Dossier violenza sulle donne: Gina, scene da un matrimonio senza uscita / 1

16 Luglio 2013 /

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Violenza sulle donne - Immagine dell'Anpi
Violenza sulle donne - Immagine dell'Anpi
di Natalia Marino
Le ho incontrate un pomeriggio di maggio Gina, Alberta, Rita e Mariella. Ero rimasta sorpresa, al momento delle presentazioni, nel constatare quanto fossero donne normalissime, come tante altre. La mia vicina di casa, la signora che saluto il sabato al mercato, la mamma che trafelata accompagna i figli a scuola. Sorpresa. Nonostante fossi informata e fossi stataben preparata: «Hanno età, storia, origini, formazione e condizione economica, aspettative diverse ma sono donne comuni, la violenza di genere non ha confini sociali», mi aveva avvisato Oria Gargano, presidente di Be Free, la cooperativa che gestisce uno dei Centri antiviolenza, a Roma.
I nomi delle persone di cui vi proponiamo la storia (in questo post e nelle prossime puntate) sono di fantasia naturalmente, per rispettare una richiesta di privacy comprensibile e legittima (ci sono procedimenti giudiziari in corso). «È già un passo avanti nel percorso di vita di queste donne accettare di comunicare – spiega Gargano -. Superare l’imbarazzo, la vergogna e il timore di ledere maggiormente la loro immagine pubblica, capire che le relazioni amorose non possono avere a che fare con le botte. Violenze e persecuzioni sono dettate soprattutto dalla gelosia del partner e dal suo timore di essere abbandonato. La preoccupante novità è che si abbassa sempre più sia l’età delle donne uccise sia l’età dell’assassino. L’altissimo numero di femminicidi è solo un iceberg». Ovvio, ho pensato.

Tra le 700 e le 800 donne entrano ogni anno nella stanza in cui ci troviamo. La casalinga e la manager, la mamma di tre figli e la fidanzata perseguitata dall’ex, la ragazza tirata su a bon ton e l’immigrata. Al Centro sono approdate dopo un SOS a un telefono attivo H24, spesso lanciato con l’aiuto di carabinieri, polizia, medici di pronto soccorso. Be Free ha vari sportelli, altre associazioni gestiscono altri tipi di strutture a favore delle donne maltrattate e picchiate, ma per comprendere la sproporzione tra quanto le istituzioni offrono e quanto sarebbe previsto dalle Convenzioni europee – un posto d’accoglienza ogni 10mila donne – dovete calcolare che nella Capitale i posti sono appena una quarantina.
Oria Gargano è anche la rappresentante per l’Italia dell’Osservatorio sulla European Women Lobby di Bruxelles. «Noi paghiamotutte le nostre operatrici, ma non è la norma in Italia. Le tre P indicate dall’Onu – Prevenire Proteggere Punire – nel nostro Paese sono ignorate. Il Piano Nazionale varato nel 2010 è lacunoso, e non prevede sostegni economici stabili, è ben distante da un’iniziativa politica come quella che in Spagna, avviata da Zapatero, ha fatto ridurre sensibilmente femminicidi e violenze. Da noi neppure si finanziano i progetti. I pochi fondi, quando le istituzioni investono, arrivano dopo mesi e mesi, se va bene».
E poi c’è il delicatissimo aspetto della formazione: «Senza un adeguato, mirato addestramento del personale e degli operatori è tutto inutile. Facciamo salti mortali – conclude Oria Gargano – per realizzare a prezzi stracciati la Scuola di formazione estiva. Quest’anno i corsi si terranno a San Martino al Cimino, nel Lazio, vicino Viterbo, dal 30 agosto al 4 settembre. Il tema sarà l’amore». Proprio quello che è mancato nelle storie di Gina, Alberta, Rita e Mariella. Storie, però, di ordinaria, comunissima e spaventosa violenza.
Gina, scene da un matrimonio violento
«Nel febbraio 2006 ho conosciuto Vittorio e a luglio mi sono trasferita a vivere a casa sua insieme a mio figlio Andrea, nato dal matrimonio con il mio primo marito, dal quale a quel tempo ero già divorziata. Quindi, non molto tempo dopo, ho sposato Vittorio in seconde nozze. All’inizio della nostra relazione lui era molto premuroso nei miei confronti, però avevo notato che talvolta sembrava insofferente nei confronti di Andrea. Comunque, ero certa che non appena lo avesse conosciuto meglio e si fosse rilassato avrebbe cominciato ad amarlo: mio figlio è un ragazzino adorabile.
In effetti l’atteggiamento di Vittorio migliorò moltissimo quando rimasi di nuovo incinta e nacque un altro maschietto, che chiamammo Nicola. Un giorno, mentre lo allattavo, mio marito rincasò dal lavoro visibilmente alticcio. Cominciò a urlarmi contro, dicendo che gli avevano riferito che avevo degli amanti. Poi mi ha insultato, chiamandomi “puttana”. Ho cercato di calmarlo, gli ho detto che non era assolutamente vero, che con un bambino piccolo non avevo neanche il tempo di uscire da casa. Lui, per tutta risposta, ha gridato: “Non è vero, ti hanno vista. Hai l’amante!”
Nonostante fossi stesa sul letto con il bimbo attaccato al seno, Vittorio ha iniziato a prendermi a pugni, sulla schiena e in testa. Ho protetto il bambino col mio corpo e lui, a quel punto, ha continuato a colpirmi forte alle spalle. Finita l’aggressione ha continuato a bere e dopo è crollato nel sonno. Il mattino dopo sembrava acquietato e motivò i suoi sospetti su di me col fatto che da quando era nato il piccolo rifiutavo sempre di fare sesso con lui. Nicola era nato solo da 12 giorni, gli ricordai che dopo il parto i medici avevano prescritto almeno 40 giorni di astinenza dai rapporti sessuali.
Vittorio, considerato da tutti quelli che lo conoscono un uomo mediamente colto, in quell’occasione reagì facendo una cosa tremenda e incredibile: in un attimo mi ha immobilizzata sul letto e mi ha stuprata. In seguito a quella violenza rimasi incinta di Bruna. La nuova gravidanza era avvenuta troppo presto rispetto al parto precedente e sono stata male per tutti i nove mesi. Nonostante ciò, Vittorio seguitava a pretendere rapporti in continuazione. Se tentavo di rifiutarmi, mi picchiava o mi faceva oggetto di altre vessazioni e violenze, ritirando sempre fuori nei discorsi le solite fantasie sui miei presunti amanti. Nella sua mentalità, la gelosia era la dimostrazione del grande amore che provava per me.
Un altro grave episodio avvenne al quinto mese di gravidanza. Eravamo a letto quando, dicendomi che avevo un altro uomo, si è avventato su di me per consumare un rapporto mentre mi insultava: “Puttana, zoccola, scopi con tutti”. Terrorizzata che con quella brutalità potesse finire per far del male alla bimba che portavo in grembo, mi sono subito divincolata cercando di proteggere la pancia girandomi nel letto e supplicandolo di smettere. Ma non si fermava, allora sono riuscita a divincolarmi e sono scappata fuori di casa.
Era freddissimo, quella notte: lui mi ha inseguita e raggiunta, mi ha afferrato per la maglietta leggera che indossavo a letto, si è strappata, sono rimasta quasi nuda, in strada. Intanto Vittorio mi dava tanti pugni sul capo e sulle reni. Continuavo a correre, scalza, sfuggivo e lui mi riprendeva, e giù altri cazzotti. A causa del gelo sofferto in quella nottata ho avuto una polmonite, curata con medicine e iniezioni per due settimane. La piccola Bruna nacque prematura e la situazione degenerava.
Vittoriopretendeva rapporti sessuali come se niente fosse. Quando provavo a rifiutarli, piovevano i soliti insulti e le solite accuse maniacali. Avevo paura che urlando svegliasse i bambini, perciò mi sottomettevo per non correre il rischio di traumatizzare i miei figli. Mi svegliava nel cuore della notte o al mattino presto, per fare sesso prima di andare al lavoro. Lo assecondavo sperando che finisse il più presto possibile Poi, la mattina, indossava i suoi completi impeccabili di fresco lana o di tweed e se ne andava a svolgere la sua interessante occupazione in una sede di lavoro prestigiosa. E ogni sera, quando rincasava, mi voleva violentare.
Mio marito aveva una tale smania di controllo e di dominio totale sul mio corpo che arrivò a chiedermi di avere rapporti sessuali, in sua presenza, con altre persone. Mi parlò con calma, quasi con dolcezza, mentre mi faceva la sua proposta. Visto che mi piaceva andare a letto con altri uomini, tanto valeva condividere le esperienze. Capii finalmente che dovevo mettermi in salvo. Ricordo che guardai il suo viso, comunque interessante, non privo di bellezza. Le espressioni che andava assumendo crepavano via via i lineamenti e la sua maschera andava giù in pezzi.
Il lavoro su me stessa non è per niente semplice, anzi è durissimo. Ripercorrere le tappe dell’abominio, però, giorno dopo giorno, mi ha resa un po’ più forte e un po’ più libera».
Questo articolo è stato pubblicato sul mensile dell’Anpi Patria Indipendente, numero 6 del 2013

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