Una vecchia foto e una pila di fogli bianchi: e fu così che se ne andò sorridendo

20 Agosto 2014 /

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Scrivere
Scrivere
di Cornelius
Scriveva le sue novelle sempre di notte, quando in casa gli altri dormivano. Sullo studiolo apriva il suo Osborne one, il primo portatile con cui aveva sostituito a fatica la vecchia Lettera ventidue. I fogli bianchi non mancavano, non sapeva rinunciarci, anche se gli occorrevano al momento della stampa.
La luce soffusa della lampadina blu da lettura, il bicchiere di cognac Hennessy, il preferito. Poi dal cassetto sotto alcune cartelle, tirava fuori la foto nella cornice di legno rosso, la musa sorridente lo guardava dritto negli occhi. Non poteva cominciare a scrivere senza guardare in quegli occhi azzurri e trovare l’ispirazione, lei era appoggiata a un tronco, sotto un albero grande e ombroso e sotto s’intravedeva il mare azzurro e profondo. Un ginocchio in evidenza e i fianchi stretti, la camicetta a quadretti rossi e blu, gli orecchini rotondi, le labbra rosse, le mani affusolate, il mento rotondo e il naso all’insù, i riccioli neri e lo sguardo vivido e lucente.
La foto di un tempo felice, l’attimo in cui l’amore si condensa in uno sguardo fuggente, un ammiccamento complice e sincero, la condivisione di una felicità che ti accarezza e passa come le cose belle che immancabilmente finiscono. Quei momenti gli erano rimasti dentro come uno spirito lieve, un altro se stesso che continuava a vivere la percezione di un amore che non sarebbe mai finito.

Così, quasi ogni notte scriveva qualcosa, un racconto, una novella, una poesia, un’ora, un’ora e mezza di creatività ispirata, scriveva storie inventate e vere, racconti gialli, noir, a volte d’amore perfino racconti erotici, un’ampia produzione che nessun altro aveva mai letto. Solo lei era attiva testimone della feconda vena letteraria.
Erano trascorsi così insieme molti anni, forse trenta se non quaranta, ormai i capelli s’erano imbiancati e qualche macchiolina scura compariva sul dorso delle mani, oddio era ancora in forma soprattutto la notte dialogando con la fotografia, l’orologio correva forte all’indietro e il tempo trascorso a scrivere e rileggere il testo alla ragazza volava in un attimo, andava a dormire spossato e felice, dopo aver avuto la conferma da quegli occhi luccicanti che annuivano convinti.
Lo trovarono così quella mattina, sorridente e rilassato, sembrava dormisse invece era morto. Appoggiato alla tastiera, aveva terminato l’ultima novella, la storia del viaggio con una donna misteriosa, alla scoperta di una città immaginaria. Una mano era appoggiata su una vecchia fotografia ingiallita, dove s’intravedeva a stento un paesaggio, un grande albero ombroso, un muretto e sotto un mare azzurro e profondo.

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