di Natalia Marino
Alberta ha 45 anni, italiana, è stata inviata allo sportello antiviolenza di Be Free dai carabinieri della sua zona, ai quali si era rivolta per denunciare i maltrattamenti subiti dall’ex compagno. La relazione era iniziata nove anni prima, quando Alberta aveva già una figlia. Le violenze psicologiche erano cominciate quasi subito, appena mamma e figlia erano andate a vivere a casa di Roberto. Denigrazioni e umiliazioni: “Tu non capisci niente, sei una cretina, una stupida, non vali un cazzo”.
Roberto si era anche rivelato molto possessivo e bastavano cinque minuti di ritardo quando rientrava dal lavoro per accusarla, urlando, di essere stata con altri uomini: “Con chi sei andata? Ti ho vista, sai, parlare con quei ragazzi. Sei una che va con tutti. Non sai fare la madre e tua figlia diventerà una poco di buono come te”. Con il passar del tempo, il linguaggio e le vessazioni divengono sempre più violente, le ingiurie e le aggressioni verbali, sempre più volgari.
Il clima di quotidiana tensione e paura spinge Alberta a interrompere la relazione e a trasferirsi con la figlia in casa di sua madre. Nonostante ciò, l’uomo non si rassegna e continua a molestarla tutti i giorni con innumerevoli telefonate al cellulare. Se lo trova spento, tempesta il numero della figlia, inveendo e minacciandole entrambe: “Vi investo con la macchina, non avrete pace, ve la farò pagare per quello che state facendo”.
Un giorno Roberto si è appostato nell’androne del palazzo e ha atteso la figlia di Alberta che usciva per andare al lavoro. L’ha strattonata violentemente e l’ha sbattuta con la schiena contro un muro: “Tu non devi rompere il cazzo o vedrai che ti succede, grandissima figlia di una mignotta”. Subito dopo entra nell’appartamento come una furia, comincia a scagliare piatti e altri oggetti verso Alberta, poi si accanisce contro la madre di lei, rompendole il cellulare col quale tentava di chiedere aiuto.
Quando arrivano i carabinieri, chiamati dalla figlia di Alberta, Roberto è già scappato. Le due donne vengono visitate e medicate al pronto soccorso e denunciano l’aggressione. La persecuzione, anziché cessare, diviene ancora più pesante. Un’altra volta, Roberto, approfittando di un cancello rotto, entra nuovamente nel comprensorio. Alberta è scesa per implorarlo di lasciarla in pace ma capisce di essere stata costantemente seguita da lui: conosce tutti i suoi spostamenti e orari. Le rivela con precisione, quale vestito indossasse in un determinato giorno e dove si era recata. Sempre in quella occasione, Roberto, al culmine del diverbio, la minaccia di morte e le sferra dei violenti ceffoni colpendola all’altezza dell’orecchio e provocandole la perforazione del timpano (diagnosticata al pronto soccorso).
Alberta è riuscita a divincolarsi e a chiamare la polizia, ma anche in questo frangente l’uomo è riuscito a dileguarsi in tempo. Dopo questo secondo episodio gravissimo, si sono susseguite altre cinque denunce a distanza di pochi giorni una dall’altra. Nonostante ciò, Roberto ha continuato a molestare sia Alberta sia sua madre e sua figlia con telefonate a ogni ora del giorno e della notte, lettere minatorie infilate nella buca delle lettere, scritte con lo spray in strada, davanti casa, con nomi, cognomi e insulti pesantissimi. In seguito alle notifiche delle denunce, ecco cosa diceva Roberto ad Alberta: “Mi hai denunciato, mi hanno chiamato i carabinieri. Ti farò scontare tutto, non avrai una vita facile. Qualsiasi uomo ti avvicinerà, ti rovino il matrimonio”.
Era come essere all’inferno. Oggi, nel Centro al quale si è rivolta, Alberta può contare su un sostegno psicologico per ricostruire l’autostima minata nelle fondamenta dalle continue minacce di Roberto e su un’assistenza legale da parte delle avvocate dell’équipe.
Questo articolo è stato pubblicato sul mensile dell’Anpi Patria Indipendente, numero 6 del 2013