di Gemma Bigi
È nel 2005 che venne inaugurata la prima statua al mondo di Bruce Lee, l’artista di arti marziali icona di un’epoca bisognosa di miti e di eroi. Potrebbe essere una semplice notizia di costume, se non fosse che quella statua venne installata a Mostar, Erzegovina, il giorno prima di quella di Hong Kong. Mostar e Bruce Lee. Qualcosa non quadra.
La città che, assieme a Sarajevo, prima della guerra civile degli anni ’90 era uno dei centri culturali più dinamici e frizzanti d’Europa; la città che ha pagato pesantemente il suo essere luogo di incontro e convivenza; la città ancora oggi divisa rigidamente in quartieri corrispondenti alle etnie che la abitano, sembra così sorvolare sulla sua storia recente, possibile fonte di vendette, per arredare lo spazio urbano con quanto di più lontano possa esserci dalla sua realtà. Non può essere così semplice.
E infatti non lo è. La statua in realtà è rimasta al suo posto solo un giorno e una notte. Ma ciononostante a Mostar si è assistito ad uno splendido esempio di cultura resistente, come dimostrano l’identità del gruppo che ha proposto l’opera, realizzata dallo scultore croato Ivan Fijolic, e il significato attribuito all’attore di origine cinese.
Il progetto è nato dal Mostar Urban Movement, contrario alla nazionalizzazione dei luoghi che continua a caratterizzare la città sedimentando divisioni, sospetto e paura, per scuotere le coscienze in maniera insolita, ironica forse. L’immagine di Bruce Lee è stata scelta dal gruppo quale emblema della lotta contro le divisioni razziali, della lealtà, della solidarietà contro le ingiustizie.
Un simbolo non riconducibile nè rivendicabile dalle etnie dominanti nella città, impossibile fonte di nuove contese nazional-culturali. Una provocazione intelligente, d’impatto, più di molte parole. E se si tralascia il dettaglio del sapore comunque nazionalista dei film di Lee – in cui la violenza appare come approdo inevitabile, anche se inizialmente rifuggito dal protagonista -, il messaggio lanciato a Mostar da questo gruppo non allineato è sicuramente dirompente.
La ricostruzione di un paese ferito da una guerra, specie se civile, non è unicamente materiale ma soprattutto morale, umana. E se ancora oggi Mostar è urbanisticamente divisa fra una parte musulmana e una croata-cattolica; se fino a pochi anni fa nella parte croata non c’erano cartelli per raggiungere il centro storico musulmano, chi sente di dover agire e ribellarsi a queste gabbie non può che usare la cultura in maniera provocatoria, suscitare dibattito, confronto, dialogo. Dove l’intolleranza sfrutta la maschera delle istituzioni, l’unica via è l’ironia, la messa in discussione. La vera cultura insomma rilancia e spariglia.
Il Mostar Urban Movement ha osato e ha avuto successo, tanto che le autorità cittadine gli hanno dato il permesso di realizzare la statua e di inaugurarla in pompa magna il 26 novembre 2005, in occasione del sessantacinquesimo anniversario della nascita di Lee; e ha sicuramente colto nel segno se la notte stessa dell’inaugurazione la statua è stata oggetto di vandalismi.
Rimossa per essere restaurata, non è mai più stata ricollocata ai giardini “Zrinjski”. Dove è rimasta in tutto un giorno e una notte. Un fallimento? Probabilmente un inizio, che le resistenze hanno pazienza e passi ben decisi, per quanto piccoli.
Questo articolo è stato pubblicato sul sito dell’Anpi