di Rudi Ghedini
Non so che farci: sono arrivato alla conclusione che D’Alema, se davvero volesse nuocere a Renzi, dovrebbe dire che ha perfettamente ragione.
È un paradosso? No, è la condizione psicologica di chi guarda al Pd come uno stato di necessità, senza alternative, e si affida a Renzi perché ne definisca finalmente la fisionomia, il profilo, l’identità. Consapevoli che è un partito vincente perché è l’ultimo partito rimasto, ma quanto a fisionomia, profilo e identità, il Pd è un disastro su tutta la linea. Come una foto sfuocata. Come un’orchestra mentre prova gli strumenti.
Renzi stravince, anzi ridicolizza gli avversari interni, per il semplice fatto che gli avversari interni – eccezion fatta per Civati, che ha altri difetti di cui scriverò un’altra volta – sono credibili come lo sarei io se dicessi a Usain Bolt come migliorare la partenza o la curva. Ora, D’Alema che consiglia a Renzi come governare, e Bersani che gli spiega come far funzionare il partito, comunicano la stessa impressione del sottoscritto che suggerisce a Messi come dribblare o a LeBron James come schiacciare a canestro. Anzi, peggio. Perché D’Alema ha pur governato. E Bersani ha pur diretto quel partito. Entrambi, con risultati talmente sconfortanti da aprire un’autostrada al primo furbacchione con l’accento fiorentino che si è messo a parlare di rottamazione.
Stiamo all’attualità dell’articolo 18. Renzi sbaraglia il campo non perché sostenga tesi limpide e convincenti, ma perché molti fra quelli che gli si oppongono si sono messi a predicare bene dopo aver razzolato male. Chi ha introdotto le tipologie contrattuali che hanno spalancato le porte alla precarietà di un paio abbondante di generazioni? Il Pacchetto Treu. Era il 1997, al governo stava Prodi, sostenuto anche da Bertinotti. Sono nate allora le agenzie interinali e i co.co.co; e la Cgil di Cofferati appoggiava, con pochi distinguo, il Pacchetto Treu, anzi ci investiva sopra.
L’avevo dimenticato, me l’ha ricordato Angela Mauro sull’Huffington Post, che “Obiettivo Lavoro”, la prima agenzia di lavoro interinale, “fu fondata dalla Lega Coop lombarda nel 1996, un anno prima dell’approvazione del pacchetto Treu, insieme ad altri soci: la Compagnia delle Opere (CL), Confcooperative (cooperative cattoliche), Cisl e Uil, Confesercenti e altri. E il primo presidente del cda di Obiettivo Lavoro fu Giuseppe Cova, ex segretario della Camera del Lavoro di Milano e della Cgil Lombardia”.
Poi, nel 2003, la cosiddetta Legge Biagi, approvata dal governo Berlusconi con Maroni al ministero del Lavoro, ha sfondato ogni argine – escluso l’art. 18 – nel mettere a disposizione degli imprenditori una varietà di tipologie contrattuali, tali per cui l’assunzione a tempo indeterminato è diventato la rarità che sappiamo. Di nuovo, con Prodi al governo, nel 2006-07, la Cgil chiedeva di abolire la Legge Biagi, ma il governo preferì ritoccarla molto parzialmente.
Ora che D’Alema riesuma la parola “padroni”, dall’ultima direzione Pd si ricavano momenti di autentica comicità. Nel dibattito in direzione, infatti, D’Alema ha ricordato il referendum per estendere l’articolo 18 alle imprese con meno di 15 dipendenti. Celebrato nel 2003, quel referendum non raggiunse il quorum. Testuale, D’Alema: “Non è neppure vero che nessuno ha fatto nulla per estenderlo, abbiamo cercato di farlo con un referendum, ma non ci siamo riusciti”. Pochi minuti dopo, con un sadismo che giustifica la nomea di “giovani turchi”, Matteo Orfini ha ricordato all’ex lìder maximo che il partito dell’epoca, i Ds, era fermamente contrario a estendere l’articolo 18 alle piccole imprese e non si impegnò sul referendum…
Analoghe, spettacolari capriole potrei richiamarle su Bersani. Mi limito a ricordare come salì sul carro dei vincitori dopo il referendum sull’acqua pubblica, dopo averlo lungamente avversato e aver sperato fallisse; del resto, lui stesso era il primo firmatario di una proposta di legge che andava in direzione opposta. Su queste incoerenze, e sulle mancate autocritiche, Renzi ci sguazza e può dire ai suoi: “Li ho spianati”, riferendosi a chi prova a opporglisi nel Pd. Ha gioco facile, potendo contare anche sul fatto che per molti deputati e senatori piddini questo è l’ultimo giro. Matteo l’ha già dimostrato: non fa prigionieri.