di Bruno Giorgini
Nella terra di mezzo romana “dove tutto si mischia” capita che i senzatetto, i poveri che in genere dormono per strada, siano oggi lasciati completamente scoperti, nel senso letterale. Infatti il programma di assistenza e ricovero per i senza domicilio fisso, gli hobo o barboni che dir si voglia, largamente affidato al volontariato sociale e alle cooperative, in genere diventa operativo l’ 8 Dicembre ma a tutt’oggi risulta fermo, bloccato.
Immagino in nome della lotta contro la corruzione dovendosi verificare la liceità di contratti e appalti, chi poi debba farlo non è chiaro, c’è la magistratura ordinaria che indaga, l’autorità anticorruzione del dott. Cantone che indaga, il prefetto che indaga, la Corte dei Conti immagino faccia lo stesso, il Comune che non so se indaghi ma certo su questo fronte è paralizzato. Infatti ormai ogni attività sociale è esternalizzata, che brutta parola, ovvero delegata a cooperative e/o altre entità del volontariato – che sono comunque associazioni private – mentre il Comune in proprio non ha più alcuno strumento operativo di intervento, e neppure uno straccio di politica sociale. Intanto voi poveri dormite pure a cielo aperto, chi vuoi che se ne accorga, non vanno certo in prima pagina neppure quando muoiono che il cuore gli si gela smettendo di battere.
La demolizione dello stato sociale ricade a cascata dal centro alla periferia, aprendo uno spazio amplissimo all’intrapresa privata, che inevitabilmente nel mercato capitalistico si fonda sul profitto, seppure fosse con le migliori e più cooperative intenzioni. Si tratta di una demolizione non solo materiale col taglio di fondi ormai divenuto pratica corrente e massiva, ma anche, forse soprattutto, concettuale, culturale e ethica.
Sì, ethica, perchè ethos vuol dire abitabile, rendere abitabile il mondo – e soltanto uno stato che garantisca alcuni diritti sociali (casa, reddito minimo, sanità, istruzione, pensione) rende la città, la polis, abitabile per tutti i suoi cittadini/e, cioè rende il diritto di cittadinanza un concreto bene comune, e condiviso. Se invece i diritti sociali non sono dati, l’ethica della convivenza comune e civile si smaglia prima, spezzandosi poi, e non saranno certo le grida sulla corruzione a metter riparo.
Dire e ripetere che la corruzione rappresenta il cuore nero di ciò che sta venendo alla luce nella terra di mezzo, non significa quasi nulla, è un po’ come dire che un alcolizzato ama il whisky. Invece più interessante è capire il modello di impresa e di business, per dirla in gergo, proposto e messo in atto da Carminati e soci: un’azienda moderna flessibile e complessa tutta volta al profitto e all’accumulazione di capitale. In un certo senso un prodotto di pura marca neoliberista. Nè deve , in questo quadro, scandalizzare che il mercato di esseri umani, specie immigrati, cioè i senza cittadinanza e diritti, appaia essere il core business – sempre in gergo – della Carminati & C. SPA. Fa il paio con la dizione esuberi quando si parla e scrive di persone licenziate – forse un po’ esagero ma non troppo.
Scandalizza invece e deve essere sottolineato, che un problema così imponenente e delicato come l’accoglienza dei cittadini stranieri immigrati nel nostro paese – problema che provoca come noto forti tensioni sociali – venga affrontato e gestito non dallo stato e dalle sue istituzioni ma da un gruppo privato, scandalizza che le decisioni sulle quote di accoglienza siano prese non dal sindaco e/o dal Presidente della Regione, ma dalla Carminati & C. SPA, al di là del fatto che questa intrapresa abbia caratteristiche criminali, se non mafiose. Anche nel penultimo grande malaffare, quello del Mose con corruzione al seguito che arriva al sindaco Orsoni , al Presidente della Regione Zaia fino a indagare due influenti deputati del PD Zoggia e Mognato, accadde lo stesso. L’intera gestione del Mose fu data in appalto a un consorzio privato mentre l’autorità pubblica abiurava ai suoi compiti quantomeno di indirizzo e controllo, come si dovrebbe trattandosi almeno nelle dichiarazioni di un’opera di evidente pubblica utilità, i sostenitori affermando fosse addirittura un’opera vitale per salvare Venezia, i critici dicendola opera di pubblico disastro.
Tornando a Roma, nella Carminati SPA hanno a cuore prima di tutto come si conviene il profitto nella sua nudità – “Ci si muove solo di guadagno compà.. altre cose non interessano” dice il re di Roma e presidente della SPA Massimo Carminati – quindi la stabilità d’impresa e la riduzione del rischio, non dando mazzette una tantum a tizio consigliere comunale o caio autorevole e ammanicato esperto in maneggi istituzionali, ma mettendoli a stipendio, quindi facendoli diventare dipendenti e fidelizzandoli.
Quel che stupisce è piuttosto quanto poco li pagano, se ho ben letto il massimo emolumento arrivando a cinquemila euro mensili, ovvero più o meno quanto prende un medio alto consulente aziendale. Nè Carminati e i suoi associati trascurano, anzi, le pubbliche relazioni con cene, convegni, mostre, feste cui partecipano esponenti importanti del mondo di sopra, quello dell’establishment fino alla recente cena da mille euro a testa per il finanziamento del PD in presenza del Presidente del Consiglio e capo del partito Renzi, una vergogna in sè che oggi s’accresce. Inoltre stabiliscono delle joint venture – sempre in gergo – con altre entità economico criminali come la ‘ndrangheta.
Carminati insomma costruisce un sistema complesso – la terra di mezzo dove tutto si mischia – definendo programmi di sviluppo aziendale fondati sulla forza economica e la diversificazione degli investimenti (l’ultimo progetto messo in campo era l’apertura di un ambulatorio dentistico gratuito per persone disagiate); sulle affermazioni di potere nella strada e d’influenza nella stanze dei Palazzi; sulla manipolazione dell’opinione pubblica e dei media; sull’esercizio della violenza fisica minacciata o attuata. Si pensi alla sequenza della campagna contro Marino per l’affaire della Panda rossa parcheggiata in divieto di sosta – ridicolo ma ripreso a piena pagina da tutti i media; quindi l’attacco al centro per i rifugiati di Tor Sapienza portato avanti dai militanti di casa Pound con alcune robuste signore ululanti, diventato “l’insurrezione delle periferie contro gli immigrati”, anche qui con gran dispendio di prime pagine e trasmissioni televisive autorevoli (si fa per dire), trattandosi invece di un’operazione politico-militare contro la cooperativa “Un Sorriso” che gestiva il centro senza l’autorizzazione di Salvatore Buzzi, l’uomo della Carminati SPA addetto al mondo cooperativo; su un altro piano l’intimidazione con speronamento dell’auto di Lirio Abbate, giornalista autore di un’inchiesta pubblicata dall’Espresso il 7 dicembre 2012 titolata “I quattro re di Roma” tra cui il Carminati medesimo, dove Abbate comincia a scoperchiare la cupola criminale che avvolge la capitale. Il CdA della Carminati è così delineato dal Sole 24 Ore (7 dicembre, articolo a firma di Marco Ludovico) che se ne intende: al vertice Massimo Carminati, poi Salvatore Buzzi l’uomo delle coop, Agostino Gaglianone per il settore “movimento terra”, Cristiano Guarnera per l’immobiliare, Giuseppe Ietto per la ristorazione, per il riciclaggio del denaro sporco Marco Iannilli.
Probabilmente l’elenco è incompleto; certamente manca l’uomo di mano Riccardo Brugia – ma offre uno spaccato molto utile per capire come sia stato possibile che la Carminati SPA fosse “un’impresa mafiosa moderna, solida, sempre in utile e in crescita costante” (articolo citato). Infine due ultime riflessioni.
La prima riguarda i media che prima, se si esclude l’articolo di Abbate e poco altro, nulla sanno e/o investigano – il che è dovuto alla scomparsa ormai nel nostro paese, se si escludono alcuni isolati casi, di ogni giornalismo critico e d’inchiesta. Scomparsa che va di pari passo con una sempre più accentuata propensione a schierarsi col potere e/o i poteri, facendo parte dell’establishment a tutto tondo. E dopo, cioè oggi, arruffano intercettazioni, chiacchere, pettegolezzi, interviste improbabili, vanno molto gli ex della banda della Magliana, anche l’ultimo balordo di borgata vantandosi di averne fatto parte, in una notte dove tutte le vacche sono nere, e non si capisce più niente precipitando in un abisso di imbecillità.
Seconda questione, nessuno pare preoccuparsi dei dipendenti delle cooperative sociali facenti parte del consorzio guidato da Buzzi, nemmeno a quel che si sa, la Lega della Cooperative cui il consorzio è affiliato. Lavoratori e lavoratrici che hanno da essere in una condizione assai difficile, sia personale che collettiva e che, fino a prova contraria, non possono essere considerati colpevoli dei reati di cui Buzzi è accusato. Un’ultimissima notazione, come si sarà capito considero le ultime decisioni del Consiglio dei Ministri in merito a un decreto legge che inasprisca le pene contro la corruzione, una stupidaggine demagogica a puri fini di politica politicante. E’ dai tempi di tangentopoli che va avanti questa idiozia della via giudiziaria come unica soluzione. Sarebbe ora di finirla anche vedendo l’assoluta miseria dei risultati, quando non siano controproducenti incentivando invece di dissuadere. Nè potrebbe essere altrimenti, essendo la politica, questa politica, e l’economia, questa economia, creatrici in larga misura del brodo di cultura di cui si nutrono, e dove proliferano, le intraprese criminali.
Questo articolo è stato pubblicato su Inchiesta online il 15 dicembre 2014