di Silvio Messinetti
Senza memoria nessun futuro. E chi meglio degli ultimi sopravvissuti della straordinaria epica partigiana può tramandare ai posteri quel racconto corale di libertà e democrazia che è stata la lotta di resistenza all’oppressione nazifascista. Io sono l’ultimo (Einaudi, 2012), a cura di Stefano Faure, Andrea Liparoto e Giacomo Papi, è una straordinaria ricostruzione dell’epopea partigiana.
Oltre cento lettere, raccolte con la collaborazione dell’Anpi, in cui gli ultimi testimoni viventi della Resistenza raccontano le torture, le bombe, i rastrellamenti. Ma anche le scarpe chiodate messe in saccoccia prima di salire sui monti e darsi alla macchia, gli amori e i rancori, la fame sofferta, il piacere di ridere in classe scherzando sul Duce e tanto altro. Un’autobiografia collettiva di donne e di uomini che all’epoca dei fatti erano giovanissimi operai, studenti, contadini, che hanno assistito alla tragica deriva del regime, nel quale sono nati e cresciuti, che ha tentato in tutti i modi di plasmarli a propria immagine e somiglianza.
A un certo punto decidono che “il nostro tempo è adesso”, che è giunta l’ora, prendono coscienza, e si ribellano. Si va in montagna, si percorrono irti sentieri e ripide ascese. Si sale per i monti per amore del padre bastonato e umiliato. Per la madre contadina vessata dai padroni, cani da guardia dei fascisti. Per stare accanto al fratello già capo di brigata. E si entra in clandestinità per amore dell’amico deportato, del vicino vessato, del compagno mortificato.
Un libro da adottare nelle scuole, per favorire la crescita delle nuove intelligenze che si aprono alla vita, lo spirito delle nuove generazioni, l’avvenire di questo nostro bistrattato paese. E sono gli studenti i veri interlocutori del libro. A loro i partigiani raccontano, a loro intendono affidare il “testimone” che sia forza di futuro, continuità di sogno ed impegno per realizzarlo. Un testamento civile alla futura umanità, per costruire un paese di donne e uomini uguali nei diritti e libere. L’Italia della Costituzione repubblicana, eredità immensa ed imprescindibile della Resistenza.
“Ci piace, perciò, pensare a questo libro come a una ‘piazza delle radici’ dove dare appuntamento ai giovani. Per intrattenerli ed incoraggiarli” scrive Andrea Liparoto, responsabile comunicazione Anpi nazionale. E ancora ai ragazzi nelle scuole si rivolge il partigiano fiorentino Marcello Masini, nome di battaglia “Catullo”: “Ai ragazzi nelle scuole dico, guardate sono rimasto io. Allora diventano più interessati ancora. Perché io sono l’ultimo”. La narrazione della lotta di Liberazione alle nuove generazioni, dunque. In modo difforme dalla didattica “ufficiale”.
Come scrive Natalino Paone, partigiano di Isernia: “Io sono stato professore e posso dire che la Storia, così come viene insegnata a scuola, non funziona. Prima di parlare di quei quattro o cinque nomi importanti, che conoscono tutti, bisognerebbe partire da qui: portare i ragazzi fuori dalle aule e mostrare le nostre montagne, come sono belle, e spiegar loro come grondavano di sangue”. La gran parte delle testimonianze raccolte è del tutto inedita. Si tratta di resoconti di persone ancora in vita al momento della partenza dell’iniziativa (estate 2010). Alcuni dei testimoni, tutti nati dal 1908 al 1930, sono deceduti in corso d’opera. Il libro raccoglie le storie di centoventotto di essi, selezionati tra i quasi mille contributi arrivati. Difficile stabilire con esattezza quanti partigiani siano ancora in vita. Uno dei pochi datti attendibili stima 9800 partigiane e partigiani iscritti all’Anpi ancora in vita.
È un dato relativo ed incompleto, utile però per poter fare una stima di quanti possano essere “quelli che ancora resistono”. Come raccontano Franco Sgrena, Paolo Bologna e Luigi Fovanna: “Eravamo proprio giovani, settant’anni fa, giovanissimi, meno che ragazzini. Ma se c’era da fare, si faceva. E per usare parole un po’ forti, il nostro dovere lo abbiamo fatto”.
Questo articolo è stato pubblicato su Manifestiamo.eu lo scorso 22 aprile