliardarie sono bocconi ghiotti. L’obiettivo della nuova authority è quello di “mettere in campo un soggetto terzo che controlli le spese”, spiega Bolognesi a ilfattoquotidiano.it.
I costi, infatti, lievitano spesso senza che ci sia un organismo indipendente a fare le necessarie verifiche: in quelle maglie si infila il lobbysmo, come è avvenuto di recente per il rinnovo della flotta della marina militare con il tentativo (bloccato) di introdurre un miliardo e 600 milioni di spese aggiuntive. “Trasparenza, controllo parlamentare vincolante, informazione, verifica dei costi” sono gli intenti elencati dalla proposta di legge, su cui potrebbe registrarsi un’ampia convergenza. Il contrasto al lobbysmo sta molto a cuore anche alle opposizioni. L’istituzione dell'”Autorità per la vigilanza sull’acquisizione dei sistemi d’arma e sulle compensazioni” (questo il nome per esteso) avrebbe un costo annuo di 3 milioni di euro a fronte di un risparmio cospicuo vista l’entità del bilancio della spesa militare. E comunque ci sarebbe la certezza che l’eventuale lievitazione delle spese sarà posta sotto l’osservazione di un occhio esterno al sistema. “Negli Stati Uniti è considerato critico l’aumento del 25% sulla stima di spesa corrente”, sottolinea Bolognesi. La stessa soglia è stata presa a modello nella proposta: secondo il testo depositato in Parlamento, se i costi aumentano del 25% diventa obbligatorio il pronunciamento dell’Autorità.
Conflitti generali
Il problema è anche rappresentato dalla triangolazione, per usare un termine calcistico, tra alti ufficiali delle Forze Armate e le imprese operanti nel settore della Difesa. Un circolo vizioso che un altro disegno di legge, di cui è primo firmatario Carlo Galli (Pd), cerca di spezzare, impedendo al personale militare – che lascia il servizio con il grado di generale – di poter assumere incarichi in società operanti nel settore nei primi tre anni di pensione. Un modo per sgomberare il campo dai sospetti di conflitto di interessi nell’ambito militare, “L’iter in commissione è stato completato con consenso unanime. Adesso aspettiamo il via libera definitivo con la commissione in sede deliberante”, spiega Galli. Che sulla possibilità di risparmi si schermisce di nuovo: “Non saprei quantificare, sicuramente si guadagnerebbe in trasparenza”. E infatti le lobby degli armamenti non vogliono rassegnarsi. “Ma proprio per questo”, conclude Scanu, “serve un gioco di squadra”.
Questo articolo è stato pubblicato sul FattoQuotidiano.it il 5 febbraio 2015