Eternit: il disastro è prescritto

25 Novembre 2014 /

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di Anna Maria Bruni
Ancora 20 morti l’anno, che il diagramma previsionale sulle ricadute dei danni da amianto indica ancora in crescita esponenziale, con un picco di 60 all’anno almeno fino al 2020. Nonostante l’Eternit di Casale Monferrato sia chiusa da 28 anni. Perché fino a quel momento è riuscita a far strage di 3000 persone, se consideriamo gli 800 malati. Ma dobbiamo, perché nel frattempo sono morti. E poiché la fabbrica è chiusa dal 1986, dobbiamo precisare che da 28 anni le persone che continuano a morire sono cittadini che non hanno mai messo piede in quella fabbrica.
Eppure al terzo grado di giudizio la sentenza della Corte di Cassazione ha decretato che il disastro ambientale non persiste, dal momento che la fabbrica è chiusa. Prevale quindi la prescrizione che nel 2012, al momento della sentenza di appello, era stata esclusa per “persistenza del reato connessa alla persistenza della malattia”. Sentenza ribaltata in Cassazione dunque, dove al contrario i giudici hanno dichiarato che se il tempo di latenza del mesotelioma (il tumore correlato all’esposizione da amianto) è di 20 anni non vuol dire che il disastro è in atto oggi, ma era in atto 20 anni fa. Nonostante, voglio ripeterlo, continuino a morire i cittadini di Casale Monferrato, non i lavoratori, dal momento che la fabbrica è chiusa. Dunque Shmidehiny è prosciolto, e sono annullati il rimborso Inail e i risarcimenti per le vittime.
A Casale Monferrato oggi è lutto cittadino. Non può essere altrimenti, anche perché la cittadinanza, doppiamente ferita, fa muro intorno ai tanti cari attualmente malati. Un bisogno di proteggersi, che è bisogno che prevalga l’umano sulla regola scritta. Per questo Guariniello, insieme all’Associazione vittime dell’Amianto non si arrende, e riparte con il processo “Eternit bis” il cui impianto questa volta si basa sull’omicidio. Per le 260 vittime degli ultimi 4 anni.

Un numero che ci riporta alle vittime della tragedia di Marcinelle, in Belgio, dove l’8 agosto 1956 persero la vita 262 minatori, di cui 136 italiani. I nostri emigranti. Per mancanza delle più elementari regole di sicurezza, a cominciare dallo stato obsoleto dei mezzi a disposizione, (il pozzo iniziale della tragedia, il numero 1, era in funzione fin dal 1830), compresi quelli di soccorso. Una serie di coincidenze provocate dal malfunzionamento meccanico degli ascensori d’uscita ha fatto il resto. 6 furono i superstiti, 2 i processi, 1 condanna: 8 anni dopo, nel 1964, un ingegnere. 6 mesi con la condizionale. In compenso oggi la miniera Bois du Cazier è patrimonio Unesco. Ma noi vogliamo persone vive, non “eroi morti”.
Questo articolo è stato pubblicato su Libera.tv il 24 novembre 2014

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