La "guerriglia online" che sconfisse l'accordo multilaterale. Una lezione per l'oggi

12 Febbraio 2014 /

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We control internet Anti-Counterfeiting Trade Agreement - Immagine di Rétrofuturs
We control internet Anti-Counterfeiting Trade Agreement - Immagine di Rétrofuturs
di Luciana Castellina
Fu defi­nita la «prima guer­ri­glia on line della sto­ria». Era­vamo alla fine degli anni ’90 e la rete non era stata ancora mai spe­ri­men­tata in poli­tica. Fu anche gra­zie a que­sta mobi­li­ta­zione, che subito acqui­stò dimen­sioni glo­bali, che riu­scimmo a vin­cere – non capita spesso – anche la bat­ta­glia par­la­men­tare (per lo meno a livello euro­peo); e poi, quella defi­ni­tiva: la rinun­cia dell’Ocse, che aveva pro­po­sto l’Ami (l’Accordo multilaterale sugli inve­sti­menti), ad insi­stere sul suo pro­getto che ini­zial­mente era con­vinta sarebbe pas­sato senza rea­zioni.
Era il 3 dicem­bre del 1998. Il colpo deci­sivo era stato appor­tato dal primo mini­stro fran­cese Jospin, che, sotto la pres­sione della sua opi­nione pub­blica (sem­pre più vigile delle altre euro­pee in que­sti casi) annun­ciò il ritiro della Fran­cia dal nego­ziato. La vit­to­ria fu festeg­giata con grande cla­more nel 1999 nel famoso raduno inter­na­zio­nale di Seat­tle – pre­cur­sore dei Forum sociali mon­diali – dove fu peral­tro affos­sato un altro peri­co­loso stru­mento di libe­ra­liz­za­zione sel­vag­gia, il Mil­len­nium Round, pro­po­sto dall’Omc (Orga­niz­za­zione Mon­diale del Commercio).

Fu in occa­sione della bat­ta­glia sull’Ami che per la prima volta l’opinione pub­blica si occupò di un nego­ziato inter­na­zio­nale su cui, da sem­pre, le infor­ma­zioni e le deci­sioni erano state di esclu­siva per­ti­nenza degli orga­ni­smi pre­po­sti. Ricordo ancora la mera­vi­glia dei diplo­ma­tici ita­liani accre­di­tati a Parigi presso l’Ocse quando – ero pre­si­dente della Com­mis­sione per le Rela­zioni eco­no­mi­che esterne del Par­la­mento euro­peo – andai a chie­dere conto di quanto si stava facendo.
«Emer­gono le Ong che con­qui­stano un diritto d’ingerenza»; «Non è un buon auspi­cio per la libe­ra­liz­za­zione del com­mer­cio e del movi­mento dei capi­tali», dichia­ra­rono allar­mate le buro­cra­zie inter­na­zio­nali. Peg­gio i 450 diri­genti di mul­ti­na­zio­nali riu­niti nell’assemblea della Camera di com­mer­cio inter­na­zio­nale: «L’emergere di gruppi di atti­vi­sti rischia di inde­bo­lire l’ordine pub­blico, le isti­tu­zioni legali, il pro­cesso demo­cra­tico». Scon­so­lato, l’allora mini­stro dell’economia fran­cese Strauss Kahn con­cluse: «Dopo l’Ami non si nego­zierà più come prima».
La lezione appresa non fu che biso­gnava d’ora in avanti coin­vol­gere opi­nione pub­blica e par­la­menti ma, al con­tra­rio, che si sarebbe dovuto nego­ziare con ancor più segre­tezza, per impe­dire inde­bite intru­sioni. Infatti, se negli anni ’90 fu pos­si­bile a Mar­thin Kohr, diret­tore del Third World Net­work di Kuala Lam­pur, di inter­cet­tare in rete la bozza con la pro­po­sta dell’Accordo dell’Organizzazione mon­diale per il com­mer­cio e di aller­tare le Ong; e a Lori Wallach, del Public Citi­zens Glo­bal Watch, di aiu­tare a dif­fon­dere il docu­mento (sopran­no­mi­nato «Dra­cula»), oggi sarà più dif­fi­cile fare altret­tanto con il nego­ziato in corso per un Ttip (Tran­sa­tlan­tic Trade and Invest­ments Part­ner­ship) per­ché le rela­tive carte sono state «secretate».
Il Trat­tato in discus­sione, for­mal­mente lan­ciato il 13 luglio scorso, è la copia quasi del tutto con­forme del defunto Ami: non più ela­bo­rato in seno all’Ocse, per­ché non riguarda più i 29 mem­bri che allora face­vano parte di quell’organismo (oggi ce ne sono di più, e fra que­sti la Cina), ma esclu­si­va­mente gli Stati Uniti e l’Unione europea.
Allora fu pos­si­bile inven­tare qual­che effi­cace gioco di parole, per lo meno in lin­gua fran­cese – «le faux Ami» («il falso amico») o «l’Ami est l’ennemi» – oggi la dizione è più ostica; e soprat­tutto la capa­cità inven­tiva minore per­ché meno forte è l’impegno di chi sta com­bat­tendo con­tro il pro­getto: allora a esser coin­volti nella mobi­li­ta­zione furono 600 gruppi della società civile appar­te­nenti a 75 paesi, oggi ce ne sono solo circa un cen­ti­naio e in Ita­lia sem­bra che quasi nes­suno si sia accorto del nuovo Dracula.
Eppure la que­stione in ballo non era – e dun­que non è oggi – di poco conto: in virtù di quell’accordo (e di quello che ora si sta nego­ziando), ogni inve­sti­tore stra­niero, ove i pro­fitti pre­vi­sti per la sua ini­zia­tiva, doves­sero risul­tare ridotti, in virtù di una dispo­si­zione delle isti­tu­zioni del paese in cui l’investimento è stato fatto, deve esser risar­cito. Basta dun­que, tanto per fare un esem­pio, che un bosco non possa più esser abbat­tuto, che una regola sull’energia proi­bi­sca una cen­trale a car­bone, che una norma imponga un più severo con­trollo sugli ali­menti, che una legge o un accordo sin­da­cale con­ceda mag­giori diritti o più alta remu­ne­ra­zione ai lavo­ra­tori, per­ché l’investitore stra­niero possa recla­mare un risar­ci­mento.
E ove dovesse nascere un con­ten­zioso a deci­dere – ipo­tesi dav­vero senza pre­ce­denti – non sarebbe un nor­male tri­bu­nale inter­na­zio­nale, ma un arbi­trato affi­dato a avvo­cati pri­vati. Come si vede si tratta di una vera pri­va­tiz­za­zione del potere legi­sla­tivo, che inve­ste anche l’esistenza dei ser­vizi pub­blici, i quali – in nome della com­pe­ti­ti­vità più asso­luta, che non ammette alcuna forma di inter­vento sta­tale – non sareb­bero più auto­riz­zati a fruire di soste­gni sta­tali. Non a caso la fede­ra­zione sin­da­cale euro­pea ha denun­ciato come uno dei più temi­bili effetti del Trat­tato lo sman­tel­la­mento dei sistemi sani­tari europei.
L’argomento usato dai fau­tori ieri dell’Ami, oggi del Ttip, in difesa della loro ini­zia­tiva, è stato ed è che l’abbattimento di ogni osta­colo tarif­fa­rio alla cir­co­la­zione di beni e ser­vizi fra Usa e Ue, creando un’unica grande area di scam­bio, avrebbe effetti incen­ti­vanti per lo svi­luppo e l’occupazione. Però le bar­riere doga­nali fra i due grandi mer­cati occi­den­tali sono già minime. Quanto si vuole in realtà col­pire sono le bar­riere non tarif­fa­rie: le norme costi­tu­zio­nali, le legi­sla­zioni eco­lo­gi­che, sociali, ecc. In una parola: garan­tire libertà e sicu­rezza asso­lute al capi­tale trans­na­zio­nale impe­dendo ai governi di assu­mere una qual­siasi misura che possa avere effetto nega­tivo sui suoi inte­ressi. E cioè quelle che nella signi­fi­ca­tiva dizione dei nego­zia­tori ven­gono chia­mate «poli­ti­che nazio­nali superflue».
«Dal diritto dei popoli a disporre di sé stessi al diritto delle mul­ti­na­zio­nali di disporre dei popoli», ha defi­nito l’operazione il docu­mento accu­sa­to­rio delle società dei regi­sti, pro­dut­tori e sin­da­cati euro­pei. I cinea­sti sono stati in effetti quelli che più si sono mobi­li­tati, visto che con l’annullamento di ogni finan­zia­mento pub­blico al cinema euro­peo que­sto rischie­rebbe di scom­pa­rire. E hanno otte­nuto un primo suc­cesso: il Par­la­mento euro­peo ha votato in favore dell’esclusione dell’audiovisivo dal Trattato.
È la dimo­stra­zione che se si lotta si può anche vin­cere. Ma biso­gna lot­tare, e per­ciò sapere. Invece non si sa quasi niente, in Ita­lia in par­ti­co­lare, dove del nuovo Trat­tato tran­sa­tlan­tico su cui si sta trat­tando non sa, o almeno non dice niente, né il governo, né il par­la­mento; e nep­pure l’opposizione. Sarebbe bene che tutti ci sve­glias­simo prima che sia troppo tardi: ci va di mezzo lo stesso modello politico-sociale euro­peo. A che pro con­ti­nuare a par­lare di Europa se diven­tiamo un pez­zetto d’America?
Questo articolo è stato pubblicato sul sito della Fondazione Luigi Pintor il 23 gennaio 2014 e su “Sbilanciamo l’Europa”, supplemento al Manifesto del 24 gennaio 2014

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