Post-comunisti e (non) post-democristiani del Pd: tutto da prendere e niente da dare

4 Maggio 2013 /

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di Loris Campetti
Chissà che idea hanno delle sfogline bolognesi o dei robusti responsabili del servizio d’ordine torinese, i dirigenti post-comunisti che insieme ai (non)post democristiani hanno dato origine al partito che non c’è. Devono pensare che sono nient’altro che utili idioti, quei compagni e quelle compagne, che da oltre settant’anni, generazione dopo generazione, nome dopo nome (Pci, Pds, Ds, Pd) offrono gratuitamente e con passione identitaria i loro servigi al partito per rendere possibili le feste, o per difendere i loro dirigenti e i cortei.
Gente a cui puoi chiedere tutto senza dare nulla, puoi chiedere loro di votare per il Partito democratico per mandare a casa Berlusconi una volta per tutte e poi fare, anzi rifare, il governo insieme a Berlusconi. Avevi garantito a sfogline e servizi d’ordine che non sarebbero morti democristiani, e poi consegni alla migliore e soprattutto alla peggiore Dc le speranze di milioni di persone perché ne facciano carne di porco. Ai giovani preferisci le famiglie, così come già da tempo alla scuola pubblica preferisci quella privata, e pensi che in fondo il nucleare…
L’esito della crisi politica esplosa dopo un voto che chiedeva cambiamento e ha ottenuto restaurazione ci interroga tutti (“chiedete giustizia e sarete giustiziati”, scriveva magistralmente Stefano Benni un secolo fa). Interroga la sinistra delle ammucchiate che non ha convinto neanche la pletora di partitini che l’ha promossa, la sinistra entrista che avrebbe voluto trasformare il brutto anatroccolo in cigno ed è rimasta impantanata nello stagno, la sinistra che ha smesso di votare, chi è in movimento e chi si è fermato, chi sogna la democrazia in rete e chi la democrazia in carne e ossa.

Forse questo paese non si merita un presidente come Stefano Rodotà, dato che persino un presidente come Prodi sarebbe stata un’alzata d’ingegno, una rottura insostenibile. O forse, invece, Rodotà ce lo saremmo meritato, ma chi aveva il potere di realizzare un sogno collettivo ha deciso di affossarlo. Sono quelli che non si sono accorti che 27 milioni di italiani avevano scelto l’acqua pubblica, quelli che di fronte a uno dei più duri scontri di classe dichiarano di stare non con gli operai di Pomigliano ma con Marchionne, e per di più senza se e senza ma. Quelli che ci raccontano che Grillo è la causa e non l’effetto. Abbiamo davvero bisogno di altre prove per capire che il cambiamento non passa dal Nazareno né dai vicoli del centro storico romano?
Da dove ripartire? Forse dalla democrazia, come dice la Fiom, e dalla Costituzione, come dice Rodotà. Bisognerebbe che ne parlassimo. Intanto esprimiamo la nostra solidarietà alle sfogline bolognesi. E anche ai gloriosi compagni del servizio d’ordine torinese, nonostante le botte che ci hanno dato per decenni nel tentativo, non con tutti riuscito, di metterci in riga.

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