di Loris Campetti
L’ultima battaglia contro uno Stato che rispettava molto più di quanto da esso fosse ricambiato la condusse per ottenere il riconoscimento del nesso tra il suo lavoro e la silicosi che gli aveva piegato il fisico. Ci vollero anni, ma alla fine riuscì ad andare in pensione, sia pure con una cifra decisamente inferiore al cumulo di marchette versate.
Roberto Tourn Boncoeur aveva iniziato a lavorare fin da piccolissimo, dal suo paese di poche centinaia di anime era sceso a Torino, garzone a Porta Palazzo, poi era stato costretto a emigrare in Svizzera lungo lo stesso cammino seguito da tanti uomini e donne delle valli valdesi, persone povere e dignitose appartenenti a una minoranza religiosa che non ha mai avuto vita facile. In Svizzera ha lavorato duro, poi è tornato a Rorà con Margrit con cui ha avuto due figli, Marco e Luca. È entrato alla Microtecnica in Val Pellice dove è stato eletto delegato Fiom e, infine, ha picconato e fatto brillare la pietra di Luserna in una piccola cava.
Non è riuscito a godere a lungo della meritata pensione e nella notte di giovedì se n’è andato. Roberto era un uomo mite e determinato, di sinistra “naturalmente”, mai soddisfatto di quel che la sinistra gli offriva come prospettiva: si è di sinistra se si vuole cambiare questo mondo, ed è un problema se le forze che si dicono di sinistra hanno perso la memoria, e con essa la volontà di cambiamento.
L’ho incontrato nella prima metà degli anni Settanta, quando mi trovai a risalire le valli del Piemonte tra persone diversissime da me, affascinanti ma difficili da capire, e difficile era per me farmi comprendere. Roberto fu il mio interprete e Caronte in quel mondo sconosciuto, mi ha insegnato a tagliare piccoli alberi nel bosco, a spaccare la legna e a fare i muretti a secco. O meglio, ci ha provato. Era abbonato al manifesto, credo lo sia stato fin dall’inizio. Povero e colto, era un montanaro che leggeva, e leggeva di tutto, anche l’Astrolabio di Ferruccio Parri.
Aveva una grande passione politica, ma non faceva sconti alla sua parte. Ogni volta che lo incontravo mi presentava la lista delle debolezze e degli errori del “manifesto, che è rimasto il suo giornale fino alla fine anche se negli ultimi tempi aveva smesso di leggerlo, non certo di riceverlo, perché non ci si ritrovava più molto. Ciao, amico spaccapietre.