Bologna, il referendum che fa tremare il mondo (clericale)

15 Maggio 2013 /

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dell’associazione Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (Uaar)
423, è il numero-chiave di questo referendum. 423 bambini tra i tre e i sei anni che si sono trovati, a settembre, senza una scuola dell’infanzia pubblica disposta ad accoglierli. 423 bambini che avevano come prospettiva più immediata quella di finire in una scuola cattolica, nonostante la volontà contraria dei loro genitori. Di quei 423 esclusi a inizio anno, 103 lo sono rimasti anche in seguito. E dire che con un milione di euro si potrebbero ottenere tra i 150 e i 200 nuovi posti alla scuola pubblica comunale e statale. Ai genitori che chiedono scuola pubblica il Comune di Bologna preferisce invece rispondere che “i posti sono finiti, ecco l’elenco delle scuole private”. Cattoliche.
È per evitare situazioni come questa che è nato il comitato articolo 33. A favore della scuola pubblica, contro gli ingenti contributi comunali alla scuola privata dell’infanzia: oltre un milione di euro l’anno, a cui se ne aggiungono altrettanti erogati da Regione e Stato. A una scuola quasi esclusivamente cattolica: 26 scuole su 27, 73 sezioni su 74. Servivano 9.000 firme, ne sono state raccolte 13.000 nella metà del tempo previsto. Un appello online supera a sua volta le 8.000 firme. E i primi firmatari sono illustri: Stefano Rodotà, Andrea Camilleri, Margherita Hack. Anche il collettivo di scrittori Wu Ming è particolarmente attivo nell’esporre le ragioni per il referendum. D’altronde la Costituzione parla chiaro e all’articolo 33 recita: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Questo principio viene aggirato da anni proprio per favorire il finanziamento delle scuole cattoliche.

L’amministrazione comunale non l’ha presa bene. E ha cominciato a frapporre difficoltà. Negando l’election day, convocando il referendum a maggio inoltrato, riducendo il numero di seggi, arrivando persino a concedere al sindaco l’uso di Piazza Maggiore il 25 maggio, giornata destinata al silenzio elettorale. Ma non è servito granché. Perché la questione è sempre più oggetto di interesse, come per esempio mostra un articolo sulle pagine nazionali di Repubblica, e perché Stefano Rodotà ha improvvisamente goduto di grande visibilità. Perché se ne è interessato anche il programma Servizio Pubblico, condotto da Michele Santoro.
Una volta che l’interesse si è diffuso a livello nazionale, qualcuno ha cominciato a tremare. E a ritenere che fosse preferibile una vittoria sul campo, piuttosto che la chiamata all’astensionismo. L’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra, ha invitato i cittadini a votare. E poi è sceso in campo direttamente il cardinale Angelo Bagnasco, il capo dei vescovi italiani, con tutta la grancassa clericale.
Allora anche la politica è stata costretta a prendere posizione. E se non sorprende l’invito a votare B (che significa “sì” al sostegno delle scuole private) di Maurizio Lupi, ciellino come Caffarra, sorprende il furore clericale mostrato dal sindaco Pd, Virginio Merola. Che ha cominciato una tournée non a caso anche nelle parrocchie, e che in un’intervista ha dato degli “estremisti conservatori” ai promotori del referendum. Come se regalare soldi pubblici alla Chiesa fosse una novità: lo faceva già Costantino, diciassette secoli fa. Merola si è speso con una lettera aperta che, quantomeno su Facebook, si è rivelata assai controproducente. La larga intesa tra Lupi e Merola è confermata dall’invito, rivolto all’unisono, a votare “B come bambini”. Quali bambini? Quei 423 bambini considerati di Serie B che sono finiti o hanno rischiato di finire in una scuola confessionale nonostante la volontà contraria dei loro genitori?
Perché le scuole cattoliche erano e restano scuole cattoliche, nonostante i loro fautori cerchino di nasconderlo, per esempio sostenendo che gli insegnanti sono “laici”. Scuole la cui azione educativa, come recita la Carta formativa delle scuole cattoliche dell’infanzia firmata proprio da Caffarra nel 2009 su cui si basa la Federazione Italiana Scuole Materne (organismo riconosciuto dalla Cei), “consiste nell’introdurre il bambino nella realtà, interpretata nella luce della Tradizione ecclesiale. La realtà, fatta di cose e persone, è opera di Dio creatore che vi ha inscritto un senso”. Gli insegnanti delle scuole cattoliche devono “accogliere con docile ossequio dell’intelligenza e della volontà l’insegnamento del Magistero” ecclesiastico e “vivere un’esemplare vita cristiana”, quindi anche astenersi dall’assumere comportamenti che potrebbero essere giudicati ‘immorali’ (come la convivenza o l’omosessualità).
Ma, dice Bagnasco, la scuola cattolica fa risparmiare ogni anno sei miliardi allo Stato italiano. Ragionamento sbagliato, e sbagliato proprio dal punto di vista della logica, come abbiamo già spiegato. È come se Marchionne chiedesse soldi allo Stato perché più auto Fiat sono vendute, più lo Stato risparmierà nei trasporti pubblici. Quel che Marchionne non ha il coraggio di affermare, Bagnasco lo dice. Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che il concetto di “risparmio” non può e non deve essere l’unico elemento di valutazione. È importante che una scuola non discrimini in base alla fede? Se la risposta è sì, ricordate che le cattoliche discriminano. È importante che una scuola abbia una qualità elevata? Le private hanno una qualità inferiore (dati Ocse). È importante che sappia accogliere stranieri e disabili? Le cattoliche lo fanno solo con molta resistenza. È importante che gli insegnanti siano liberi e tutelati? Quelli delle cattoliche non sono liberi e vivono sovente in una condizione di irregolarità.
Ma, soprattutto, anche a prendere sul serio l’argomento del risparmio, resta il fatto lo Stato e i Comuni risparmieranno di più non dando nemmeno un euro alle scuole private. Che comunque si sono sempre sostenute e continueranno a farlo da sole, grazie soprattutto alle lautissime rette, come emerge da una semplice occhiata a un qualsiasi listino prezzi. Le famiglie che vogliono mandare i propri figli in scuole cattoliche l’hanno sempre fatto e continueranno a farlo. Queste scuole fanno parte del circuito della Chiesa, che però non vuole assumersene tutto l’onere preferendo appaltarne un pezzo allo Stato, quindi a carico di tutti i cittadini.
Le ragioni per cui si scelgono le scuole private sono altre e proprio perché sono altre (dare un’educazione religiosa ai figli, non frequentare famiglie straniere o disagiate, per gli ordini di scuola più elevati anche la garanzia del “passaggio” e della promozione) non devono gravare su tutta la cittadinanza. A maggior ragione se chi ne beneficia, l’arcidiocesi di Bologna, è il più importante proprietario immobiliare della città (oltre 1.200 immobili), e ha incassato già 36,5 milioni di euro dall’eredità FAAC di cui 22 presso la LGT Bank di Lugano, in Svizzera, su un conto a cui ha prontamente cambiato intestazione. Oltre a ricevere dallo Stato non solo congrui finanziamenti per le sue scuole, ma anche l’ancor più congruo miliardo e più con l’Otto per Mille.
Il referendum bolognese ha contro quattro quinti del consiglio comunale (dalla Lega al Pd), la Chiesa, molti poteri forti della città. I suoi promotori sono come formiche contro gli elefanti. Capita però che gli elefanti provino molto fastidio, nei confronti delle formiche. E le formiche bolognesi sono tante e generose. Anzi, educano pacificamente gli elefanti distruttori. Tra le formiche che hanno promosso il referendum e si sono mobilitate c’è anche il circolo Uaar di Bologna. Tra gli eventi in programma c’è la proiezione del film Un bacio appassionato di Ken Loach, la cui storia affronta anche le difficoltà di una insegnante di scuola cattolica colpevole di essersi separata dal marito e di convivere con nuovo compagno, e per questo cacciata dall’istituto.
Un risultato, le formiche, l’hanno già ottenuto. La classe dirigente del paese ha una fifa blu che i cittadini scelgano un modello di scuola diverso da quello che vorrebbe imporre. Una scuola basata sull’uguaglianza, anziché sulle discriminazioni fondate sul censo o sulla fede o sulle larghe intese tra poteri forti che ignorano le istanze della cittadinanza. Una scuola di tutti, anziché una scuola di parte. Una scuola inclusiva, anziché una scuola che esclude disabili e stranieri. Una scuola aperta, anziché un ghetto identitario. Una scuola pluralista, anziché il dogma monoconfessionale. Una scuola che insegni il pensiero critico, anziché la sottomissione alle gerarchie ecclesiastiche. L’establishment sa che i cittadini e le cittadine di Bologna preferiscono quest’altra scuola. È per questo che invitiamo a votare A, il prossimo 26 maggio.
Questo articolo è stato pubblicato sul sito dell’Uaar il 14 maggio 2013

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