di Maurizio Matteuzzi, università di Bologna
Che senso ha parlare continuamente, quasi ossessivamente, di ripresa, di rilancio dell’economia e degli investimenti e continuare la distruzione sistematica del mondo della ricerca? Forse che i nostri politici pensano che saranno i nostri concorrenti a fare ricerca per noi, e poi ci regaleranno i risultati? Non è più probabile che ce li venderanno, facendoceli pagare a caro prezzo?
Questa via suicida, talmente miope da potere essere tranquillamente definita assurda, ha caratterizzato la gestione berlusconiana e tremontico-gelminica. E, qui, un senso si può anche trovare: la distruzione del pubblico a favore del privato è stato un Leitmotiv del ventennio. Nella migliore delle ipotesi, quanto si è potuto ottenere è stato il concentrarsi sulle vicende private del leader, con conseguente disinteresse della cosa pubblica. E quando è accaduto, è stato già un buon risultato. Purtroppo per l’accademia italiana l’occhio grifagno è caduto sull’istruzione e sull’università, che ha avuto in dono, assieme ai più drastici dei tagli, una riforma “epocale”, un mare infinito di burocrazia, inutile quando non dannosa, lo spreco di milioni di ore dei docenti in attività di scrittura-riscrittura di statuti, regolamenti, et similia. L’esito è stato la disaffezione di molti, l’aumento dei prepensionamenti volontari, la decadenza della qualità degli studi e della ricerca.
Finito il governo Berlusconi, dal governo dei tecnici alcuni si illusero che si desse una inversione di tendenza, come si usa dire, o almeno qualche timido segnale in proposito. Anche solo per le ovvie ragioni economiche richiamate all’inizio di questo scritto. A capo del MIUR sedeva un ex-rettore, uno del mestiere quindi, il ministro Profumo, che, al di là dei proclami, non ha fatto altro che applicare pedissequamente la “riforma epocale”; che, come dichiarò fin da subito, andava “oliata”. E infine la sua supposta simpatia per la sinistra si dissolse per un improvviso innamoramento montiano. Meglio, in fondo, quando le cose diventano chiare.
Ora abbiamo un ministro dichiaramente, e non solo per supposizione, del PD. La mitica inversione di tendenza è dunque alle porte? Macché, nuovi tagli, mentre i numeri, impietosi, ci relegano ormai per la ricerca nella scomoda posizione di fanalino di coda, d’Europa, dell’OCSE e non solo. E invece siamo daccapo: nuovi tagli e belle parole; perché le parole possono essere belle anche quando sono false, come quando ci si scaglia contro i “baroni settantenni”, che bloccherebbero le assunzioni e dunque le carriere dei giovani. Discorsi scriteriati e offensivi della categoria: con il blocco del turn-over al 20%, e la scarsità delle risorse, si tira in ballo una questione che riguarderà meno di cento casi per tutta Italia. Discorsi da bar Sport. Peccato, qualcuno ancora una volta si era illuso.