Di ritorno dalla manifestazione di Roma, una modesta replica a Panebianco

17 Ottobre 2013 /

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di Rudi Ghedini
Per segnare, confermare, ribadire, la scarsa simpatia verso la manifestazione di sabato 12 a Roma, il Corriere della Sera ha scomodato Angelo Panebianco: uno dei 35 componenti della “commissione dei saggi” chiamata a facilitare le riforme costituzionali. In viaggio verso Roma, ho letto il suo editoriale, retoricamente rivolto ai promotori della manifestazione e, al solito, limpidamente chiaro negli obiettivi. Ho strappato la pagina del Corriere e mi sono detto che avrei provato a rispondere.
Panebianco postula la buona fede dei Rodotà e degli Zagrebelsky – a differenza di tanti altri che sarebbero saliti sul carro della Costituzione al solo scopo di criticare il governo – e arriva a porre una domanda affilata: se la Costituzione va solo applicata e non cambiata, ma la classe politica è corrotta, non sarà che la stessa Carta ha contribuito a questo pessimo risultato? Oppure, la Carta è ormai priva di attualità, ha perso sostanza e intrattiene un labile rapporto con la realtà? Comunque si risponda, scrive Panebianco, la Costituzione andrebbe cambiata.
Il mio ex professore di Scienza della politica – notevolissimo, in quella veste – se la piglia con i “conservatori costituzionali” sparsi per l’Italia, “coloro che ritengono che non esista alcun rapporto fra l’ingovernabilità del Paese e quella seconda parte della Costituzione, che, da più di trenta anni, si cerca periodicamente, e fin qui senza successo, di riformare”. Meglio non sfuggire a questo classico trabocchetto retorico.

Mi schiero, innanzitutto, sul dilemma che propone: sono fra quelli che pensano che la Costituzione del 1948 sia tutt’altro che estranea all’attuale disastro della politica. Perché non ha saputo impedirlo. E perché è decaduta a merce di scambio, si cerca di cambiarla (anzi, scassinarla), legandola alla tenuta del governo e della legislatura, e si fa leva sulle “larghe intese” per evitare persino il referendum popolare (operazione già compiuta con il fiscal compact: una sciagura, passata quasi sotto silenzio).
Chi difende la Costituzione deve partire dal presupposto che sia una Carta tanto fondamentale quanto attuale, la cui piena applicazione sarebbe rivoluzionaria, avvicinando progressivamente all’orizzonte della sovranità popolare. Un orizzonte che per decenni è stato reso impraticabile dalla Guerra Fredda. Poi, dopo il 1989, la sovranità popolare è stata svuotata da organismi opachi e antidemocratici, quelli che nei giorni di Genova vennero identificati nel “pensiero unico” e nella “zona rossa”, i vari WTO, FMI, BCE… soggetti che non tollerano il controllo popolare, e che spingono gli Stati a reinterpretare le proprie Leggi fondamentali, stravolgendone il senso.
Si spiegano così i tradimenti della Costituzione: le teorie sulle guerre umanitarie, il finanziamento concesso a scuole che non dovrebbero avere alcun onere da parte dello Stato, l’imposizione di tasse sul lavoro quattro volte superiori a quelle sulle rendite finanziarie, l’obbligare intere generazioni a una precarietà senza rimedio, fino all’inseguire “stabilità” e “governabilità” attraverso leggi elettorali tolgono ogni possibilità di scelta agli elettori.
Nemmeno l’abisso dell’astensionismo di massa ha spinto larga parte della sinistra a un ripensamento. Gran parte delle classi dirigenti che dovrebbero rappresentarci hanno abbandonato l’idea che la cittadinanza attiva sia un valore, che i beni comuni vadano tolti dal mercato, che lo Stato possa intervenire nell’economia. Perciò hanno scelto Letta e Alfano. Perciò questa Costituzione suscita tanto fastidio, e Angelo Panebianco si compiace di fare il portavoce di Letta, accusandoci di essere conservatori.

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