Dai campi di Libera: beni confiscati alle mafie e le nuove generazioni dell'antimafia

13 Settembre 2013 /

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Libera
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di Silvia R. Lolli
Cosa mi rimane dell’esperienza di “campista” sui beni confiscati alle mafie? È la domanda che ho rivolto ai miei compagni di lavoro al termine di dieci giorni a Cerignola, lavorando per un campo di Libera, organizzato in collaborazione con l’ARCI e lo SPI-CGIL dell’Emilia-Romagna, di Foggia e di Cerignola.
Dovevamo presentare in piazza, nella serata conclusiva di festa organizzata dalla sede locale SPI CGIL, le nostre impressioni. Dopo aver spiegato i quattro momenti da noi ritenuti più importanti, abbiamo letto le nostre impressioni, emerse in un brain storming collettivo fra noi 14 campisti: parole significative con brevi spiegazioni e tanta emozione che con la lettura fatta da cinque ragazzi, abbiamo riversato nelle persone presenti in piazza.

Fa piacere e fa pensare positivamente al nostro incerto futuro, sentire dai ragazzi, per lo più studenti delle superiori o ai primi anni di università (e quindi molto più giovani di me!) che si portano dietro: energia, fiducia, voglia di fare e di ritornare, sentirsi a casa propria, capire di avere la necessità di dare, stimoli per essere più consapevoli, speranza, impegno, responsabilità, coraggio, non arrendersi per sostenere l’idea di libertà, l’importanza di far parte di un gruppo, la cooperazione, le radici cioè l’attaccamento al proprio territorio.
Aver visto questi ragazzi un po’ disorientati all’inizio dell’esperienza anche per il lungo viaggio, poi sempre più impegnati nel lavoro faticoso nei campi e nell’ascolto delle tante persone intervenute nei pomeriggi durante la programmata formazione, oppure al mattino molto assonnati per le necessarie levatacce per essere sui campi dopo l’alba, ci ha fatto pensare alla speranza per un futuro politico migliore per il nostro paese.
Il gruppo che ha deciso di spiegare in piazza l’esperienza al ghetto di Rignano e alla visita dell’Art Village, dove il medico D’Angelo assieme all’associazione La senegalese Libera e la CGIL di FG sta combattendo il caporalato proponendo un progetto che faccia diventare protagonisti gli stessi immigrati, ha concluso che è questa la vera politica di cui ha bisogno il nostro paese.
La speranza mi è venuta dai tantissimi stimoli di conoscenza anche relazionali; deriva poi dall’integrazione positiva che il gruppo di giovani ha sperimentato con l’eccezionale gruppo Niscemi, di Libera di Savignano s/Panaro, ingaggiato da ARCI E-R e dallo SPI CGIL E-R per darci un competente sostegno culinario.
L’integrazione generazionale è importante proprio in un momento in cui le scelte politiche fanno di tutto per eliminare la solidarietà, per accendere invece un conflitto fra le generazioni. Qui, questa integrazione ha rivelato tutto il suo valore. La buona cucina è indispensabile per sostenere chi lavora sui campi; il desco è importante per stringere relazioni sociali importanti, ma non è stato solo questo; le relazioni si sono consolidate durante gli altri momenti della vita comunitaria: sui campi, nel dormitorio, durante la formazione pomeridiana, nei momenti di svago.
Dieci giorni di full immersion in un’altra realtà in cui, come hanno manifestato i ragazzi, c’è stata condivisione, cooperazione nel capire “il senso di un obiettivo comune sempre più vicino e raggiungibile”. E nell’incertezza attuale che si prospetta per le nuove generazioni, è veramente importante.
L’obiettivo comune poteva essere la costruzione di un nuovo impianto d’irrigazione su 3 ha. di uliveto (semi distrutto dopo l’assegnazione), dove la cooperativa sociale “Pietra di Scarto” coltiva l’oliva “Bella di Cerignola”. Oppure poteva essere la pulizia dell’altro bene confiscato alla mafia locale, villa con annesso podere con vigneto e uliveto da olio, che appena fu assegnato alla coop. sociale Altereco, fu distrutta e l’esterno divenne discarica a cielo aperto.
Per questo bene fra l’altro si sta aspettando, da tre anni, che il Comune di Cerignola o la Regione Puglia, l’impegno pubblico di eliminare un tetto di un annesso ancora in amianto. Ma l’obiettivo principale credo sia stato quello di aver vissuto dieci giorni assieme, per una formazione piena, completa che rimarrà come momento fondamentale per tutti, sia per noi partecipanti, sia per tutti gli ospitanti.
Una mascotte novantaduenne potrebbe essere l’icona di questa esperienza: Michele Sacco, ex bracciante cerignolano, oggi contastorie e poeta, che ha preso la licenza media a sessant’anni. Invitato dall’associazione Casa Di Vittorio della vita del bracciante di ieri ed oggi, è stato invece dal gruppo invitato più volte e ci ha accompagnato fino alla serata finale.
È stato molto bello, lo dico da insegnante, vedere i visi dei ragazzi attenti ed interessati ai racconti e alle riflessioni politiche di Michele; tante domande sono scaturite da questi incontri e, come hanno sottolineato i figli di Francesco Marcone, prima vittima del dovere (era un dirigente dell’Ufficio registro di Foggia e dopo la sua denuncia di atti falsi registrati dall’ufficio, fu ucciso) e la nuora di Pannunzio, imprenditore edile di Foggia ucciso perché ha sempre detto no alla mafia, la memoria è un potente strumento per capire il presente, la realtà odierna.

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