di Antonio Sciolino
Lino Michelini, più conosciuto come “William”, era nato a Bologna il 29 dicembre 1922. Non ha mai amato il suo vero nome ed agli amici diceva di preferire quello di battaglia. È venuto a mancare improvvisamente, all’alba dell’8 luglio 2014 nel suo appartamento a Corticella, estrema periferia nord di Bologna, quando fatta come ogni mattina la colazione e ormai vestito, si accingeva ad uscire per raggiungere la sede in via San Felice dell’ANPI provinciale di cui era presidente, per il lavoro quotidiano che iniziava abitualmente sulle 7.30. È stato il figlio Elio, che abita sullo stesso pianerottolo, a fare la dolorosa scoperta, non avendo udito il solito saluto con le nocche sull’uscio di casa. Il decesso è stato istantaneo.
All’indomani della Liberazione, così come tanti altri partigiani, si è generosamente prestato con compiti di polizia per garantire l’ordine pubblico e la sicurezza alla vita cittadina, contrastando delinquenza comune e resti di quella repubblichina. Ha poi subìto, così come altri partigiani, le conseguenze della politica governativa successiva tesa a demolire le conquiste della lotta di Liberazione. Accusato di reati gravi ma infondati perché frutto di invenzione, William ha subìto 36 mesi di carcere e tre processi finiti con altrettante assoluzioni. La sua attività partigiana gli è stata riconosciuta con la decorazione di Medaglia d’Argento al Valor Militare e l’attribuzione del grado di capitano.
E il Consiglio provinciale, su proposta del presidente Vittorio Prodi, all’unanimità, gli ha conferito il Premio Provincia di Bologna (motivazione ufficiale del poeta Roberto Roversi e prolusione dello storico e docente universitario Luciano Bergonzini). Alla solenne seduta il 9 giugno 1995 ha partecipato il senatore Arrigo Boldrini “Bulow”. La motivazione: “Per il contributo di primissimo piano alla lotta di liberazione”.
La scomparsa di William ha destato una vastissima commozione in ogni ambiente. Il Comune ha voluto la camera ardente nella sala che dà sul cortile d’onore, proclamando il lutto cittadino per il 10 luglio, giorno del commiato. Si sono avvicendati al cospetto della bara, attorniata dai gonfaloni e dal medagliere dell’ANPI, giovani antifascisti, lavoratori, sindaci con fascia tricolore, rappresentanze della Regione Emilia-Romagna, della Provincia con la presidente Beatrice Draghetti, dell’Università degli Studi col rettore prof. Ivano Dionigi, delle Forze Armate, dei sindacati, delle istituzioni culturali, delle tante organizzazioni della società civile.
Il saluto della città è stato pronunciato dal sindaco Virginio Merola, da Renato Romagnoli “Italiano” – compagno di lotta nella 7ª GAP – e da Carlo Smuraglia presidente nazionale dell’ANPI. All’uscita dal Comune il feretro ha avuto una significativa sosta davanti al Sacrario dei caduti partigiani di Piazza Nettuno nel quale sono presenti 2052 formelle che ricordano i caduti della Resistenza. Un’epigrafe riporta le motivazioni del conferimento della Medaglia d’Oro al Valor Militare per la guerra di liberazione alla città di Bologna. I bambini del coro “R’Esistente” di via del Pratello lo hanno salutato cantando “Bella Ciao”.
William dopo la cremazione riposa ora alla Certosa assieme a sua moglie Rina Pizzoli. Nella sua intensa attività rivestiva le cariche di coordinatore regionale delle nove ANPI provinciali dell’Emilia-Romagna, di segretario del Comitato provinciale della Resistenza e della Lotta di Liberazione, di vice presidente nazionale dell’ANPI. Per la ricchezza della sua vita di patriota era chiamato dalle scuole in città e nei comuni, a recare testimonianza nell’ambito di lezioni di storia. Altrettanto alle manifestazioni, la più recente quella del 25 Aprile in piazza Nettuno. Era stato l’anima della Festa provinciale dell’ANPI (19-22 giugno) nel parco delle Caserme Rosse. Si era prodigato nell’opera di uniicazione dei siti contenenti materiali fotografici e documenti sulla storia della Resistenza bolognese. A lui facevano capo le energie che aveva saputo mobilitare per dare corso al Settantesimo anniversario della Liberazione, tuttora in essere.
Il suo nome è strettamente legato alle vicende dell’antifascismo quando, in giovanissima età, lavorava da meccanico. Entrato a far parte della 7ª Brigata GAP fu tra gli organizzatori dello sciopero nelle fabbriche dei primi di marzo del 1944 e con alcuni compagni minò e fece saltare, al deposito della Zucca, gli scambi dei binari tranviari per impedire l’uscita delle vetture verso i rioni industriali. L’azione dei gappisti, di cui fu uno dei principali protagonisti, rese quanto mai precaria la vita dei nazifascisti soprattutto all’interno dell’area cittadina, e con quest’ultimi delle spie e degli iniltrati.
Tra i rilevanti episodi ricordiamo l’assalto al carcere di San Giovanni in Monte con la liberazione di centinaia di detenuti; quello all’hotel Baglioni di via Indipendenza sede del comando tedesco della piazza militare di Bologna; l’attacco al deposito di munizioni della RSI di villa Contri in zona Barca; la vittoriosa battaglia di Porta Lame. L’azione del carcere, avvenuta il 9 agosto 1944, col favore dell’oscuramento antiaereo, iniziò alle ore 22 quando due auto con dodici partigiani a bordo, cinque in uniforme della brigata nera, tre da tedeschi, quattro in “abiti” da “ribelli” da incarcerare giunsero davanti al portone della prigione.
Vinta la buonafede delle due sentinelle fasciste, il portone venne aperto. Immediatamente fascisti e secondini furono messi in condizioni di non nuocere e furono tagliati i fili del telefono e aperte le celle. Intanto all’esterno, nel tentativo di reagire al disarmo, una sentinella sparava ferendo William alle gambe. I prigionieri politici ebbero subito ospitalità nelle basi partigiane; oltre trecento detenuti si sparsero autonomamente in città. William trasportato nell’abitazione di una infermiera del Policlinico Sant’Orsola venne sottoposto ad opportuni interventi chirurgici da medici del servizio sanitario clandestino, ino a guarigione che peraltro non ha mai cancellato la traccia evidente per tutta la vita. Ferita che non gli ha impedito di tornare al suo posto di lotta. Come protagonista nella battaglia di Porta Lame.
Col fronte adriatico della 8ª Armata inglese e quello tirrenico della 5ª Armata americana, entrambe puntate a dilagare nella pianura padana, il CUMER (Comando unico militare Emilia-Romagna) chiese alle brigate partigiane di montagna e di pianura di concentrarsi a Bologna per proteggere la città in vista dell’offensiva finale, ed impedire che Bologna – già pesantemente colpita dai bombardamenti aerei alleati – fosse luogo di guerra casa per casa e ne fossero distrutti strutture civili ed impianti industriali.
Nell’area di via Azzo Gardino, presso Porta Lame, 75 uomini vennero alloggiati in due palazzine del Macello. Altri 230 nei locali dell’Ospedale Maggiore (all’epoca ubicato in via Riva Reno, nei pressi dell’attuale Palasport “Giuseppe Dozza”) abbandonati perché gravemente sinistrati. Ma le operazioni militari in grande stile degli Alleati subirono un rallentamento, per andare da lì a poco alla stasi (il 13 novembre ci fu l’infausto proclama del generale Alexander, trasmesso pubblicamente via radio, che annunciava l’arresto dell’ofensiva). I nazifascisti ne approittarono per indirizzare il loro sforzo nella repressione antipartigiana. Problematico l’immediato rientro delle brigate alle basi di partenza.
Quel 7 novembre 1944 di primissimo mattino si cominciò a notare un movimento di nemici. Il comandante della base Macello Bruno Gualandi (“Aldo”) incaricò le stafette Diana Sabbi e Rina Pezzoli di uscire, esplorare e riferire, ma ambedue furono fermate, assieme ad altri passanti, da una pattuglia fascista. La battaglia iniziò di lì a poco quando alcuni tedeschi si avvicinarono alla palazzina. La zona fu circondata da un reparto della Feldgendarmerie e 150 uomini della brigata nera e 50 della polizia ma i partigiani ben appostati inflissero loro le iniziali pesanti perdite. A metà mattina i tedeschi si avvalsero di un cannone da 88, una mitraglietta pesante a due canne, e più tardi di un panzer Tigre.
Tra i gappisti cominciavano ad aversi i primi caduti. Lo stesso “Aldo” ferito, dovette cedere il comando al commissario politico “William”, cui si deve la vincente conduzione del combattimento, parallelamente alla creazione di tre gruppi: due di fuoco, il terzo per il trasporto a spalla dei feriti. Calata l’oscurità e messi in opera fumogeni, William dispose lo sganciamento, seguendo il corso del vicino canale Cavaticcio. Quando i nazifascisti non sentirono più sparare si avvicinarono alla base trovandola vuota. Ritennero quindi di aver vinto la partita. Ma a quel punto entrarono in azione i partigiani dell’Ospedale Maggiore che in massa li attaccarono alle spalle scompaginandone i reparti. Nel rapporto del commissariato di polizia della zona Galliera sono elencate nominativamente le perdite di 18 militi.
Da parte dei tedeschi 15 morti ed una ventina di feriti. Quella di Porta Lame è stata valutata dagli storici la maggiore battaglia in Europa in campo aperto all’interno di una città occupata. Pagata dalla Resistenza a caro prezzo: con la vita di 10 giovani durante la giornata e di altri 2 nell’attacco vittorioso della sera. William raccontava spesso questo episodio quando parlava nelle scuole senza però dare risalto agli aspetti eroici e lo accompagnava sempre con un discorso sulla tragedia della guerra e sull’importanza della pace quale bene assoluto per le nuove generazioni.
Il Consiglio comunale di Bologna, riunito in seduta solenne, lo ha commemorato il 14 luglio scorso con le parole della presidente Simona Lembi che lo ha ricordato ripercorrendo la sua biograia ed ha concluso dichiarando: “Bologna ha saputo rendere omaggio ad un uomo tanto semplice quanto importante”.
Ciao William
Questo articolo è stato pubblicato su Patria indipendente, il giornale dell’Anpi