Arrivederci, Berlinguer: quando i fumetti raccontano la grande politica

19 Dicembre 2013 /

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di Rudi Ghedini
La sua prima manifestazione senza i genitori è enorme, un milione di persone, non se ne vede la fine. È un funerale. Elettra ha questo imprinting e nessuna intenzione di rinnegarlo. La sua idea di società affonda in quelle radici, le sue speranze tornano lì, ed è evidente l’empatia che può scaturire con lettori che hanno condiviso quei momenti. Ma rispetto alla narrazione testuale, questa graphic novel ha almeno altrettanta forza sul piano grafico: Gianluca Costantini – di cui ricordo il «Diario di un qualunquista» – mostra una notevole abilità nell’attingere a varie tecniche, materiali, correnti artistiche.
Sono davvero emozionanti le sei tavole dedicate agli ultimi minuti sul palco di Padova, la sera del 7 giugno 1984, fotogrammi struggenti, con quella smorfia di dolore che somiglia a un sorriso, l’effetto dell’ictus sul volto di Enrico Berlinguer. Non meno potente, il brusco cambiamento di stile per mostrare Sandro Pertini al capezzale del moribondo.
Per motivi anagrafici e non solo, Elettra Stamboulis mostra di essere affezionata all’ultimo Berlinguer, quello della questione morale, dei partiti che devono smetterla di occupare le istituzioni, del grido di dolore dopo il terremoto dell’Irpinia e il tragico, ennesimo fallimento dello Stato. Ma la trama non rimuove i dubbi lancinanti sulla diversità, vera o presunta, che Nanni Moretti riuscì a esprimere con la calottina di pallanuoto in «Palombella rossa», cinque anni dopo la morte di Berlinguer, due anni prima dell’eutanasia del Pci.

Con un andamento affidato alle libere associazioni più che a una logica cronologica, si passa da Craxi a Goldrake, da Bob Marley ai primi giochi elettronici, dall’emergere di quella che (per l’ultima volta) si impose come “questione giovanile” alla giovinezza di Enrico a Sassari: “Era stato giovane anche lui, anche se noi ce lo ricordiamo con quella mappa di rughe”. I passaggi arrivano fluidi, ma ce n’è uno che definirei ideologico, velato da una speranza accecante: il parallelo fra gli anni che incubavano il Sessantotto e l’attualità dei tempi che stiamo vivendo. Trovo qualcosa di nobilmente anacronistico in un uso del fumetto così schiettamente pedagogico. Quasi un azzardo, perché i tempi del fumetto – la sua lettura, la sua fruizione scandita dalla forza delle immagini – non possono che dare per scontata una puntuale conoscenza dei fatti storici, di cui è lecito dubitare.
Con il solito scarto nella tecnica grafica, un capitolo è dedicato al rapporto fra Berlinguer e Aldo Moro. Un altro allo sciopero alla Fiat del 1980, con il segretario del Pci che parla davanti ai cancelli di Mirafiori. Con una scelta poetica assai apprezzabile, le ultime tavole rimandano al Campovolo di Reggio Emilia, settembre 1983: le inquadrature di Luigi Ghirri rimaneggiate per non dimenticare la più oceanica manifestazione di partito, quella in cui Benigni solleverà in braccio un Berlinguer mai così divertito.
Elettra Stamboulis e Gianluca Costantini
Arrivederci, Berlinguer
Becco Giallo, 2013

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