Le mani sul territorio: considerazioni su disastri ormai quasi quotidiani

18 Novembre 2014 /

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di Alexik (da illavorodebilita)
Dalle trivelle agli inceneritori, dall’alta velocità agli aereoporti fantasma, c’è di tutto nel potpourri del decreto “Sblocca Italia” (qui il testo) appena licenziato dal Parlamento. C’è la potenziale militarizzazione dei gasdotti di importazione di gas dall’estero (TAP?), dei terminali di rigassificazione e relative opere connesse che rivestono, da oggi, carattere di interesse strategico. Ci sono i costi di manutenzione degli alloggi del Progetto CASE (quelli dove crollano i balconi) da accollare ai terremotati dell’Aquila. Ovviamente non mancano tanto tanto asfalto e tanto tanto cemento.
Più che un decreto è una bomba ecologica a frammentazione, le cui schegge multiformi colpiranno il suolo italico da nord a sud nei più svariati modi. Il testo è complesso e “ricco” di novità, e la sua analisi necessiterà di una serie a puntate. Così potrete incazzarvi un po’ alla volta. Lo “Sblocca Italia” non parte benissimo già dai primi articoli, che riconfermano la vocazione “altavelocitaria” del governo Renzi. L’articolo 1 consegna all’Amministratore Delegato di Ferrovie dello Stato S.p.A – Michele Elia – il ruolo di Commissario per la realizzazione delle opere relative alle tratte ferroviarie dell’alta velocità Napoli/Bari e dell’alta velocità Palermo/Catania/Messina.
L’AV sulla tratta Napoli/Bari, dal costo teorico di 7,116 miliardi di euro (di cui 3,532 già stanziati) serve a far risparmiare tre quarti d’ora nel tragitto dal capoluogo pugliese a quello campano [1]. Il progetto viene così definito da Paolo Beria e Raffaele Grimaldi, i ricercatori del Politecnico di Milano che hanno analizzato i piani di espansione dell’AV confrontando i costi, la domanda esistente e quella attesa: “La linea Napoli-Bari sembra comparativamente debole da ogni punto di vista: pochi passeggeri, poco traffico e poco tempo risparmiato” [2]. Un parere decisamente difforme da quello degli estensori del decreto, che ritengono “gli interventi da praticarsi sull’area di sedime della tratta ferroviaria Napoli – Bari, nonché quelli strettamente connessi alla realizzazione dell’opera” come “indifferibili, urgenti e di pubblica utilità”.

Gli interventi in questione riguardano in parte la modernizzazione della linea attuale, ma in parte nuove varianti che non sfuggono all’irresistibile frenesia di bucare le montagne. In particolare nel tratto irpino Apice-Orsara, che da solo costa due miliardi, viene abbandonato tutto il tracciato della vecchia ferrovia, comprese le gallerie già esistenti. La variante comporta la costruzione di viadotti, gallerie artificiali, ma soprattutto lo scavo di 28 km di ulteriori gallerie naturali in un territorio (per ora) incontaminato. Vengono chiuse le stazioni di Montecalvo, Buonalbergo, Castelfranco, Ariano Irpino, S. Vito, Savignano e Montaguto, condannandone le popolazioni all’isolamento [3].
Quanto all’alta velocità sulla tratta Palermo/Catania/Messina, dal costo teorico di 5,106 miliardi di euro (di cui 2,426 già stanziati), essa servirà a far risparmiare nel 2020 venti minuti nel tragitto Catania/Palermo e venticinque da Messina a Catania [4]. Un esborso spropositato rispetto ai risultati previsti, su un progetto che comunque taglia fuori gran parte del territorio siciliano, intere province dove i collegamenti ferroviari versano in condizioni disastrose. Secondo Giosuè Malaponti, Coordinatore del Comitato Pendolari Siciliani, “l’imponente finanziamento dello Sblocca Italia poteva essere distribuito per ammodernare, velocizzare e realizzare un sistema più leggero e veloce in tempi più brevi collegando molte più città che ad oggi sono quasi del tutto isolate per scelte o disattenzioni non condivisibili. Ribadiamo che non ci serve l’alta velocità nelle tratte siciliane per ovvi motivi, uno dei tanti, i tempi lunghissimi di realizzazione. Ai siciliani basterebbe solo ed esclusivamente “la velocità” [5].
Comunque, con quei 5,106 miliardi qualcosa si dovrà pur fare ! Non certo il ripristino della Alcamo-Trapani chiusa da un anno e mezzo, o della Caltagirone-Gela chiusa da oltre tre anni dopo il crollo del ponte.
Qualcosa di più importante… come l’interramento della stazione ferroviaria di Catania e di 19 km di linea ferrata dentro la città. Sugli effetti collaterali di questo genere di opere sarebbe utile chiedere lumi ai bolognesi di via Carracci, che per 9 anni si sono ritrovati prigionieri del cantiere infinito della nuova stazione sotterranea, esposti alle polveri e ai rumori e con le abitazioni lesionate dagli scavi [6].
Scenari simili hanno già interessato il percorso della Palermo/Catania/Messina durante gli scavi del tratto interrato del passante ferroviario di Palermo, che hanno provocato la lesione e il cedimento strutturale di edifici sovrastanti e lo sgombero degli abitanti [7]. Per l’occasione si è data la colpa ai terreni dalle “caratteristiche geologiche scadenti” [8]. Insomma, colpa di quegli stronzi dei terreni, non di chi doveva valutare la fattibilità dello scavo dal punto di vista geologico ! A proposito di scavi, l’AV da Messina a Catania prevede una variante rispetto alla vecchia linea di 42 km, di cui 35 in galleria [9].
Insomma, il movimento terra va per la maggiore, ed è inutile precisare di che natura siano, da nord a sud, le imprese leader nel settore [10].
Ma torniamo al nostro decreto. Originariamente lo “Sblocca Italia” attribuiva al Commissario il potere di decidere, in deroga alle procedure di legge, la continuazione dei lavori per la Napoli/Bari e per la Palermo/Catania/Messina anche in presenza di “motivato dissenso espresso da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità”.
Lo stop per fortuna è arrivato dal presidente dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione Raffaele Cantone, ascoltato dalla Commissione Ambiente della Camera: “non dimentichiamo che il commissario è anche l’amministratore delle Ferrovie dello Stato, e di fatto l’ad Fs finisce per sostituirsi alle autorizzazione ambientali…. è evidente che c’é un soggetto che ha interesse al compimento delle attività che è anche soggetto attuatore pubblico degli appalti” [11].
Grazie a Cantone l’articolo è stata emendato, ma non del tutto. Nel caso di pareri negativi di ordine ambientale, paesaggistico, culturale o a tutela della salute e pubblica incolumità, si seguirà dunque l’iter di legge, che prevede il pronunciamento in merito da parte della Conferenza dei servizi… ma però con i tempi dimezzati. Se la Conferenza dei servizi non si esprimerà nei tempi previsti scatterà il silenzio/assenso alla continuazione dell’opera, presumo anche in presenza di una Valutazione di impatto ambientale negativa.
Lo “Sblocca Italia” inoltre conferisce al Commissario il potere di agire in deroga ai “Contratti istituzionali di sviluppo” ed alle relative relazioni tecniche. Potrà in pratica stracatafottersene di quegli accordi sottoscritti in vista dell’attuazione della Napoli/Bari e della Palermo/Catania/Messina, da Ministeri, Regioni, Enti locali, FS e RFI, frutto di un lungo lavoro di contrattazione fra le parti. E se tutto questo non bastasse, “al fine di ridurre i costi e i tempi di realizzazione dell’opera”, egli potrà rielaborare i progetti già approvati non ancora appaltati.
In pratica Elia potrà fare tutto quello che gli pare, in un contesto dove la possibilità di porre condizioni e divieti finalizzati alla tutela ambientale da parte delle autorità preposte risulterà molto più complicata (Continua).
NOTE

Questo articolo è stato pubblicato sul blog di Daniele Barbieri il 100 novembre 2014

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