La politica diletta: la strada dell'ecologia per non disperdere un patrimonio del Paese / 1

24 Maggio 2013 /

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di Guglielmo Ragozzino
L’ecologia dovrebbe essere la politica principale dei prossimi dieci anni, per non distruggere, oltre al capitale umano e sociale, anche il capitale naturale del nostro paese. Pubblichiamo il testo dell’intervento al convegno di Napoli del 10-11 maggio “Gli operatori sociali dentro la crisi”
Sono convinto che voi ne sappiate più di me di economia e di società, e proprio per questo sono venuto qui, per imparare qualcosa: fatti reali, sprazzi di vita. Al contrario di altri ho però avuto il compito e l’opportunità di dedicare un po’ di giorni per riflettere sull’economia e poi riferire quel che mi era sembrato importante. Per spirito di servizio ho cercato di farlo. Ho capito che l’Europa è un bell’intrigo e l’euro anche. Questa è una novità assoluta per i nostri secoli: una moneta fortissima ma senza sovrano. Il mio intervento avrebbe dovuto completare quelli ben più rilevanti di Carlo Donolo e Francesco Ciafaloni. Anche per sentire loro sono arrivato qui. Di Donolo ho gli appunti molto completi sui quali egli avrebbe sviluppato l’intervento a braccio. Un volonteroso o una volonterosa potrebbe leggerli; Donolo sarebbe contento. Altrimenti, peggio per lui.
A me tocca tornare alla moneta fortissima che assedia un paese assai debole. Un fatto che provoca serie conseguenze per i cosiddetti paesi Piigs, cioè quelli della fascia povera del continente. Da molte stagioni, ormai da anni, non si parla d’altro. L’Europa ricca ha deciso con il consenso e l’appoggio della triplice costituita da Bce, Fondo monetario e Commissione di Bruxelles di mettere in riga gli sperperatori, i falsari, i debitori incontinenti. Ci sono tre regole d’oro da rispettare: un deficit annuo massimo non superiore al 3% del prodotto interno lordo o Pil, un debito massimo pari al 60% del Pil, l’obbligo di rientrare dal superamento del debito massimo ammesso per mezzo punto percentuale ogni anno, fino al raggiungimento di quel massimo consentito. Ne deriva una situazione assai grama, in qualche modo simile a quella dei paesi indebitati del Sud del mondo negli anni ottanta e novanta del secolo scorso.

Allora era il Fondo monetario, adesso è “l’Europa” a comandare. L’Italia deve ridurre l’indebitamento annuo e quindi la spesa in deficit non le è consentita, non può fare grandi investimenti pubblici keynesiani, diretti o indiretti. Per ridurre il debito, non potendo aumentare la produzione e il Pil deve risparmiare altri 40 o 50 miliardi all’anno, per quindici o venti anni. Con meno investimenti, tagli nelle pensioni e negli stipendi pubblici, il risultato è quello di tentare di portare al pareggio un paese esausto con ancora più disoccupati, in particolare delle giovani generazioni.
Dopo aver fatto questo quadro, gli economisti sgomenti francesi, autori di una serie di libri diffusi in Italia da Sbilanciamoci in rete e da Minimum fax in libreria, suggeriscono una serie di misure alla portata di ogni paese non spaventato e capace di fare alleanze con altri paesi, come la Francia. Dodici semplici passi, in tutto, quasi una lezione di ballo.

  • 1) Disarmare i mercati finanziari (a partire dai derivati).
  • 2) Far garantire i debiti pubblici dalla Bce con titoli al 2% a 10 anni.
  • 3) Rinegoziare i tassi eccessivi (come quelli imposti ai comuni italiani).
  • 4) Farla finita con la concorrenza fiscale tra gli stati.
  • 5) Vietare a banche e imprese l’uso dei paradisi fiscali.
  • 6) Separare le banche di deposito o commerciali dalle banche d’affari.
  • 7) Far nascere banche pubbliche, incanalandovi il risparmio delle famiglie.
  • 8) Avviare la transizione ecologica con fondi raccolti dalle banche pubbliche del punto precedente.
  • 9) Costruire un bilancio europeo con tanto di Tobin Tax e fiscalità ecologica.
  • 10) Mettere in moto l’Europa: in agricoltura con un buon uso del Pac, nella finanza, nella politica industriale, verso un’Europa sociale.
  • 11) Ridurre lo squilibrio attraverso un coordinamento europeo.
  • 12) Scrivere un trattato europeo che abbia la democrazia come obiettivo centrale.

Qualcuno dirà che non è un programma efficiente, ma è provato che neppure quello corrente lo è; quello dei francesi sgomenti almeno ha una faccia sorridente, è meno rancoroso e potrebbe perfino funzionare. Un libro dei sogni, o meglio un libro della speranza, come avrebbe detto il nostro amico Guido Martinotti.
La fase di costruzione del nostro governo ha lasciato molto a desiderare. È prevalsa la scelta della governabilità, difficile da raggiungere e se ne è pagato un prezzo elevato. Sono riapparse vecchie abitudini, gelosie e paure che sembravano sopite. In conclusione, Enrico Letta ha fatto un lungo discorso presentando il suo governo alla Camera dei deputati (e dandolo per letto al Senato), ma non ha convinto. Ha parlato di Europa e debito, di leggi elettorali, di banche e finanza – le offerte vantaggiose di un catalogo – ma ha solo sfiorato temi qualificanti; forse non poteva spingersi troppo in là o forse non li conosceva. A nostro avviso il discorso era carente soprattutto in tema di ambiente e compagnia bella, visti piuttosto come un intralcio nel cammino della grande politica. La grande politica è estranea, a noi che stiamo parlando, certo non a voi che ascoltate, mentre l’ambiente lo abbiamo a cuore. Ne vorremmo trattare nella parte finale di questo intervento.
Né mitigazione, né adattamento esistono per Letta, come non esiste – o se esiste, conta poco – la green economy. I relativi passaggi, molto brevi e superficiali, sono soltanto due: oltre all’alta tecnologia bisogna investire risorse su ambiente ed energia. E questo in sé non è sbagliato, ma troppo poco. E come investire? Così: “Le nuove tecnologie – fonti rinnovabili ed efficienza energetica – vanno maggiormente integrate nel contesto esistente, migliorando la selettività degli strumenti esistenti di incentivazione, in un’ottica organica con visione di medio e lungo periodo. Sempre con riguardo ai settori energetici, va completato il processo di integrazione con i mercati geografici dei paesi europei confinanti. Questo implica, per l’energia elettrica, il completamento del cosiddetto market coupling e, per il gas, il completo riallineamento dei nostri prezzi con quelli europei e la trasformazione del nostro paese in un hub. È chiaro che episodi come quello dell’Ilva di Taranto non sono più tollerabili.
L’altra grande risorsa è l’Italia stessa. Bellezza senza navigatore. La nostra tendenza all’autocommiserazione è pari solo all’ammirazione che l’Italia suscita all’estero. Molti stranieri vogliono bagnarsi nei nostri mari, visitare le nostre città, mangiare e vestire italiano. L’Italia e il made in Italy sono le nostre migliori ricchezze. È per questo che uno dei primi atti del governo sarà quello di nominare il Commissario unico per l’Expo, una grande occasione che non dobbiamo mancare. A questo fine nei prossimi giorni sarò a Milano a presentare il decreto per partire per l’ultimo miglio di questo evento strategico…
Per questo dobbiamo rilanciare il turismo e, soprattutto, attrarre investimenti. Rimuoviamo quegli ostacoli che fanno sì che l’Italia per molti non sia una scelta di vita. Questo significa puntare sulla cultura, motore e moltiplicatore dello sviluppo, o sulle straordinarie realtà dell’agro-alimentare. Questo significa valorizzare e custodire l’ambiente, il paesaggio, l’arte, l’architettura, le eccellenze enogastronomiche, le infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali e aeroportuali.”
Questo articolo è stato pubblicato su Sbilanciamoci.info il 17 maggio 2013. Sbilanciamoci.info ha avviato una campagna di raccolta fondi per il mantenimento del sito. Per maggiori informazioni: Sbilanciamoci.info ha bisogno di te

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