di Dario Zanuso e Aldo Zoppo
Al Torino Film Festival sono stati proiettati due documentari straordinari e dal forte impatto emotivo, dedicati ad una figura minore ma emblematica degli anni più bui della storia del Novecento: Benjamin Murmelstein. Rabbino del popoloso quartiere ebraico di Vienna nel 1938, all’epoca dell’anschluss, egli esemplifica al meglio la condizione tragica di chi, avendo un ruolo di spicco all’interno della propria comunità, si trovò a “collaborare”, per scelta o per costrizione, con le autorità naziste al perseguimento dei loro obiettivi e che, per questo, sarà chiamato, a liberazione avvenuta, a pagare con un prezzo amaro il fatto di essere sopravvissuto.
Claude Lanznann è un esponente di rilievo della sinistra intellettuale francese, storico direttore di Les temps modernes, noto soprattutto per Shoah, l’imponente documentario del 1985 sullo sterminio degli ebrei ad opera dei nazisti, di oltre nove ore di durata e frutto di un lavoro di ricerca durato dodici anni. Fu durante queste ricerche che Lanznann, nel 1975, incontrò ed intervistò a lungo Murmelstein a Roma, la città dove, dopo la guerra, aveva trovato rifugio. La sua storia non trovò tuttavia spazio in Shoah, la sua figura era forse ancora troppo ingombrante o i tempi non erano ancora maturi.
Nel 2012 Lanznann riprende quei materiali e rievoca la complessa storia di Murmelstein, “l’ultimo degli ingiusti”, riportandoci suoi luoghi in cui essa si svolse nei drammatici anni che vanno dal 1938 al 1945, durante i quali la strategia nazista nei confronti della “questione ebraica” si dispiegò, passando dall’iniziale discriminazione, fino alla emarginazione, per arrivare alla deportazione e alla soluzione finale, lo sterminio di massa. A Vienna viene chiamato da Eichmann a dirigere l’ufficio che doveva guidare l’immigrazione ebraica.
In seguito venne deportato a Terezin, la città-fortezza nei pressi di Praga divenuta famosa, secondo la propaganda nazista, come la città donata da Hitler agli ebrei, il ghetto modello nel quale ospitare gli ebrei illustri e ricchi, in cambio dei loro beni. Una copertura da esibire all’opinione pubblica esterna (come mostrano i filmati propagandistici), diretta ad occultare quanto si stava realmente facendo. Quasi tutti i circa 144.000 “ospiti” della città morirono, una parte a causa delle inumane condizioni in cui versavano, un’altra più cospicua in quanto deportati verso il campo di concentramento di Auschwitz ed altri campi di sterminio.
A Terezin Murmelstein fu l’ultimo dei tre decani del consiglio degli anziani, colui quindi che ha avuto la responsabilità, nel periodo più critico, di governare la città secondo le direttive dei nazisti, l’unico ad essere sopravvissuto. Il compito più duro era quello di redigere le liste delle persone da deportare (nel documentario egli rivendica con forza di essersi però sottratto a questo compito, che si prestava alle peggiori forme di corruzione). È per questo ruolo che verrà accusato di essere un traditore, un collaboratore di Eichmann e dei nazisti. Dopo la guerra, a Praga, venne sottoposto ad una inchiesta penale, che si concluse con la sua assoluzione. Rifugiatosi a Roma venne emarginato dalla comunità ebraica.
Nel documentario ascoltiamo la sua testimonianza, resa con puntiglio e senza reticenze (essa è stata resa anche in forma scritta nel libro “Terezin, il ghetto modello di Eichmann”, ripubblicato da poco dall’editore La Scuola). Senza mai rivendicare di essere un santo o un eroe, non nascondendo le ombre o la forma di seduzione che l’esercizio del potere può aver esercitato in lui, emerge il ritratto di un uomo che in circostanze storiche straordinarie è stato costretto ad accettare la logica perversa imposta dai persecutori, che chiamavano le stesse vittime ad amministrare la macchina di morte dei campi di deportazione. Rivendica con forza di averlo fatto nell’interesse delle altre vittime, per mantenere viva la speranza di uscire da quell’inferno. Il documentario non risponde a tutte le domande, restano interrogativi inevasi (ad esempio: è vero, come Murmelstein rivendica con decisione, che nessuno nel ghetto, all’epoca, conosceva la destinazione finale dei deportati?).
Il secondo documentario, diretto da Giovannesi (e che a Torino ha vinto il Premio speciale delle giuria), ci mostra quanto abbia pesato su Murmelstein (morto nel 1989) e sulla sua famiglia l’ostracismo e l’emarginazione subita da parte della sua stessa comunità. Qui il protagonista è il figlio, Wolf, che visse da bambino l’orrore di Terezin, ormai anziano, ancora fortemente segnato dal peso di questa tragica storia. Egli cerca da un lato di riabilitare la figura del padre, senza tuttavia essere in grado di liberarsi da un risentimento che finisce invece per alimentare ulteriormente l’isolamento. Il film si chiude sull’immagine della tomba dell’ultimo degli ingiusti, relegata ai margini del cimitero ebraico, spoglia e logorata dall’incuria, sfregiata dai graffi.
Le dernier des injustes, di Claude Lanzmann, Austria/Francia 2013, 220′
Wolf, di Claudio Giovannesi, Italia/Rep. Ceca, 2013, 58′