Assemblea dell'Associazione Il Manifesto in Rete: proposte per una discussione

28 Marzo 2014 /

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di Michele Fumagallo
Questo testo è stato scritto in vista di domani, 29 marzo 2014, quando a Bologna è convocata l’assemblea dell’associazione Il manifesto in rete.
La prima cosa che voglio dirvi è che il documento di preparazione dell’assemblea del 29 marzo che avete pubblicato su questo blog è interessante su alcuni punti ma per me reticente sull’essenza di un dibattito che dovrebbe vertere sulla questione centrale – altrimenti perché chiamarsi “circolo del manifesto”? – del Manifesto.
Mi pare ci sia la tendenza a parlare d’altro (un “altro” molto valido, sia chiaro), quasi per sfuggire alla motivazione principale della vostra nascita come Circolo e delle sconfitte mano a mano subite in questi ultimi due anni. Come leggerete nei documenti allegati, io non ho voluto/potuto far parte dei circoli pur avendo messo a disposizione qualsiasi aiuto per loro, con la motivazione della loro nascita troppo in ritardo sui tempi.
I Circoli del Manifesto sarebbero dovuti nascere 15/20 anni fa per avere un senso storico preciso e una funzione assolutamente produttiva di cambiamento e di senso. Così non è stato ma tant’è. La loro mobilitazione è stata del tutto generosa (troppo, per un giornale e un collettivo che non la meritavano) ma segnata da questo sfasamento dei tempi. Perché sfasamento? Ma perché il Manifesto da almeno 15/20 anni aveva perduto la “spinta propulsiva” delle sue origini, e si era ormai accovacciato in un limbo autoreferenziale dove non c’era più possibilità di invertire la rotta e tornare alla politica alta delle sue origini.

Troppe cose erano accadute: dalla trasformazione dell’autonomia del giornale (grande e vittoriosa battaglia di Luigi Pintor nel periodo degli anni 70 contro i rinsecchimenti partitistici) in autonomismo decadente (si spiega così l’ultimo e ridicolo autoritarismo del giornale verso i Circoli); dal persistere di un rapporto con i compagni sostenitori assolutamente manipolatorio (parliamo di compagni/sostenitori che aiutano disinteressatamente un collettivo chiuso, spesso indifferente alla loro partecipazione e persino in parte “antipolitico”).
In questi due anni di braccio di ferro col giornale sono accadute cose significative su cui, mi sembra, sorvolate. Il giornale e la nuova cooperativa sono l’espressione di uno strappo (tardivo e inutile, probabilmente, anche per loro) nella storia del Manifesto. Non la continuità fasulla che viene presentata dall’attuale redazione. Praticamente “Il manifesto” attuale è un giornale che si lascia alle spalle, in modo definitivo e codificato, qualsiasi ipotesi di impegno politico che non sia la formale e ormai ripetitiva “scrittura” senza nessuna verifica politica (nulla è più ingannevole della scrittura fine a se stessa per la politica).
È una storia di decadenza, sia chiaro, che ha radici lunghe nel tempo e che è responsabilità di tutti, compresi i compagni fuoriusciti. Ne motivo la storia in uno dei documenti allegati, e quindi non mi dilungo. E noi, intesi come redattori e collaboratori fuoriusciti più di un anno fa? È stato di enorme gravità – sintomo non solo della crisi generale, ma dell’incapacità di fare i conti con gli errori che via via negli anni si sono accumulati al Manifesto per responsabilità di tutti – distribuire documenti collettivi critici verso la redazione e poi non essere in grado di creare neanche un blog nazionale “alternativo” al Manifesto giornale attuale. Una sconfitta secca su cui però nessuno ha inteso avviare una discussione, nonostante sollecitazioni autorevoli (Rossana, ad esempio). Una cosa triste, che però non va lasciata nel limbo della “psicologia”. E che spero sia oggetto della discussione a Bologna.
L’altro problema è quello dei Circoli. La loro secca sconfitta nel braccio di ferro col giornale attuale non è stata ancora analizzata per bene praticamente da nessuno, se si esclude qualche compagno in assoluta solitudine.
Oggi quindi una discussione proficua, per chi si chiama “manifesto”, non può prescindere da questi interrogativi:

  • 1. perché continua l’avventura “manifesto” in edicola senza porsi nessun problema, quasi come se l’accaduto degli ultimi due anni fosse una leggera parentesi? Perché nessuno dice più nulla sul giornale attuale, sulla sua qualità, sulla sua noiosa “ripetitività”, sui suoi collaboratori spesso del tutto autoreferenziali?
  • 2. Perché i Circoli non dicono nulla della loro storia degli ultimi due anni? Perché non analizzano, oltre che la loro generosità, gli errori commessi in questi due anni? In pratica perché non si pongono la domanda decisiva – perché non hanno vinto? -, ovviamente insieme ai redattori e collaboratori fuoriusciti, nel braccio di ferro col giornale?
  • 3. Perché i redattori e collaboratori (compreso chi scrive ovviamente, e mi riprometto di mandare in seguito un’altra nota) non sono stati capaci di fare alcunché di minimamente collettivo? Perché gli stessi redattori e collaboratori non hanno mai sentito il bisogno di discutere tutta la storia del Manifesto (quindi compresa la loro storia e i loro errori) e capire perché si era giunti alla decadenza attuale?
  • 4. Infine: perché nessuno si chiede il che fare, non solo in rapporto al giornale attuale e all’asta prossima ventura, ma alla “memoria Manifesto”? Il Manifesto, e l’uso politico della sua memoria, è un problema “individuale”? (Può darsi ormai che sì, ma perché nessuno vuole parlarne?). Insomma non c’è più nulla di “collettivo”, anche di minimamente collettivo, in questa storia?

Ecco, scusatemi la presunzione e il disordine degli interrogativi, ma mi premeva (cercare di) rimettere la macchina in carreggiata, avendo, secondo me, in tanti, in questi ultimi tempi, smarrito la strada da cui eravamo partiti.
Michele Fumagallo e un collaboratore del giornale e, se permettete, “manifestista” della prima ora

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