Intorno agli "intellettuali". Nota su di un articolo di Marco Revelli

23 Aprile 2014 /

Condividi su

Intellettuali - Foto di Giovanni Picuti
Intellettuali - Foto di Giovanni Picuti
di Michele Fumagallo
In un recente articolo apparso su “Il manifesto” dal titolo “L’argomento di Callicle” Marco Revelli demolisce tutta la retorica sui “professoroni”, sul mito del “fare sul pensare”, sull’attacco agli “intellettuali”, sulla “velocità” contrapposta alla “riflessività”, eccetera. Lo fa in modo eccellente, del tutto condivisibile, richiamando alcune degenerazioni storiche del nostro paese (da Mussolini a Craxi, da Berlusconi a Renzi) a proposito di autoritarismo che cammina insieme all’anti-intellettualismo.
Sembra tutto perfetto nell’articolo di Revelli e tuttavia c’è qualcosa che non funziona. Non citerò i passi, ripeto condivisibili, dell’articolo per non dilungarmi (chi lo volesse può cercarlo su “Il manifesto” del 9 aprile scorso). Preferisco notare immediatamente ciò che non mi convince, soprattutto perché “non detto” nell’articolo. Qual è questo “non detto” che viene fuori dall’articolo?
È l’idea che le invettive “anti-intellettuali” siano sbagliate in linea di principio, quasi fossero “sempre” espressione di crisi e anticamera dell’autoritarismo. Eh no, caro Revelli, non è così. Le invettive “anti-intellettuali” non sono sbagliate in linea di principio ma sono sbagliate in linea pratica e contingente, cioè a causa della mistificazione che contengono: in questo caso (si parla ovviamente nell’articolo anche dell’ultimo “manipolatore” in ordine di tempo, Matteo Renzi) perché non è vero che loro “fanno” e gli altri “parlano”, perché non è vero che loro “velocizzano” mentre gli altri “rallentano”, infine perché non è vero che loro “conoscono” il mondo pratico mentre gli altri soltanto quello teorico.

Hanno torto, e marcio, i “politici” nominati da Revelli, in linea “pratica” quindi, perché sono appunto incoerenti e manipolatori. Se non lo fossero, cioè se quelle espressioni fossero pronunciate da altri, acquisterebbero un significato del tutto opposto e condivisibile. Porto un esempio, citando una espressione del suo articolo a proposito di Bettino Craxi. Craxi disse: “Intellettuali dei miei stivali”, espressione volgare e sbagliata perché pronunciata in quel periodo, da quella persona, con quel ruolo.
Invece prendiamo la stessa espressione e mettiamola in bocca a una casalinga che vede i dibattiti degli intellettuali “esperti” in televisione; a un operaio che ascolta i “consigli” di economisti, docenti e quant’altri; a un giovane studente o disoccupato che contesta la sapienza ufficiale. In bocca a loro, quella espressione, “intellettuali dei miei stivali”, non solo non è volgare ma diventa sacrosanta e del tutto appropriata.
La confutazione di Revelli, ancorché giusta perché attacca i manipolatori di ieri e di oggi in Italia, contiene in sé, magari senza volerlo (appunto, il “non detto” dell’articolo), i germi dell’autoritarismo intellettuale e sapienziale.
Già, perché il potere della casta dei sapienti (intellettuali, scienziati, eccetera) non è meno pericoloso del potere politico, o economico o religioso. I poteri, a parte la forma, sono nella sostanza tutti uguali, e hanno questa cosa in comune tra loro: l’oppressione e la manipolazione delle persone, quelle “semplici” innanzitutto. La “sapienza”, quella “in linea di principio”, non è stata presa in giro soltanto dai manipolatori; è stata in verità attaccata anche in “sacri testi” che fanno parte del patrimonio dell’umanità.
Cito questa semplice preghiera-invettiva (o magari, manifesto politico) tratta dal Vangelo: “Signore ti ringrazio perché hai rivelato questo ai semplici e lo hai nascosto ai sapienti”. Dunque ai “sapienti” è preclusa la conoscenza del mondo che è invece patrimonio dei “semplici”. Sono i “semplici” a conoscere il mondo (e a trasformarlo, mi permetto di aggiungere), i “sapienti” non lo conoscono (e non lo trasformano, anzi). Mi permetto quindi di suggerire a Revelli di essere più preciso e completo, e di ricordare, insieme ai “politici” manipolatori, anche il potere nefasto e attaccabilissimo della “casta sapienziale”. È un peccato lasciare “non detti”, soprattutto in un articolo molto puntuale come il suo.

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati