L'ateneo, Bologna e i suoi abitanti: è ancora tempo di politiche culturali condivise?

27 Maggio 2013 /

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La produzione culturale a Bologna - Foto di Sergio Caserta
La produzione culturale a Bologna - Foto di Sergio Caserta
di Giuseppe Scandurra
Il sapore amaro che ci ha lasciato il dibattito La produzione culturale a Bologna, che abbiamo organizzato a nome dell’Associazione “Manifestoinrete” lo scorso 11 aprile, non se ne è ancora andato (vedere sul sito le pagine e i video che ricostruiscono questo incontro: il primo e il secondo articolo; inoltre per i video tre sono i post: il primo, il secondo e il terzo). Poco conta se la sala era piena (quasi cento persone) e gli interlocutori “autorevoli” (l’assessore Ronchi per l’amministrazione comunale, il prorettore Nicoletti per l’Ateneo, il collettivo Bartleby, i “docenti preoccupati”, e la cittadinanza più estesa).
Amara è la constatazione di quanto questa città sia priva di una politica culturale condivisa, in grado di far relazionare e valorizzare tutte le sue cittadinanze. Amaro è scoprire come ciò sia il frutto non tanto di un’incapacità (non giustificabile, ma comprensibile o comunque prevedibile visto il livello politico-culturale dell’attuale Amministrazione), ma di una precisa volontà (e quindi inaccettabile).
L’Università, attraverso il prorettore Nicoletti, ha dato di sé un’immagine autistica e conservativa (cosa ci sarà poi da conservare?). L’amministrazione comunale, attraverso l’assessore Ronchi, ha confermato tutti i limiti di una Giunta sprovvista di chiavi di lettura per leggere la realtà, lontana anni luce dalla realizzazione (ma anche solo dal pensiero) di una Bologna capitale culturale metropolitana. Lo stesso collettivo Bartleby ha evidenziato preoccupanti segnali circa la fine di un Movimento Studentesco capace di entrare in conflitto con il “potere cittadino” e, allo stesso tempo, di mediare con esso nell’intento di produrre cultura per tutta la cittadinanza, come in altri anni è stato possibile.

Dietro il rispetto delle “regole” evocato dall’Amministrazione (che più volte, nel corso dell’ultimo anno, ha, attraverso sgomberi agiti dalle forze dell’ordine, fatto finire le pratiche di occupazione di realtà come Bartleby) non c’è nulla, se non la parodia, ad anni di distanza, delle politiche securitarie agite dal fu Sergio Cofferati (il quale oggi si rivende come uomo alla sinistra del Pd, il che dice molto dell’attuale classe politica alla guida della città). L’unica cosa che c’è sono le correnti di partito, quelle stesse correnti, del tutto autorerenziali, che hanno spinto il Paese a seguire Napolitano (ci resta solo sperare nella “natura”, come ha detto qualche “cattivo compagno” a proposito della morte di Giulio Andreotti) nel doloroso tragitto che ci ha portato a un governo di “unità nazionale”. Ronchi stesso, forse la parte più illuminata, o comunque “fuori controllo”, ha denunciato come spesso sia costretto dalla Giunta a pensare eventi che non riescono ad essere altro che “testimonianza”, altro che “effimero” di nicoliniana memoria. L’attuale Giunta non ha idee, non ha ambizioni, non ha futuro e non ha nemmeno passato. Capirai chiedersi se ha presente a questo punto.
L’Ateneo naviga in acque ingovernabili. Ciò, però, non giustifica le sue colpe. Propone a realtà come Bartleby di lavorare e produrre cultura in “periferia”, ma non sa nemmeno cosa sia periferia. Lo dice solo come quando urlava agli studenti, al Movimento, di organizzare il funerale di Lorusso fuori dal centro storico cittadino. Imbarazzante, autistico, “petroniano”.
Non è questo il contesto dove esprimere giudizi sul livello di istruzione che fornisce l’attuale Ateneo, sui meccanismi democratici che lo caratterizzano in termini di carriera eccetera; ma sicuramente l’11 aprile è servito a tutti a noi capire quanto l’Ateneo non sappia offrire nulla, se non raccogliere soldi degli studenti a nome di un passato che, se è stato felice, lo è stato soprattutto a nome delle tante manifestazioni culturali promosse dagli studenti (spesso fuori sede).
Il caso Bartleby, riesploso dopo il nuovo sgombero dai locali dell’Università in via San Petronio Vecchio, ha riproposto, tra gli altri, il tema degli spazi da rendere disponibili per le attività delle varie forme associative e/o aggregative, perché anche la cultura ha bisogno di spazi per essere prodotta a pensata. Sappiamo che il Comune dispone almeno di 385 immobili vuoti (di quanti ne dispongano l’Università, la Provincia e la Regione, non ci è dato di sapere) che tuttavia sembra siano in gran parte inutilizzabili per il loro stato di conservazione. Questo vuol dire che da molti anni non sono oggetto d’intervento. Ci chiediamo, e chiediamo a Nicoletti e Ronchi: in questi anni qualcuno si è preoccupato di pensare a una possibilità di recupero collettivo a basso impatto finanziario e con un coinvolgimento della città e delle sue istituzioni? Qualcuno lo sta facendo ora?
La cosa che ci ha lasciato più di tutte quel sapore amaro è stata però realizzare l’impotenza politica di realtà studentesche, con cui, come redazione del giornale “Il Manifesto Bologna” e come Associazione “Manifestoinrete”, da tempo abbiamo instaurato un dialogo condividendone le lotte. I ragazzi e le ragazze di Bartleby, durante l’incontro, per esempio, hanno urlato all’Assessore la necessità che l’attuale Giunta conceda loro uno spazio in centro. Come si conciliano, politicamente, quelle urla con una volontà di mediazione? Come pretendere di agire conflitto (conflitto legittimo, riteniamo) chiedendo al “padre” un posto e un luogo vicino e protetto dove “fare cultura”? E quale “cultura” poi?
Se è vero che la richiesta “Andate in periferia” è demenziale quando pronunciata da un’Amministrazione e un Ateneo che non sanno nemmeno cosa oggi sia diventata una periferia operaia come la Bolognina (che sarà delle Caserme Sani? Cosa sarà della Trilogia Navile? Cosa sarà del People Moover? Che mondo sarà quello della nuova stazione ad alta velocità? Quali saranno gli effetti di tali processi di gentrificazione in un quartiere abitato da quasi il 20% da immigrati residenti? Cosa significa chiamarlo quartiere del “terziario” quando le ex fabbriche metalmeccaniche come la Minganti, oggi diventate centri commerciali, faticano a vendere anche un solo computer Mac all’anno?
Che identità è stata pensata e avrà questa ex periferia operaia ora che è abitata da persone diverse e che è finito un intero modello produttivo?), se questa è una richiesta di cui è chiaro solo l’intento provocatorio, è allo stesso tempo vero come molte realtà studentesche non la pensino poi così diversamente da questi due attori. Che cosa intende oggi il Movimento Studentesco quando dice di voler fare politica, di voler produrre cultura? Chi pensa questo Movimento quando immagina i fruitori delle loro manifestazioni? Perché non riesce a uscire dalle Mura? Che idea di metropoli hanno parte di questi studenti che sono venuti a Bologna proprio per uscire da contesti di provincia?
Come associazione “Manifestoinrete” e giornale on line “Manifesto Bologna” siamo intenzionati, da ora, da subito, a continuare questo dibattito promuovendo altre iniziative, consapevoli che solo mettendo tutti questi attori, che spesso non comunicano, intorno a un tavolo sia possibile fare dei passi avanti. A cominciare dal Teatro Valle fino all’ultima “occupazione” del Teatro Rossi Aperto (http://teatrorossiaperto.blogspot.it) cominciano ad essere molte le pratiche di “presa” di spazi pubblici in dismissione per produrre cultura. Cosa accomuna queste realtà? Che idee di “pubblico” e “cittadinanza” producono? Per rispondere a queste domande siamo intenzionati a riprendere il dibattito iniziato l’11 aprile e invitare Bartleby e altre realtà a parlare con noi (e magari anche e ancora con l’Amministrazione e l’Ateneo, sempre che valga veramente la pena) per ripensare la nostra idea di politica culturale, ripensare la stessa idea di conflitto, la stessa idea di “periferia”.

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