Alcune considerazioni a proposito della lista Tsipras

8 Aprile 2014 /

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Alexis Tsipras - Foto di Wikipedia
Alexis Tsipras - Foto di Wikipedia
di Michele Fumagallo
No, non mi piace come è nata e come è stata presentata la “Lista Tsipras” (poi magari la voterò, perché solidarmente, se non socialisticamente, europeista). Non mi piace neanche come è stato sprecato il primo tempo della sua presentazione: poca “discesa” capillare in Italia, poca verifica di base delle candidature, poca discussione in tempo utile sulla politica generale di una sinistra radicale europea.
Insomma il contrario dei propositi elaborati da Alexis nella prima venuta in Italia in gennaio (se non vado errato). Dulcis in fundo non mi piace il nome (non mi riferisco a quello del compagno greco), intendo il termine “Lista”, parola squisitamente antipolitica, nel senso che codifica l’aspetto elettorale come scadenza pressoché assoluta dell’impegno di compagni e partiti (o, meglio, partitini) che hanno smarrito da tempo l’approccio alla cose nello stile del “partito di massa”. Cos’è quello stile?
È l’aspetto essenziale di una sinistra radicale e critica (e comunista, per quanto mi riguarda) che ha la società, e l’impegno quotidiano in essa, in cima ai pensieri. Ciò che vale per gli altri (destra, centristi, liberali di sinistra), intendo il dominio delle istituzioni sulla società, non vale per la sinistra radicale, socialista o comunista. Per la nostra sinistra abbandonare lo schema opposto (dominio della società sulle istituzioni) è semplicemente mortale.

Mettere al centro di tutto donne e uomini, organizzare le persone (a partire dai due “soggetti forti”, cioè classe operaia diffusa e mondo femminile, per quanto mi riguarda), occuparsi di loro in modo capillare: questo è l’imperativo categorico e l’impegno imprescindibile di una sinistra radicalmente critica verso gli assetti esistenti. Le istituzioni (e quindi le elezioni) sono elementi importanti ma “secondari” rispetto a quell’impegno “primario”. Non mi dilungo perché la discussione è complessa. Per tornare alla “Lista Tsipras”, mi piace riportare ciò che scrisse un mese fa Stefano Rodotà, esponente di una sinistra molto interessante ma non certo tacciabile di comunismo:
“In questa prospettiva si presenta come assai impegnativa l’iniziativa della lista Tsipras perché, in particolare, la partecipazione alle elezioni europee significherà sottoporsi ad un vero confronto pubblico. È una impresa rischiosa e, proprio per questo, vorrebbe dai suoi promotori un rigore estremo. Dal passato vengono esempi che ammoniscono sul rischio legato a logiche autoreferenziali (il fallimento nelle ultime due elezioni politiche dalla Sinistra arcobaleno e della lista Ingroia).
Dal presente viene l’obbligo a riflettere su che cosa significhi, al di là del fatto simbolico, il riferimento a Tsipras e al suo partito, Syriza. Si tratta di una esperienza maturata attraverso un lavoro politico non breve e che si è consolidato grazie ad una intensa presenza sociale. Condizioni, queste, che non trovano corrispondenza nella lista italiana e nella variegata coalizione che la sostiene, che peraltro non ha dato una esaltante prova di sé proprio nella scelta delle candidature, come attestano le cronache di ieri. Per tutti quelli che vogliano andare oltre la semplice critica al governo Renzi, si apre una stagione assai impegnativa. Ma proprio con queste difficoltà bisognerà misurarsi”.
Dunque Rodotà aveva messo il dito nella piaga, soltanto che nei fatti non è stato ascoltato quasi da nessuno. E sì che tutta la sinistra radicale (compresi alcuni dei suoi “intellettuali” e giornali) avrebbe bisogno come l’aria di aprirsi alla società, nel senso dell’impegno primario che dicevo. Va affermato con forza, secondo me anche nella campagna elettorale delle europee di maggio, che nella situazione italiana attuale, la sinistra radicale ha smarrito la democrazia politica più profonda. Se vogliamo dirla proprio tutta, la nostra sinistra “abbraccia” la Grecia e il suo movimento, a mo’ di scialuppa di salvataggio (elettorale), per sfuggire alle domande di un’Italia in cui non è stata capace di organizzare il popolo di sinistra smarrito .
Nella fattispecie delle elezioni europee prossime, si poteva prendere un’altra strada: quella del comitato promotore che “propone” (non “dispone”) i nomi della lista, poi li discute in assemblee territoriali e provinciali (almeno). Quindi va a un voto delle assemblee per ratificare o correggere alcune cose. Così non è stato ma si può recuperare il tempo perduto. Evitando innanzitutto autocensure elettoralistiche e parlando invece a tutti dell’Europa che vogliamo, della bussola indispensabile che rappresenta per noi il mondo del lavoro vivo, delle istituzioni nuove (europee) che vogliamo costruire nella nostra Italia. Eccetera.
Usiamo al massimo livello “politico” questa scadenza, non la ridimensioniamo “elettoralisticamente”.

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