La leggenda del fascismo mite
- / 6 Dicembre 2014
- / Politica
ร stato ampiamente descritto tutto ciรฒ che riguarda il Tribunale speciale per la difesa dello Stato (da alcuni, a buon diritto, definito come il Tribunale di Mussolini), con relazioni piรน che esaurienti. Ne esce l’immagine di un organismo programmato per andare perfino al di lร della repressione del dissenso, tipica di qualsiasi regime totalitario, dunque di un organismo espressione della violenza di un potere che aspira ad essere assoluto.
Non insisterรฒ sui singoli aspetti e mi limiterรฒ invece, in questa fase conclusiva, ad elencare molto rapidamente i dati su cui fondamentalmente si basa questo giudizio di una assoluta violenza, destinata anche a funzionare come deterrente e come intimidazione, nel modo piรน brutale. La legge fu varata per espressa volontร di Mussolini, anche a seguito degli attentati compiuti in quel periodo; fu varata alla Camera in una sola seduta, in un’atmosfera di forte intimidazione, nello stesso momento in cui fu dichiarata anche la decadenza dei deputati “aventiniani”.
La legge prevedeva pene durissime, fino alla pena di morte, per l’occasione ripristinata; erano considerati punibili severamente anche comportamenti meramente preparatori; si prevedeva la perdita della cittadinanza e la confisca dei beni per i cittadini che compissero attivitร antinazionali all’estero. Si rendeva applicabile – per i reati attribuiti alla competenza del Tribunale speciale – la procedura penale militare per i reati compiuti in tempo di guerra. Il Presidente era nominato dal Ministro della giustizia ed era assicurata una forte presenza dei membri della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. L’organo dell’accusa era strettamente dipendente dall’esecutivo. Era previsto un solo difensore, senza diritto ad ottenere copia degli atti. Una linea telefonica collegava direttamente la Camera di Consiglio agli uffici del Duce, a Palazzo Venezia.
Negli anni (e particolarmente nel 1939 e nel 1944 ) la competenza del Tribunale speciale fu estesa anche a reati comuni, assolutamente estranei, rispetto a qualsiasi manifestazione di dissenso. Ripristinato dalla R.S.I., il Tribunale speciale mantenne ed irrobustรฌ tutte le sue piรน violente caratteristiche, accompagnate da una serie di altre strumentazioni e apparati destinati a colpire ogni comportamento che non fosse compatibile con le linee di fondo perseguite dalla Repubblica sociale.
Nel breve periodo di vita, prima della Liberazione, il Tribunale speciale celebrรฒ 1460 processi, con quasi altrettante condanne, di cui 47 a morte. Complessivamente, il Tribunale speciale, nel periodo tra la sua costituzione (1927) e la caduta del regime fascista (1943), aveva processato 5619 imputati, condannato 4596. Gli anni totali di prigione inflitti furono 27.735; 42 le condanne a morte di cui 31 eseguite, tre ergastoli.
Se si aggiungono a questi dati, che traggo da un libro recente sull’8 settembre, i dati relativi al confino di polizia, da cui furono colpiti circa 15.000 cittadini, si ha un quadro rivelatore di un’estrema violenza nella repressione del dissenso ideologico e politico (giustamente evidenziata in tutti i suoi aspetti dalla relazione di Guido Neppi Modona), con un’estensione ed una brutalitร che reggono bene il confronto con simili provvedimenti adottati da altri Stati totalitari o da altri regimi autoritari. Un quadro, peraltro, che va completato col riferimento ai numerosi casi di emigrazione politica obbligata, della quale รจ assai difficile fornire dati numerici, ma che comunque fu importante e riguardรฒ numerosi personaggi politici anche di grande rilievo. La discussione se, in questo modo, si sia definito un quadro autoritario o semplicemente totalitario, mi sembra oziosa in questo contesto di brutalitร e violenza privo di limiti, funzionale a garantire – nel pensiero di Mussolini e del Partito fascista – la “fascistizzazione” del Paese, l’annullamento di qualunque forma di dissenso e perfino di diversitร , come vedremo, con l’attribuzione al Duce di ogni potere (secondo non pochi “giuristi” fascisti, anche il potere di creare un diritto che sarebbe paradossale definire come “libero”).
E qui si pone un problema di una certa rilevanza: fu il Tribunale speciale, nel suo orrore e nella sua virulenza, una sorta di masso erratico in un sistema complessivamente diverso e in qualche misura “bonario”, oppure non fu che una delle tante manifestazioni con cui si caratterizzรฒ, in senso assolutamente negativo, il Regime fascista? In altre parole, quel fascismo che secondo i dati che emergono da varie indagini, aveva giร fatto 3.000 morti prima di assumere il potere, che si era distinto con l’incendio delle Case del Popolo, gli attacchi ai Sindacati ed ai sindacalisti, con alcune uccisioni particolarmente clamorose, con l’olio di ricino e con bastonate a chi veniva ritenuto colpevole di non essere dalla parte delle “squadracce” o anche solo di avere dei “precedenti” come sovversivo, e cosรฌ via; quel fascismo si limitรฒ, una volta raggiunto il potere e, come fanno tutti i regimi autoritari, a cercare di eliminare ogni forma di dissenso, oppure usรฒ ancora e sempre la violenza originaria, ovviamente in altre forme, ma con la stesa volontร di assicurassi un potere assoluto? La risposta emerge con facilitร giร da quello che ho rilevato sulla specificitร del Tribunale speciale sia fino al 1943, sia nel periodo successivo (magari anche con un’ ulteriore recrudescenza), riassumendo, in sostanza, tutto ciรฒ che รจ stato ampiamente descritto nelle belle relazioni svolte in questa sede. Il Tribunale speciale fu, da solo, un’ espressione manifesta di una incontenibile violenza e di una brutalitร senza pietร e senza scrupoli. Bisogna subito precisare che non fu la sola manifestazione di una criminale violenza, anzi si inserรฌ in un contesto che va almeno sommariamente descritto, se non nella totalitร dei suoi aspetti, almeno in riferimento ad alcune manifestazioni particolarmente significative. Le esaminerรฒ molto rapidamente, ribadendo che si tratta di un quadro che non pretende di essere esaustivo, ma aspira solo ad essere, quantomeno, indicativo di una crudezza di comportamenti.
Ho scelto, per rendere complessivamente una situazione che contrasta con la leggenda del fascismo “mite”, sei esempi: la politica “coloniale”; le persecuzioni razziali; i campi fascisti di concentramento e smistamento; la partecipazione alle stragi civili; l’uso politico dei manicomi; la violenza della Repubblica di Salรฒ.
Di ognuno di questi, mi limiterรฒ a fornire alcune tracce significative, trattandosi di materie giร ampiamente esplorate da studiosi e ricercatori, con un crescendo di ricerche che si va sempre piรน arricchendo. Le politiche “coloniali”, intese non tanto nella scelta dei luoghi, quanto nei comportamenti tenuti per acquisirli e “fascistizzarli”.
Sull’occupazione della Grecia e della Jugoslavia, basterร dire che alcuni studiosi indicano rispettivamente in 100.000 e 250.000 le vittime, mentre i dati forniti dai Paesi interessati sono ben piรน rilevanti ( per esempio, secondo le Autoritร greche , le vittime ascenderebbero a 620.000, di cui 326.000 decedute per fame). Per la sola Slovenia ci sarebbero state ben 1.569 esecuzioni capitali e 1.376 uccisioni in campi di concentramento italiani. La violenza repressiva fu elevatissima, come dimostrato da un attento e recente studio storico. Su altre vicende, prevalentemente africane, si รจ giร scritto e reso noto piรน che abbastanza: la fascistizzazione di cui รจ colma la nota canzone “Faccetta nera”, รจ davvero uno scherzo tutto miele, al confronto dei comportamenti dei militari italiani, spesso brutali e violenti. A fronte di tutto questo, รจ singolare che l’Italia sia sempre riuscita a sfuggire alle sue responsabilitร , anche quando la Commissione delle Nazioni Unite compilรฒ una lista dei criminali di guerra, chiedendo di poterne processare 729 per la Jugoslavia, 111 per la Grecia e 5 per l’Albania. Non ci fu nessuna estradizione, nรฉ alcuna disponibilitร del nostro Paese, ma i fatti restano e sono ampiamente descritti in interi volumi che rappresentano i crimini di guerra compiuti e smentiscono la tesi del “fascismo mite” in campo coloniale , cosรฌ come era avvenuto anche per politiche coloniali di altri tempi.
Le persecuzioni razziali. L’Italia, come รจ noto adottรฒ piรน che tempestivamente una legislazione razziale pesantissima, accompagnata anche da provvedimenti amministrativi che non consentivano alternative. Ma non ci si limitรฒ, come si vorrebbe sostenere, ad un’applicazione “blanda” . L’applicazione di quella legge si risolse in una vera e propria persecuzione degli ebrei, sia nel periodo tra le leggi razziali e la caduta del regime, sia nel periodo successivo (quello della R.S.I.) che non esitรฒ a mostrarsi particolarmente feroce, benchรฉ – all’epoca – ci fosse ben altro da pensare ed affrontare al di lร della persecuzione dei “diversi”. Secondo un’indagine, sarebbero stati deportati dell’Italia in Germania tra i 7.400 e i 7.600 ebrei, 5.896 avrebbero perso la vita nei campi di sterminio e 824 sarebbero sopravvissuti; altri 299 perirono, sempre secondo quelle ricerche, nella penisola.
ร molto probabile che si tratti di stime per difetto. ร certo, comunque, che il regime non “perdonรฒ” nessuno e cercรฒ di mostrarsi nel suo aspetto piรน feroce anche all’alleato tedesco, per evidenti motivi collegati anche a quella sorta di subalternitร culturale e politica che ha sempre contraddistinto i rapporti dell’Italia con il Reich.
Questo tema si collega, in qualche modo, anche a quello che verrร successivamente tratteggiato; e dunque appaiono inutili, in questa sede, ulteriori approfondimenti sui dati. I campi di concentramento e smistamento in Italia ร ormai assodato e pacifico che i fascisti svolgessero anche un lavoro di notevole entitร nel fornire alla Germania “carne da macello” (nella migliore delle ipotesi ” carne da lavoro”), fornendo elenchi e segnalazioni , ma soprattutto raccogliendo in appositi campi di “smistamento” e di concentramento vero e proprio, molti ebrei, molti oppositori politici e molti “diversi”.
Su questo aspetto, c’รจ stato un eccessivo, assordante silenzio. tant’รจ che spesso si parla solo dei campi piรน noti (Fossoli, Bolzano, Ferramonti, Borgo San Dalmazzo e, per alcuni versi, la risiera di San Sabba). Al riguardo, sono da fare subito due rilievi, il primo รจ che se l’ultimo dei campi citati fu in qualche modo “ceduto” dalla Repubblica di Salรฒ ai tedeschi, che poi lo gestirono, tutti gli altri furono gestiti direttamente dai fascisti, magari in collaborazione con “esperti” tedeschi e sotto la loro vigile direzione. Il secondo รจ che secondo altre valutazioni, i campi – sul territorio italiano – furono ben 46, sparsi su tutto il territorio nazionale. ร del 4 settembre 1940 un decreto firmato da Mussolini con cui si istituivano i primi campi di prigionia per gli antifascisti ( molti dei quali giร al confino), per gli ebrei, per gli stranieri presenti sul territorio italiano , provenienti da paesi nemici ( come sloveni e croati) e altre minoranze come gli zingari e gli omosessuali.
Il “materiale umano” per questi campi di concentramento e smistamento era prevalentemente fornito dai fascisti ( i registri del Carcere di San Vittore, tanto per fare un esempio, lo dimostrano ampiamente ), ed anche quando esso sembrava provenire dai tedeschi, in realtร le indicazioni e gli elenchi erano di sicura provenienza fascista, come del resto รจ avvenuto anche per diversi casi di rappresaglia ( per tutti, quello terribile delle Fosse Ardeatine). In quei campi sono morti non pochi antifascisti, ebrei e “diversi”; altri sono stati inviati ad altri campi di smistamento (ad esempio, Bolzano), ma sempre con sicura destinazione finale per la Germania (Auschwitz, Gusen, Mauthausen, etc.).
La partecipazione alle stragi ร stato molto comodo, per lungo tempo, attribuire la responsabilitร per le stragi del “43-44” ai tedeschi; in gran parte, questo รจ assolutamente vero, ed รจ ormai pacificamente accertato il gravissimo livello di barbarie e di annullamento dei diritti umani a cui giunsero non solo le SS, ma anche reparti militari “normali” della Germania. Ma รจ altrettanto vero: che a molte di queste stragi collaborarono e parteciparono attivamente i fascisti; che alcune delle stragi, anche di quelle piuttosto note, furono compiute direttamente dai fascisti, che, infine, molte di quelle stragi poterono essere compiute solo in virtรน della collaborazione decisiva dei fascisti, anche solo per l’indicazione dei luoghi e delle possibilitร di accesso (per tutti, mi riferisco al caso di Sant’Anna di Stazzema, impossibile da raggiungere, per la sua collocazione geografica tra i monti, senza una precisa segnalazione e senza l’aiuto effettivo dei fascisti del posto o comunque di quell’area).
In occasione di non poche di queste stragi, i fascisti si resero attivi e feroci protagonisti di un’ulteriore forma di orrore, quale l’esposizione a lungo dei cadaveri sul posto dove era avvenuta la fucilazione o l’impiccagione, come ” ammonimento” per i cittadini (basti ricordare, a questo proposito, la vicenda di Piazzale Loreto, a Milano , il 10 agosto 1944, di 15 “oppositori” con brutale e violenta esposizione al pubblico per due giorni). L’utilizzo politico dei manicomi Era giร noto qualche caso di invio di “oppositori” e semplici “disturbatori”, anzichรฉ al confino, nei manicomi, per limitati periodi di “ammonimento” oppure per tempi anche prolungati.
Ora, perรฒ, una pubblicazione recentissima ha preso in esame ben 44.540 biografie di antifascisti schedati e da questa indagine sono emersi 475 casi di donne e uomini sottoposti ad internamento psichiatrico, in via diretta o come complemento a precedente reclusione in carcere o al confino. Sono centinaia di casi, dunque, che non possono non richiamare l’attenzione sull’uso politico di uno strumento barbarico e pesante come l’internamento manicomiale, che si affiancava – come รจ stato rilevato – ai piรน noti strumenti per la repressione del dissenso. Naturalmente, in questa sede, non posso far altro che prendere atto del lavoro di chi ha dedicato a questo tema anni di studio.
Ma non รจ possibile non sottolineare che, se per mettere in campo il Tribunale speciale ed altri strumenti repressivi fu necessaria una legislazione speciale, per l’uso politico dell’internamento manicomiale non fu necessario alcun provvedimento specifico. Bastรฒ avere semplicemente spregiudicatezza e brutalitร per utilizzare uno strumento di violenza giร disponibile. Per tutti, citerรฒ due casi che mi hanno particolarmente colpito: quello di un avvocato socialista, giร schedato come sovversivo in un periodo precedente al fascismo e naturalmente considerato degno di attenzione appena si instaurรฒ il regime: perquisizioni e devastazioni dello studio professionale, isolamento e riduzione alla miseria furono i primi strumenti.
Quando poi l’avvocato, disperato, perse la testa e indirizzรฒ a Mussolini una lettera, che conteneva un riferimento a certi “documenti” di particolare rilievo, la preoccupazione indusse addirittura al ricovero temporaneo in manicomio. Il tempo di compiere perquisizioni e di svolgere ulteriori ricerche e poi, scoperto che non c’era nulla, la dimissione di un uomo, ormai ancor piรน disperato e ridotto alla miseria per sempre.
L’altro caso รจ quello di un funzionario statale, ritenuto oppositore e quindi ricoverato in un manicomio ed espulso dall’ufficio; nel manicomio trascorse 10 anni e quando fu liberato ( era caduto il regime) fu verificato che era idoneo a ricoprire lo stesso posto di prima, come in effetti avvenne, a riprova che non c’era mai stata una vera ragione per l’internamento che non fosse riconducibile alla violenza. Due casi, due storie a cui se ne potrebbero aggiungere tante altre, ormai pienamente documentate, ma credo che questi pochi rilievi siano sufficienti indici di ulteriore barbarie e di particolare, disumana violenza. Infine, la violenza della Repubblica di Salรฒ, che non รจ rapportabile ad un momento particolare, ma va riferita pur sempre alla drammatica esperienza del fascismo. Ho giร detto dell’immediato ripristino del Tribunale speciale, dei numerosi processi svolti in poco tempo e delle condanne a morte comminate con altrettanta rapiditร .
Ed ho fatto riferimento anche agli altri provvedimenti complementari agli istituti della repressione, che si diffusero come funghi nel pur breve periodo di durata della “Repubblica sociale”. Esiste una pubblicazione specificamente dedicata alla violenza fascista durante la RSI, con un titolo apparentemente sibillino (“Leoni vegetariani”), che in realtร trova una chiara ed inequivocabile spiegazione in un vicenda descritta, appunto, nel libro. Si tratta di un telegramma inviato da Mussolini il 25 giugno 1944 ai Capo provincia della RSI. Vale la pena di riportarlo integralmente: “poichรฉ alcuni leoni vegetariani continuano a parlare di una eccesiva indulgenza del Governo della Repubblica, siete pregati di mandare telegraficamente i dati delle esecuzioni avvenute di civili e militari con processi o sommarie dal 1ยฐ ottobre in poi”.
Mussolini voleva avere dati che dimostrassero ai “leoni vegetariani” (il significato della espressione spregiativa รจ evidente) che la RSI non era seconda a nessuno in fatto di violenza. E ci riuscirร facilmente perchรฉ ciรฒ risulta da un’inchiesta, condotta dal Ministro dell’interno per incarico dl Duce, che – secondo alcuni studiosi – fornisce dati sovrastimati proprio per dimostrare gli effetti dell’azione armata fascista, ma che ha un consistente fondamento di realtร : 2.212 esecuzioni capitali documentate e 1.413 conteggiate come effetto di azioni armate dei militari fascisti. Lo stesso fatto che per Mussolini (e anche per gli esecutori materiali, ovviamente) non faccia gran differenza che si tratti di esecuzione di sentenze o di esecuzioni sommarie รจ significativo e rivelatore del “clima” di violenza instaurato dalla RSI.
Scrive l’Autrice del libro citato, sulle violenze compiute dalla RSI, che l’analisi delle politiche repressive fasciste mette in luce la presenza di elementi di collegamento sia con l’esperienza della violenza squadrista delle origini, sia con la violenza contro le popolazioni civili espressa dall’Italia in qualitร di potenza occupante, durante la guerra, di aggressione fascista; una “violenza strutturale e selettiva” che appare all’Autrice di per sรฉ sufficiente a demolire l’immagine di un fascista repubblicano “bonario”. Inutile ricordare al riguardo la brutalitร e la violenza dei comunicati fascisti che promettevano ai renitenti alla leva e/o disertori l’immediata fucilazione sul posto e tutte le altre misure repressive e violente che caratterizzarono la pur breve durata della cosiddetta Repubblica sociale. Infine, all’estensione della competenza (e della normativa) del Tribunale speciale ad una serie di reati comuni (violenza carnale, rapina, estorsione, omicidio volontario, etc.), che altro senso si puรฒ attribuire se non quello della volontร di potere assoluto e di esplicazione, al massimo livello, della violenza?
Orbene, collegando questa esemplificazione a quanto si รจ detto in questo Convegno a proposito del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, nella prima e seconda versione, riesce davvero impossibile pensare ad un fascismo “mite”, oppure occupato quasi per necessitร politica a reprimere o contenere le varie forme di dissidenza. Il quadro che si delinea รจ di un fascismo che accompagna l’opera di convincimento, di persuasione e di propaganda per la conquista del consenso, ad un’opera barbarica di eliminazione, non solo di qualsiasi opposizione, ma anche di qualunque forma di “diversitร ” razziale o dovuta ad altre ragioni. Dunque, un regime occhiuto e repressivo, che non ha avuto nulla di mite e che invano si cerca di accreditare di una bonarietร , non solo inesistente, ma addirittura contraddittoria, in via di principio, con tutti i comportamenti descritti. C’รจ da chiedersi, semmai, come abbia potuto crearsi questa “leggenda” del fascismo “mite” e bonario. Ed anche in questo caso basterร qualche osservazione pur sommaria, anche per necessitร di tempo. Il regime fascista, che voleva essere totalitario e totalizzante, soprattutto in nome di un capo indiscusso e indiscutibile, il Duce, aveva davanti a sรฉ diverse strade possibili, dalla ricerca del consenso con alcuni atteggiamenti propagandistici, idonei anche a creare illusioni, fino alla repressione del dissenso. La scelta fu quella di battere tutte e due le strade, anche se potevano apparire, in qualche momento, contraddittorie.
Ma le origini erano state violente e non si smentirono mai, perchรฉ il consenso andava conquistato, ma senza fidarsi troppo e magari percorrendo qualche scorciatoia. Da ciรฒ la necessitร di cercare, in alcuni casi (e uno di questi รจ il Tribunale speciale), di salvare “almeno la forma”; e questo fu fatto, “garantendo” la difesa, ma poi facendo in modo che essa fosse irrilevante e non recasse in alcun modo disturbo. E la violenza, in mezzo alla propaganda (tema sul quale Mussolini era bravissimo), non fu mai abbandonata, ma fu sempre praticata, cercando di oscurarla (la stampa parlava pochissimo degli oppositori e perfino degli organismi di repressione). Confidava, il regime, non tanto e non solo nella forza della persuasione, ma anche nel carattere ammonitivo di alcune forme di violenza repressiva, non rese pubbliche, ma avendo la certezza che l’ammonimento sarebbe arrivato comunque a destinazione, per le vie “brevi” delle scarse parole e dei pochi commenti che pure ci si poteva permettere, in quel periodo. E la violenza caratterizzรฒ tutto il periodo fascista, ma si acuรฌ con le leggi razziali, con le regole particolari dello stato di guerra e poi con l’inasprimento nel sentore della sconfitta, quando la RSI cercรฒ di intervenire in molti modi e non piรน con la persuasione, ma ormai con la violenza dichiarata e manifesta. Il “mito” della mitezza cominciรฒ a crearsi quando si cercรฒ di evitare le conseguenze punitive di una disfatta; per salvarsi, si cercรฒ di valorizzare quei pochi episodi in cui il fascismo era riuscito a non assumere il volto feroce, esaltando qualche raro caso di protezione degli ebrei e qualche momento di modestissima “tolleranza”.
Ne nacque una campagna, fondata tutta anche sull’interesse personale dei protagonisti, e forse di altri, per motivi strettamente politici, che รจ inutile approfondire in questa sede, anche se non รจ difficile intuirli. All’operazione di rimozione si รจ poi associato anche qualche storico seguito da non pochi politici. Il resto, รจ responsabilitร collettiva, dunque anche nostra, intendo di noi antifascisti e sostenitori della Resistenza come pagina straordinaria della storia nazionale. Ci siamo convinti che non fosse opportuno e utile infierire e che poi, disponendo di una Costituzione democratica e antifascista tutto sarebbe andato a posto. E invece non fu cosรฌ, perchรฉ finirono per prevalere coloro che non volevano che si facessero i conti col nostro passato nazionale e che preferivano che prevalesse l’oblio. Sicchรฉ, si รจ parlato poco, non solo del fascismo come regime, ma del fascismo barbaro e violento.
Ci fu l’amnistia (discussa e discutibile) e ci fu una giurisprudenza scandalosa sulla sua applicazione ai fascisti colpevoli di efferatezze e torture; ci fu la ricollocazione di molti fascisti nei loro posti all’interno dello Stato, che – in questo modo – non รจ mai divenuto quella struttura democratica e antifascista che sarebbe stata logica conseguenza della uscita dalla dittatura, nella consapevolezza degli orrori e dei disastri da essa cagionati al Paese ed a tante persone e famiglie. Il risultato fu che anche quando si sentรฌ, comunque, la necessitร di far conoscere che cosa era stato il fascismo a chi non lo aveva vissuto e soprattutto ai giovani, le norme adottate non furono mai applicate e non lo sono tutt’ora. ร il caso della legge 20 giugno 1952, n. 645 (conosciuta come “legge Scelba”) che all’art. 9, intitolato “Pubblicazioni sull’attivitร antidemocratica del fascismo”, disponeva che “la Presidenza del Consiglio bandisce concorsi per la compilazione di cronache dell’azione fascista […] allo scopo di far conoscere in forma obiettiva ai giovani e particolarmente ai giovani delle scuole [โฆ], (per i quali dovranno disporsi apposite pubblicazioni da adottare per l’insegnamento), l’attivitร antidemocratica del fascismo”. La disposizione era chiara e tuttavia non รจ stata mai applicata e non lo รจ tuttora.
Se cosรฌ poco si รจ parlato del fascismo, anche da chi riteneva che sarebbe stato necessario e utile farne conoscere l’esperienza disastrosa e temibile, per creare gli antidoti perchรฉ nulla di simile potesse verificarsi per il futuro, a maggior ragione doveva diventare facile far passare la tesi del “fascismo mite”, confrontandolo con la barbarie tedesca, aumentando a dismisura i pochi squarci di luce verificatisi durante il fascismo e favorendo il silenzio perfino sull’opposizione antifascista, durante il ventennio e sulle sue sorti ( ovviamente per evitare di parlare della repressione e della violenza fascista).
Una tesi insostenibile, ma destinata comunque a sopravvivere se non si ha la forza di volontร di contrastarla, con adeguate conoscenze e con dimostrazioni precise, analitiche e documentate di quale sia stata la realtร . Di recente, alcuni storici hanno sostenuto che sull’ “oscuramento ” di quello che era stato il Regime fascista hanno influito anche altri interessi, da un lato quello di tacere sul largo consenso popolare di cui avrebbe usufruito il fascismo, e dall’altro quello di attribuire una definitiva legittimazione alle forze politiche che si erano impegnate nella Resistenza.
Non posso qui trattare questi assunti con l’ampiezza che meriterebbero. Mi limiterรฒ a dire che si tratta di tesi che ritengo prive di un reale fondamento. Il discorso sul “consenso” degli italiani al regime fascista รจ complesso e non puรฒ essere risolto con generalizzazioni. Per evitare equivoci, dirรฒ subito che il consenso c’รจ stato, fatto di servilismo e di codardia, ma anche di illusioni (il mito dell’uomo forte, del Paese che avrร finalmente le sue colonie ed i suoi sbocchi di lavoro, e cosรฌ via), cosรฌ come รจ vero che ci sono state le piazze piene perfino in occasione della disastrosa e luttuosa dichiarazione di guerra del giugno del 1940, accolta con applausi.
Ma bisogna guardarci dentro, a quel consenso, perchรฉ esso รจ complesso, come ho detto ed รจ fatto di molte componenti, di cui alcune lo rendono solo apparente ed altre sono il frutto proprio della violenza del regime e quindi non sarebbero ascrivibili ad un vero consenso. La mia esperienza famigliare mi รจ maestra, sotto questo profilo: a 9 anni, ho visto mio padre gettato in prigione, poi assolto per insufficienza di prove, dopo sei mesi di detenzione, per essere stato visto leggere un volantino antifascista passatogli da un collega, come una curiositร ; non fu solo la tragedia di quei sei mesi con una famiglia rimasta sola, preoccupata e disperata; ma dopo ci fu il trasferimento d’ufficio (era un dipendente pubblico) ad una sede allora considerata punitiva, l’impedimento a qualsiasi sviluppo di carriera (che fu ricostruita solo nel 1946 quando era ormai troppo tardi, perchรฉ mio padre aveva dovuto per tanti anni provvedere con pochi mezzi ad una famiglia con tre figli).
Ma non basta; ho un ricordo che non viene e non verrร mai meno: mio padre costretto a partecipare al raduno di piazza per ascoltare, appunto, la dichiarazione di guerra e che poi, tornato a casa, si siede piangendo ( lui che – per carattere – teneva tutto dentro, anche i dolori dovuti agli eventi famigliari piรน tristi) e dice a mia madre: “siamo finiti, questa guerra distruggerร tutti, le persone e il Paese”. Metteremmo un caso simile nel contesto del consenso o lo lasceremmo quanto meno in quel limbo che sta fra gli antifascisti militanti e i veri consenzienti? Dunque, non c’era molto da nascondere e, semmai, ci sarebbe stato molto da approfondire, non escluse le spiegazioni e le motivazioni di quella quantitร di consenso vero che pure ci fu; se non altro, si sarebbe potuto e dovuto approfondire dove fossero andati poi a finire tutti quei “consenzienti”, per capire se si fossero pentiti o avessero continuato, magari, ad occupare posti nella burocrazia, sottraendo lo Stato a quello sviluppo democratico che avrebbe dovuto avere.
Quanto alla “legittimazione” che avrebbero cercato alcune forze politiche, ho serissimi dubbi anche sulla fondatezza di questo assunto. Perchรฉ mai chi aveva combattuto per la libertร non avrebbe dovuto essere considerato tra la parte migliore del Paese? E perchรฉ mai ci sarebbe stato bisogno di una “legittimazione” visto che i partiti antifascisti avevano partecipato, con tutti gli altri, alla Costituente, il cui Presidente fu, addirittura, un comunista (Terracini)? Altri ancora fanno riferimento a un’eccessiva “mitizzazione” della Resistenza. Io non riesco bene a comprendere, in realtร , che cosa c’entrerebbe, questo, con la leggenda del fascismo “mite” e del bravo italiano.
In ogni caso, anche ammesso che vi sia stata una fase di eccessiva esaltazione della Resistenza (in qualche modo, anche imposta dalla necessitร di rispondere agli insistenti tentativi dei revisionisti e negazionisti di negarne la consistenza ed agli sforzi per ridurre almeno una parte dei resistenti al livello di delinquenti comuni (basta pensare ai processi contro i partigiani, degli anni cinquanta), quella fase si รจ conclusa piuttosto presto, passando ad una visione piรน oggettiva, delle luci e delle ombre di un fenomeno cosรฌ rilevante per la storia patria, ad una valorizzazione della “normalitร ” delle scelte resistenziali, collegata – peraltro – alla pretesa piรน che fondata che cessassero gli attacchi, che invece tuttora perdurano.
La veritร รจ che questo Paese ha trovato e trova ancora difficoltร a ritrovarsi attorno ad una memoria se non propriamente condivisa, quantomeno collettiva. Per raggiungere la quale รจ necessario, da un lato, arrivare a far conoscere tutta la veritร sul fascismo e sul suo carattere autoritario, totalitario e violento, dall’altro, pretendere che cessi ogni forma di denigrazione dell’antifascismo e della Resistenza , in nome – anche in questo caso – della veritร storica. Un paese civile avrebbe dovuto raggiungere questi punti fermi (i connotati del fascismo e il valore dell’antifascismo e della Resistenza) da molto tempo; ma puรฒ ancora farcela e deve farlo, se si vuole arrivare, non ad una “pacificazione”, impossibile come tale, ma ad una memoria collettiva, fondata sulla realtร storica e sulla fedeltร alla reale consistenza dei fatti. Forse non รจ tardi.
Ma bisogna mettercela tutta, a partire dalle scuole ( e non solo da quelle), per chiuderla con le ” leggende ” inaccettabili ( il fascismo “mite”) e con visioni distorte e riduttive dell’antifascismo e della Resistenza. Oggi, con questa riflessione a piรน voci sul Tribunale speciale per la difesa dello Stato, abbiamo posto un tassello importante sulla via della conoscenza e della veritร ; ma abbiamo fatto anche di piรน, abbiamo cercato di dimostrare che non si trattรฒ di una vicenda (pur tragica) limitata alla natura ed ai comportamenti di un organismo creato per reprimere il dissenso, ma di una delle tante manifestazioni del carattere, prima ancora che autoritario, violento del fascismo; da un lato colmando una lacuna sotto il profilo della conoscenza storica e dall’altro, recando un contributo, spero apprezzabile, alla demolizione di una leggenda non nata dal silenzio delle nevi, come le leggende nordiche, ma inventata e sostenuta da interessi poco commendevoli, come quella di un fascismo sostanzialmente “mite” e bonario, laddove si trattรฒ invece di un fenomeno drammatico e tragico, fondato anche e soprattutto sulla violenza.
Questo testo รจ stato pubblicato sul sito dell’Anpi