di Vittorio Capecchi e Franco Fortunati
I Comuni, con la scomparsa delle Province, si stanno riorganizzando in due fasce: le aree metropolitane e i Comuni periferici rispetto a queste aree. Se si vuole portare avanti delle politiche keynesiane di sviluppo territoriale oltre alla importanza di rendere sempre più competitive le regioni in un quadro europeo (quindi politiche regionali sempre più attive) si presenta il problema di come attivare politiche di sviluppo locale e creazione di nuove imprenditorialità nei Comuni periferici rispetto alle aree metropolitane. Questi Comuni rischiano infatti di essere considerati marginali rispetto alle politiche di sviluppo delle aree metropolitane che sono più attrezzate per dialogare con le politiche regionali.
La nostra idea, derivante dalle diverse esperienze realizzate nei territori, è invece radicalmente diversa. Riteniamo infatti che in questi Comuni periferici si sia formata una nuova generazione di attori sia privati (imprese, persone che svolgono lavori autonomi..) che pubblici-privati (sindaci, presidi di scuole, responsabili associazioni, etc) che possono scrivere una nuova narrazione.
In un recente convegno internazionale vi sono stati due contributi che possono chiarire molto bene come affrontare le politiche di formazione di nuove imprese e di politiche dello sviluppo locale anche in Comuni periferici. In quel convegno vennero fatte due precisazioni significative. Steven Gould ha attirato l’attenzione su una importante distinzione nelle ecologie naturali distinguendo tra due tipi di confini: i limiti e i bordi. Il limite è un confine dove le cose finiscono; il bordo è un confine dove diversi gruppi interagiscono. Sui bordi, gli organismi diventano anzi maggiormente interattivi, proprio per l’incontro di diverse specie e condizioni fisiche. Richard Sennet è partito da questa distinzione per elaborare il concetto di narrazione aperta nella pianificazione di un territorio.
Come scrive Sennet:
La pianificazione della città aperta, al contrario, come in tutti i sistemi aperti che ritroviamo in matematica e nel mondo naturale, abbraccia forme non lineari di sequenzialità. Per ribadire il concetto: se uno scrittore annunciasse nelle prima pagine del suo romanzo, ecco che cosa succederà, che cosa capiterà ai personaggi, e che cosa significa questa storia, il lettore non ci penserebbe due volte a chiudere il libro. La narrativa migliore parte alla scoperta e punta a esplorare l’ignoto, l’imprevisto. L’arte dello scrittore sta nel plasmare, nel dare forma a quel processo esplorativo. Così pure è l’arte dell’urbanista.
E, aggiungiamo noi, di chi si occupa di sviluppo locale e social design.
Per sviluppare un’area come quella dei Comuni italiani bisogna quindi favorire con gli attori locali (giovani in cerca di lavoro, persone adulte che si trovano nella necessità di cambiare, nuove imprese ecc.) una “narrazione aperta” e operare su i bordi favorendo il dialogo tra gli attori dei Comuni con le strutture più vive del mondo della ricerca e della imprenditorialità collocate non nella città metropolitana ma nelle regioni più attive del mondo.
Queste due indicazioni (favorire una narrazione aperta e operare su i bordi) sono state il costante punto di riferimento di FormArea e del suo approccio. Questo procedere dal basso ricorda analoghe iniziative portate avanti in contesti diversi e più difficili come quelli dell’America Latina. Ma, come ha scritto Eduardo Galeano nella “Memoria del fuoco”, “sono piccole cose. Non eliminano la povertà, non ci fanno uscire dal sottosviluppo, non socializzano i mezzi di produzione, non espropriano la grotta di Alì Babà. Ma forse scatenano la gioia del fare, e la traducono in atti. In fin dei conti, agire sulla realtà e cambiarla, anche se di poco, è l’unico modo per dimostrare che la realtà è modificabile” e farci pensare e usare parole (ogni tanto) oltre l’incubo quotidiano della crisi e della recessione”.
Questo articolo è stato pubblicato da Inchiesta online l’11 agosto 2014